a cura di Gabriele Colasanti
Talvolta si definisce il contenzioso giudiziario come un bagno di sangue per la parti coinvolte. In tale ottica, si suole pensare il contenzioso possa ripercuotersi solamente fra i “protagonisti”.
Diversamente, i consulenti tecnici possono trovarsi a loro volta chiamati in causa in ragione dell’attività professionale svolta. In questa sede non si farà menzione dei doveri ed obblighi normativi ma si farà cenno ad una sentenza della Suprema Corte ( Cassazione, sesta sezione penale, n. 5300 del 2011) all’esito di un procedimento che ha interessato quale persona offesa il consulente tecnico grafologo del Procuratore della Repubblica di Ariano Irpino.
Nel caso di specie la Suprema Corte ha prosciolto perché “il fatto non sussiste” dall’imputazione di cui all’art. 336, co. 1, Cod. Pen. (violenza o minaccia a pubblico ufficiale) l’imputato di un procedimento penale che aveva citato in giudizio (sede civile) il consulente grafologo del Procuratore per “danno da stress da giudizio”.
In primo grado e in sede di appello l’imputato era stato condannato sull’assunto di aver citato il consulente grafologo al fine di determinare in questo una situazione di apparente incompatibilità, per costringerlo a compiere un atto contrario ai propri doveri o ad omettere, in tutto o in parte, atti del proprio ufficio (nella specie condizionare la testimonianza del consulente tecnico del p.m. nel dibattimento relativo a quel procedimento penale, nonché determinare la rinuncia ad altri incarichi già ricevuti in tre procedimenti civili).
Diversamente la Suprema Corte ha prosciolto (cassato senza rinvio) l’imputato, difeso da un notissimo avvocato penalista, affermando il principio di diritto che l’effettivo esercizio di un’azione civile, mediante la notificazione di un atto di citazione (o il deposito di un ricorso, secondo il rito), ancorché motivato da ragioni strumentali rispetto al diritto vantato, non integra il concetto penalistico di minaccia o violenza.
In motivazione è stato detto che per contrastare l’azione civile pretestuosa e quindi temeraria l’ordinamento giudiziario ha previsto dei rimedi specifici quali la responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ. e il consolidato orientamento secondo il quale non basta la semplice denuncia del giudice o del consulente per richiederne la ricusazione.
Sembra opportuno fare qualche considerazione che vada al di là dei tecnicismi legali. Una sentenza di questo tipo deve far riflettere coloro che si avvicinano alla professione. Occorre considerare l’eventualità di vedersi chiamati a rispondere anche dai diretti destinatari degli effetti della consulenza grafologica. Certamente risulta maggiore la responsabilità del consulente d’ufficio rispetto al consulente di parte. In quest’ultimo caso avrà particolare rilievo il rapporto professionale con la parte assistita con la quale si instaura un rapporto di prestazione d’opera professionale. In tale contesto è consigliabile predisporre dell’apposita modulistica di “lettera di incarico” con l’ausilio di un legale.
A beneficio dei lettori, in particolare dei grafologi, sentenza 5300/2011.