IL RUOLO DEL CONSULENTE

 Molti studi legali, si avvalgono di un consulente grafologo, specializzato in perizia giudiziaria, quando si deve accertare l’autografia o l’apocrifia di una scrittura, ma anche di una semplice firma o sigla apposta su un documento.

La domanda più in voga è l’accertamento di un testamento, purtroppo, in questi tempi, sono molto frequenti i casi in cui i nostri anziani sono affidati a badanti, che ad onor del vero svolgono un lavoro davvero ineccepibile, quasi una missione, ma è anche vero che spesso, questi ricorrono a stratagemmi, come nel caso di imitazione della scrittura per avere una parte di eredità che sicuramente non gli spetta.

In questo caso i familiari, piuttosto “sorpresi”, diciamo, della decisione almeno apparente, del proprio congiunto, che ha deciso di lasciare gran parte dei propri averi alla badante, con una scrittura sciolta e morbida, magari a quasi novan’anni… qualche dubbio può insorgere.

In questo caso, attraverso l’avvocato di loro fiducia, che di solito non ha nozioni per quanto riguarda la perizia grafologica, nomina un consulente tecnico di parte. Continua a leggere

L’editoriale di Agosto

Gentili lettori,

La nostra testata giornalistica anche in questo periodo estivo è in rete.

Ci scrivete in tanti ponendo quesiti, curiosità , e  man mano, anche attraverso i nostri articoli, cerchiamo di dare delle risposte.

Tante sono le persone interessate al mondo della grafologia, anche per conoscere meglio gli ambiti dove può trovare applicazione.

E’ vero che è l’osservazione grafica a costruire la base dell’interpretazione della personalità, ma è anche vero che, senza l’analisi delle ripercussioni dell’ inconscio sul conscio, (pertinenza psicologica ) tali deduzioni sarebbero incomplete.

E’ innegabile che attraverso la grafia si può capire l’intera personalità di chi scrive, e fa emergere aspetti sconosciuti anche a se stesso.

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Proiezione

Uno dei meccanismi di difesa pù utilizzati è la Proiezione, ovvero l’Io che espelle il problema.

Ciò che la persona non vuole accettare di se, per tanti motivi, personali, sociali, ecc…. e lo trasferisce su di un soggetto esterno.

Si proiettano le proprie paure, le ansie, i sensi di colpa, la propria aggressività magari repressa, coloro che utilizzano questo meccanismo di difesa, avvertono la necessità di “scaricare” o meglio, “appioppare” ad un’altra persona ciò che avvertono come un loro difetto.

Possiamo in questo modo spiegare il fenomeno del cosidetto “capro espiatorio”

Trasferire ciò che genera malessere, consente di conservare intatta la stima verso se stessi.

E’ un meccanismo di difesa che presuppone l’esistenza di un Super-Io piuttosto ingombrante, la severità e l’intolleranza di chi adotta che questo tipo di difesa è accompagnata dalla medesima severità contro se stesso. Continua a leggere

Onori ed Oneri del grafologo giudiziario: Un caso giudiziario emblematico dei rischi della professione

a cura di Gabriele Colasanti

Talvolta si definisce il contenzioso giudiziario come un bagno di sangue per la parti coinvolte. In tale ottica, si suole pensare il contenzioso possa ripercuotersi solamente fra i “protagonisti”.

Diversamente, i consulenti tecnici possono trovarsi a loro volta chiamati in causa in ragione dell’attività professionale svolta. In questa sede non si  farà menzione dei doveri ed obblighi normativi ma si farà cenno ad una sentenza della Suprema Corte  ( Cassazione, sesta sezione penale, n. 5300 del 2011)  all’esito di un procedimento che ha interessato quale persona offesa il consulente tecnico grafologo del Procuratore  della Repubblica di Ariano Irpino.

