In Italia nell’anno 2014 il valore economico dei beni d’arte sequestrati perché ritenuti contraffatti è stato stimato in circa 427 milioni di Euro.
Nel caso delle opere d’arte la truffa si basa nella stragrande maggioranza dei casi sulla falsa realizzazione o riproduzione di opere attribuendole ad artisti conosciuti e ben valutati sul mercato, corredandole da certificati di garanzia e spesso da expertise altrettanto falsi.
La scoperta dell’opera contraffatta avviene molte volte a distanza di un notevole lasso di tempo dall’acquisto quando il compratore decide a sua volta di rivenderla oppure semplicemente di mostrarla in pubblico, attraverso il coinvolgimento di esperti d’arte conoscitori delle tecniche esecutive e grafiche dell’artista oppure da parte dei rappresentanti delle fondazioni del medesimo autore costituitesi alla sua morte, in cui trovano collocazione in primis gli eredi.
Il riconoscimento della mano dell’artista nella realizzazione dell’opera e della sua firma risulta sovente demandata a soggetti privati che nel certificare l’autenticità o meno del bene d’arte ed assumersi l’onere di attribuire un dipinto ad un autore ben quotato come ad esempio Warhol determinano di fatto un valore che può variare da qualche milione di euro a poche centinaia di euro ovvero nel caso di un falso al costo vivo del materiale utilizzato (tela, colori, etc.).
Si tratta di un responso con effetti economicamente rilevanti con distanze a volte abissali tra il valore venale dell’opera originale e la copia, proveniente da consulenti o rappresentanti di fondazioni privi del requisito della terzietà o comunque non collocati al di sopra delle parti in causa.
In questo contesto così complesso in cui si mescolano arte, cultura, finanza e malaffare ove si muovono in vario modo artisti, storici e studiosi dell’arte, commercianti e imprenditori di vario genere e caratura, è giusto domandarsi se il professionista grafologo possa ricoprire un ruolo più o meno determinante nel discernere l’autentico dal falso.
Per rispondere a tono a questa domanda occorre comprendere su quale materiale il consulente grafologo incaricato potrà rivolgere le sue indagini.
Nella prassi, l’autore suole firmare i propri dipinti in vari modi mediante una sigla più o meno complessa apposta con gli stessi utensili impiegati per dipingere l’opera oppure attraverso l’utilizzo di pennarelli o oggetti similari per scrivere sul retro del dipinto una dedica personalizzata.
In questo caso il consulente grafologo rivolgerà la sua attenzione direttamente sull’opera da esaminare avendo cura di procurarsi l’indispensabile campionario di scritture e firme per l’analisi comparativa. La difficoltà di poter disporre di un adeguato quantitativo di materiale di raffronto potrebbe perciò rappresentare un evidente limite al suo operato, ma il medesimo discorso vale anche per le altre figure professionali di esperti chiamati a pronunciarsi in proposito.
Altri documenti sui quali il consulente grafologo potrà provare ad espletare le proprie indagini con costrutto sono rappresentati dai certificati di garanzia di autenticità dell’opera rilasciate a firma dai galleristi o commercianti autorizzati ed infine dall’expertise sottoscritte da esperti d’arte.
In conclusione si può affermare che l’operato del consulente grafologo in questo ambito di indagine, ovvero dei falsi d’autore, possa trovare una valida applicazione potendo fornire risposte altamente qualificate e professionali.
Roberto Colasanti