Nel caso di specie la Suprema Corte ha prosciolto perché “il fatto non sussiste” dall’imputazione di cui all’art. 336, co. 1, Cod. Pen. (violenza o minaccia a pubblico ufficiale) l’imputato di un procedimento penale che aveva citato in giudizio (sede civile) il consulente grafologo del Procuratore per “danno da stress da giudizio”.

In primo grado e in sede di appello l’imputato  era stato condannato sull’assunto di aver  citato il consulente grafologo  al fine di determinare in questo   una  situazione  di  apparente  incompatibilità,  per  costringerlo  a  compiere  un  atto  contrario  ai  propri  doveri  o  ad  omettere,  in  tutto  o  in  parte,  atti  del  proprio  ufficio  (nella  specie   condizionare   la   testimonianza   del   consulente   tecnico   del   p.m.   nel   dibattimento   relativo   a   quel   procedimento  penale,  nonché  determinare  la  rinuncia  ad  altri  incarichi  già  ricevuti  in  tre  procedimenti  civili). Continua a leggere

Indagini complesse e semplici soluzioni: Un caso di omicidio e la ricerca di un latitante.

a cura di Roberto Colasanti

Quindici anni di latitanza nel corso dei quali aveva continuato a comandare i suoi uomini ad incontrarsi con la moglie, diventando papà per la terza volta, eppure per gli investigatori “Peppe”1 era un fantasma.
La sua invisibile presenza aveva contribuito ad accrescere il dominio criminale della famiglia che oltre al traffico della droga continuava ad alimentarsi sulle attività più tradizionali ma sempre remunerative quali usura ed estorsioni.
Commercianti, agricoltori, imprenditori di ogni genere e categoria, nessuno in zona, poteva sottrarsi al pagamento della protezione. Chi non aveva chiesto la protezione della famiglia di “Peppe” aveva dovuto mettere in conto la saracinesca del negozio saltata per via dell’esplosivo, il taglio delle piante da frutto o l’incendio dei mezzi da lavoro quali: trattori, escavatori etcetera.
Il pedinamento dei familiari era impossibile da praticare in quel paese del reggino dove tutti si conoscevano e l’intruso non poteva che essere uno sbirro. I servizi tecnici di ascolto erano risultati oltremodo sterili anche perché facevano parte di quegli strumenti di indagine notoriamente utilizzati dagli investigatori e maggiore fortuna non avevano avuto le perquisizioni a sorpresa eseguite in ogni ora del giorno e della notte, festività comprese.
Era evidente che il latitante e i suoi familiari avevano trovato un modo di comunicare sicuro ed affidabile. Continua a leggere

La Volpe e L’uva

volpe-uva-3La volpe e l’uva, una delle più celebri favole attribuite ad Esopo, in senso metaforico, fare come la volpe significa reagire ad una sconfitta sostenendo di non aver mai desiderato quella vittoria.

Disprezzando ciò che non si è riusciti ad ottenere, ovvero la reazione della volpe, che è il tipico esempio di meccanismo di difesa, denominato “razionalizzazione”.

In parole semplici, consiste, nell’atteggiamento mentale di mascherare, quindi difendersi da sentimenti o comportamenti che si percepiscono in modo conflittuale con la realtà che viviamo.

La razionalizzazione è un meccanismo di difesa molto usato, anche se in maniera inconsapevole, ma è quello che ci allontana dalla nostra coscienza, poiché si tratta di un meccanismo di dissociazione.

Chi adotta tale meccanismo, riesce a stabilire una distanza ottimale tra ciò che è bene oppure no, con l’obiettivo di sconfiggere una fonte di insicurezza.

Tali strategie sono inconsce e comuni a tutti noi, nessuno escluso, e la razionalizzazione è il meccanismo di difesa più diffuso.

Ovviamente cambia la gestione di ciascuno di loro, i meccanismi di difesa sono molti e la nostra mente, ne adotta uno a seconda delle circostanze, se vogliamo in modo opportunistico, ma inconsapevole.

Affinchè assolvano il loro “compito” nel modo giusto, l’Io deve essere flessibile e saldo nello stesso momento, come una molla, estensibile, per resistere alle avversità che nella vita inevitabilmente si presentano, tante situazioni alle quali adattarsi, o riuscire a convivere, ma salda per non farsi sopraffare.

Riassumendo Freud ha denominato “Meccanismi di Difesa” quell’attività inconscia di cui si serve l’Io, nella lotta fra Super Io (grillo parlante) ed Es, ovvero trasgressione.

Quindi la “razionalizzazione” è la tendenza a spiegare, soprattutto a noi stessi, in modo razionale atteggiamenti, comportamenti che altrimenti non potremmo mai accettare.

Nel caso di questa straordinaria favola, la “volpe” razionalizza, dice di non prendere l’uva poiché è acerba, quando c’era invece la difficoltà di poterla cogliere.

Dal punto di vista grafologico, la scrittura della persona che sta utilizzando quel meccanismo di difesa apparirà chiara, formata bene, equilibrata, ciò significa buona gestione dello spazio, ovvero del foglio in cui si sta scrivendo, non ci sarà un bianco dilagante, che isola, il nero, cioè lo scritto non sarà opprimente.

Tutto ciò si traduce nella necessità della persona di spiegare in maniera chiara ed inequivocabile le proprie idee, di “giustificare”razionalmente” dei fatti o comportamenti che hanno una radice affettiva o un interesse generico che la persona non vuole rivelare.

Patrizia Belloni

 

Sincerità… Come capirla attraverso la scrittura?

E' la domanda che mi viene posta più spesso, specialmente nel periodo estivo, forse perché l'estate, le vacanze, sono portatrici sane di spensieratezza, i freni inibitori cadono, ci si libera di quei condizionamenti che non ci hanno mai abbandonato durante l'intero anno.
Forse sarà che in estate vengono trasmessi vecchi film, tipo “quando la moglie è in vacanza”, dove la seducente Marilyn Monroe, circuiva un povero marito rimasto da solo in città.
Infatti, sono soprattutto le donne a chiedermi se dalla scrittura si capisce se  il marito, fidanzato è sincero.
Bella domanda!

L'insincerità è un argomento molto delicato, un tema piuttosto spinoso e noi grafologi lo trattiamo con estrema attenzione, non nascondo che si presentano oggettive difficoltà a capirlo fino  in fondo, dal momento che non ci sono concrete corrispondenze di carattere  grafologico.

Spesso, chi mente, il bugiardo, ha problemi di adattamento nella società.
Si può mentire per uno scarso valore di sé, oppure per trarre dei vantaggi a proprio favore, sono molte le cause di insincerità e non ci consentono di isolare un comune tratto grafologico.

Ludvig Klages ( 1872-1956) filosofo, psicologo e grafologo, non considerava la sincerità come una qualità caratteriale, ma  semplicemente una forma di comportamento.
Sono pienamente d'accordo con questo pensiero, personalmente ho incontrato persone affidabili, irreprensibili e costanti dal punto di vista professionale, ma con una vita sentimentale, affettiva davvero disastrosa, a causa di inganni e bugie.

A livello grafico, l'affidabilità di una persona si esprime attraverso una scrittura omogenea ed uniforme, ovvero una coerenza di stile grafico per tutto il tracciato, la firma è compresa.
Per stile armonico si intende scioltezza, spontaneità e naturalezza nel coordinare i movimenti dell'intero  grafismo, assenza di gesti artificiali, per creare un effetto visivo piacevole.

La sincerità è una questione di volontà, di ragionamento, in qualsiasi rapporto umano, che sia professionale o di tipo sentimentale occorre una notevole dose di buon senso, elemento fondamentale, è il senso del rispetto verso  se stessi.

L'altra faccia della medaglia potrebbe essere...

Se mi trovo ad esaminare una scrittura, poniamo il caso, di una persona, che ha una zona media (Io) ben strutturata, un super Io, (grillo parlante) piuttosto taciturno, un Es (trasgressione) disinibito, sta a significare che il soggetto in questione, uomo o donna, indistintamente, riesce a gestire ed utilizzare i meccanismi di difesa a seconda della circostanza, senza lasciarsi punire dal Super Io.

Ciò non significa che debba essere necessariamente un bugiardo, chi ha determinate caratteristiche nella scrittura, ma sicuramente,  non avvertirà sensi di colpa se “per caso” si dovesse trovare nella scomoda situazione di dover mentire.
Sicuramente saprà trovare, inconsciamente, il modo di far apparire quella menzogna come atto dovuto, a fin di bene, per l'altro, ovviamente.

Viene denominato, sublimazione,quel meccanismo di difesa dove la pulsione viene sviata, spostata, verso uno scopo socialmente utile. Un esempio esplicativo, la curiosità sessuale diventa spirito scientifico.

Come si può vedere, in grafologia, come nella vita, nulla è poi così scontato, la scrittura ci parla ma ha il proprio linguaggio, che ci rivela l'unicità di chi scrive.



Patrizia Belloni





Editoriale

Cari lettori,

“Grafologia Magazine” compie in questi giorni il suo primo anno di vita in “rete”, una forma di comunicazione moderna, semplice e veloce ed al tempo stesso efficace, in grado di raggiungere tutti.

Il risultato, fino ad ora, è molto soddisfacente, tante persone ci scrivono, a volte ponendo quesiti piuttosto singolari, ma rispondiamo sempre con grande piacere ed un “pizzico “di orgoglio per aver   saputo risvegliare, spesso, interesse e curiosità, anche nelle menti più scettiche riguardo a questa materia.

A volte prendiamo spunto dai quesiti che ci vengono posti, per elaborare gli articoli, è un modo indiretto per rispondere a più persone, magari ci si riconosce in “quel” problema e così trovare una risposta, oppure la strada giusta per poterlo risolvere.

Un ringraziamento speciale da parte mia ai vari Professionisti che in questo anno si sono susseguiti, fornendo un contributo essenziale a questo progetto editoriale nel quale ho creduto da subito.

Ciascuno di loro ha messo a disposizione dei lettori le proprie competenze, maturate nel corso delle personali esperienze professionali e soprattutto umane.

Ci sono svariate riviste specializzate per noi grafologi, interessanti ma piuttosto tecniche, si usa una terminologia specifica per noi che lavoriamo in questo settore.

La mia ambizione era proprio quella, invece, di affrontare e divulgare una materia piuttosto complessa, quale la grafologia, con una modalità differente, accessibile, di facile comprensione anche per i non “addetti ai lavori”.

Spero di esservi riuscita, insieme a tutti i miei compagni di penna come mi fa piacere definire, in modo affettuoso chi si è speso a favore di Grafologia Magazine.

Patrizia Belloni

Freud e le tre istanze

Secondo Freud la rappresentazione della struttura della psiche è composta da: Io, Es, Super-Io.[1]

Quando nasciamo, siamo tutti Es, ovvero allo stato brado, assecondiamo le pulsioni, inseguiamo il nostro benessere fisico, il primo stadio.

Man mano che si cresce si fa strada il Super-Io, ovvero la sede delle proibizioni, si prende coscienza, riusciamo a distinguere il bene dal male.

Poi c’è l’Io, ovvero il mediatore tra queste istanze in conflitto.

Possiamo ritrovare i concetti di Feud anche nella famosa favola di Collodi, la celeberrima Pinocchio, quante volte l’abbiamo ascoltata e raccontata ai nostri bambini…

Ecco, Lucignolo rappresenta l’Es, la trasgressione, non riesce a controllare le proprie pulsioni, inseguendo il proprio piacere trasgredisce tutte le regole.

Pinocchio, l’Io della situazione, che non essendo abbastanza forte si faceva trascinare nelle avventure più disparate e a volte pericolose! Anche se tormentato dai sensi di colpa nei confronti del povero Geppetto, deluso da questo “bambino”.

A quel punto arrivava sempre il grillo parlante, la coscienza, il Super-Io, punitivo e vessatorio che puntualmente scaturiva crisi esistenziali a Pinocchio, ovvero ad un Io debole, poco strutturato per poter gestire una situazione così difficile.

Il piacere, la trasgressione da un lato ed il dovere, studiare, fare i compiti, rispettare l’anziano “genitore”, che dilemma!

A questo punto ci si chiede… cosa c’entra Pinocchio con la grafologia?

Nella scrittura si individuano i segni corrispondenti a ciascuna di queste tre istanze.

Noi grafologi, quando esaminiamo uno scritto, dal momento che viene richiesto un profilo psicologico, ci soffermiamo sugli elementi che soprattutto ci parlano dell’Io.

Che sia solido o meno, da lì si parte.

Ciò si evince dalla zona “media” della scrittura, riusciamo a capire se lo scrivente riesce a resistere ai richiami della trasgressione senza lasciarsi sopraffare da un Super-Io castrante.

Zona media, ovvero il piano orizzontale, la superficie della terra, ciò su cui ciascuno di noi poggia i piedi, la concretezza in cui ci muoviamo, la direzione verso una meta da raggiungere, l’incontro con l’altro e soprattutto l’adattamento.

E’ proprio su quest’asse, l’orizzontale, che raffigura l’immagine temporale che intercorre tra ciò che è stato e ciò che sarà.

Se la zona media è salda e ben strutturata, sicuramente non si farà “trascinare” da un movimento captatore, che cercherà di renderla debole, in balìa degli eventi.

[1]Freud, L’io e l’Es, 1923

Patrizia Belloni

Indagini grafologiche un’arma in più per l’investigatore

Un buon investigatore non si arrende neanche davanti ai casi più difficili. La ricerca della soluzione non si abbandona mai e viene cercata, attesa, agognata anche per anni, sino a quando finalmente arriva, seppure a notevole distanza temporale dall’evento delittuoso. Una fortunata serie televisiva americana li ha fatti conoscere al grande pubblico con il termine inglese “cold case” tradotto letteralmente casi freddi, per intenderci quei casi rimasti senza risposta in cui le indagini non sono servite a dare un nome, cognome e volto all’autore del crimine. I motivi per cui un indagine è risultata improduttiva possono essere molteplici, tra questi vi sono lo shock emotivo del momento e la paura che si impadroniscono dei testimoni e che il passare del tempo riesce ad affievolire. Il caso che segue ne è un tipico esempio e la sua scelta risiede nel ruolo di tutto rilievo avuto dall’utilizzo delle conoscenze grafico-grafologiche.

Fu proprio in conseguenza di una lettera anonima scritta a mano indirizzata ai carabinieri di quel piccolo paese della provincia calabrese a indurre il comandante giunto da poco più di un anno a riaprire le indagini sull’omicidio di due agricoltori e il tentato omicidio di un ragazzo quindicenne che viaggiava con loro a bordo di un veicolo Ape 50 cassonato a tre ruote, avvenuto quattro anni prima nelle campagne della parte alta del poggio collinare. Si era trattato di un vero agguato finalizzato all’eliminazione di un intero nucleo familiare. Le vittime infatti erano state il capo famiglia Domenico di 42 anni e il figlio Francesco di 19 anni mentre l’altro figlio Giuseppe di 15 anni era miracolosamente sopravvissuto.

Gli investigatori dell’epoca in sede di sopralluogo si trovarono di fronte ad uno scena di inaudita brutalità, due corpi senza vita attinti da ripetuti colpi d’arma da fuoco calibro 357 magnum con materia cerebrale sparsa sul terreno ed un terzo corpo agonizzante con porzioni di testa e addome gravemente lesionati.

Quella famiglia di modeste condizioni economiche che viveva del lavoro della terra era stata punita. Ma a tale punto di partenza rimasero gli investigatori non potendo avvalersi di nessun altro elemento utile per lo sviluppo delle indagini ne di testimonianze. L’unico sopravvissuto rimasto a lungo in stato di incoscienza tra la vita e la morte aveva riportato menomazioni gravissime, una parte della testa era scoppiata insieme ad un occhio e una parte altrettanto importante dell’addome con l’intestino era stato irrimediabilmente asportata. Le dichiarazioni del sopravvissuto, rilasciate dopo diversi giorni dall’accaduto, risultarono lacunose, per alcuni aspetti omissive e comunque insufficienti ad indirizzare le indagini in una precisa direzione o su di un sospettato. La paura e lo shock emotivo avevano rappresentato per quattro anni un ostacolo insuperabile per qualsiasi persona in grado di riferire fatti e circostanze. Ma quella mattina una mano seppure protetta dall’anonimato aveva avuto il coraggio di fare nome e cognome del pluriomicida. “Vincenzo C…… ha ucciso Domenico e Francesco M……. perché non avevano pagato il pizzo”.

Il comandante dei carabinieri si fece portare subito il fascicolo delle indagini che si trovava oramai in archivio da qualche tempo senza grosse speranze di soluzione. Ma quale attendibilità poteva avere quella lettera dopo quattro anni dagli omicidi? E chi aveva scritto quella missiva una volta identificato sarebbe stato in grado di riferire notizie utili per smascherare l’assassino? In realtà quella lettera non arrivava per caso, perché in quei giorni il comando dei carabinieri aveva concluso un’importante indagine su vari episodi delittuosi in cui contadini, operai e persino portalettere erano state vittime di richieste estorsive di danaro precedute da minacce di morte o seguite in caso di tentennamenti nel pagare il pizzo da violente azioni a mano armata. Un’intera frazione di abitanti era sotto il barbaro controllo di pochi violenti che con metodi mafiosi pretendeva e otteneva di vivere sulle spalle degli altri residenti della zona.

Il duplice omicidio era divenuto un vanto per gli estorsori che ne facevano monito nel sollecitare il pagamento del pizzo.

Gli investigatori avevano scoperto una realtà superiore ad ogni immaginazione, ogni famiglia della zona era chiamata a versare, solo per continuare ad avere il diritto di vivere in quella povera area rurale, somme di danaro variabili tra i 3.000 e i 50.000 euro.

La fiammella della speranza nella legge dello Stato si era nuovamente accesa negli abitanti di quella piccola frazione abbandonata nelle mani dei violenti e quel manoscritto ne era una testimonianza, bisognava agire rapidamente per evitare che si spengesse definitivamente.

Il comandante dei carabinieri fatta una mappa dei potenziali autori dello scritto li convocò uno ad uno in ufficio facendogli scrivere in corsivo una dichiarazione relativa ai propri dati anagrafici e di famiglia. Ben presto fu chiaro che l’autore della missiva era stata Maria, la figlia di Domenico scampata al massacro perché quel giorno non era andata assieme al papà ed ai fratelli a lavorare la terra.

Maria messa davanti all’evidente coincidenza delle due scritture confermò le sue accuse rendendo noto per la prima volta che l’agguato mortale ai suoi familiari era stato perpetrato da Vincenzo C., in conseguenza di una richiesta estorsiva di 3.000 euro non corrisposta. Le dichiarazioni di Maria non avrebbero però avuto effetti in sede giudiziaria se non fossero sopravvenute le dichiarazioni di un testimone oculare dell’accaduto che fino ad allora aveva taciuto paralizzato dalla paura di nuove azioni omicidiarie. Il giovane Giuseppe gravemente e brutalmente offeso nel corpo e nell’anima, sopravvissuto per caso o per volere divino, liberato dall’angoscia di attirare con la sua testimonianza le ritorsioni degli estorsori della zona, rese finalmente una dichiarazione piena e determinante per inchiodare alle sue responsabilità penali Vincenzo C., condannato poi all’ergastolo, che quel giorno sicuro dell’esito mortale dell’agguato e dello stato di totale assoggettamento dei residenti della zona aveva agito a volto scoperto.

Roberto Colasanti