Nella stragrande maggioranza dei casi, una perizia espletata per determinare la “paternità” di una scrittura, termina con un’identificazione o esclusione “certa”. Questo di per sé non sarebbe un dramma se, di fatto, non accadesse che le perizie di parte avverse giungano – praticamente sempre – a “certezze” contrastanti; la cosa sconvolgente è che nessuno si preoccupa del fatto che proporre al Giudice “certezze” contrastanti sta ad indicare o la poca fede di qualcuno o la scarsa affidabilità delle perizie; scaricare sul Giudice, anche, la responsabilità di smascherale la poca fede o la poca affidabilità di una consulenza tecnica, a nostro modesto avviso, è deontologicamente scorretto.
Le conclusioni di “certezza” sono tecnicamente e scientificamente inaccettabili. Tutte le determinazioni tecnico-scientifiche, comunque e da chiunque eseguite, hanno sempre associata un’incertezza di misura e limiti fisici. Per ultimo va osservato che i dati scientifici devono essere interpretati e con l’interpretazione si può ricadere nella soggettività.
Per comprendere meglio questo concetto, si prenda ad esempio il precorso seguito in un’indagine medica (per alcuni versi simile a quella che dovrebbe essere la procedura da intraprendere in una corretta analisi di comparazione delle scritture).
Il medico visita il malato e, in base ai sintomi, cerca di capire che tipo di malattia lo affligge. In seguito richiede una serie d’esami clinici atti a supportare la diagnosi. Un bravo medico, nelle analisi cliniche, cerca conferme o smentite alle proprie ipotesi. Il medico sa che le analisi cliniche possono essere di grandissimo ausilio ma che non danno certezze. Le analisi cliniche, così come tutte le analisi strumentali, hanno limiti e incertezze e il risultato, di una specifica analisi, può dipendere da malattie diverse. Inoltre, un medico coscienzioso, sa bene che bisogna “incrociare” analisi diverse e differenti interpretazioni dello stesso sintomo. Purtroppo avvengono, anche, diagnosi errate che possono dipendere da errori nelle analisi (molto di rado) o da una loro errata interpretazione. Ovviamente gli errori d’interpretazione si riducono con l’esperienza e con l’aver esaminato casi simili.
Così come il medico, il perito grafico nominato dal giudice esamina il documento sotto indagine e “ipotizza” come stanno le cose. Per cercare conferme o smentite si appoggia, quando possibile, a indagini tecniche. Un bravo perito non si limita a cercare conferme alla sua tesi iniziale. Esso deve cercare elementi che la neghino; non trovarli corrobora l’ipotesi ma ciò non fornisce certezza (non trovare un cigno nero non significa che “certamente” tutti i cigni sono bianchi). Inoltre, così come il bravo medico, il perito non deve aspettarsi, dalle indagini tecniche, certezze. Se così fosse la risposta ai quesiti, di fatto, non verrebbe fornita dal perito ma dal tecnico che ha eseguito l’analisi. Chi si fiderebbe di una diagnosi non fornita dal medico ma dai tecnici che operano nei laboratori di analisi cliniche? Ovviamente nessuno. Parimenti, il perito esperto di comparazione delle scritture è colui che interpretando, in base alla propria esperienza professionale, i dati tecnici (acquisiti in proprio o tramite l’aiuto di laboratori/tecnici specializzati) fornisce la risposta ai questi formulati dal giudice.
Per una corretta interpretazione dei dati provenienti dalle indagini tecniche è indispensabile, oltre ad un’ovvia esperienza, una conoscenza critica dei limiti e delle potenzialità delle tecniche utilizzate. L’identificazione o l’esclusione “certa”, nella maggior parte dei casi, non dipendono dall’impreparazione del perito. Purtroppo è opinione comune che un giudizio di “certezza” dia una dimostrazione di maggiore capacità tecnica; al contrario, un giudizio di probabilità implica scarsa preparazione e poche conoscenze tecnico-scientifiche. Inoltre, il committente, per finalità diverse, secondo il ruolo rivestito, si aspetta dall’identificazione un giudizio “certo”, ritenuto, per prassi errata, ma storicamente radicata, l’unica formulazione spendibile processualmente.
In realtà i periti dovrebbero condurre le analisi forensi da un punto di vista obiettivo e neutrale. Non appartiene alla responsabilità del perito supportare la tesi di chi ha conferito l’incarico. In particolare nelle perizie di parte non spetta al perito provare “con certezza” una particolare tesi. La deontologia professionale impone sempre un esame oggettivo il perito di parte non ha il compito di screditare o contraddire la perizia avversa; ovviamente se questa è corretta e tecnicamente ineccepibile. Esso ha il dovere di coadiuvare l’avvocato nello scegliere la strada che meglio tutela il cliente.
Quando le scoperte del perito di parte sostengono la posizione del cliente, questi elementi possono essere utilizzati dagli avvocati come elemento a favore. In ogni caso il perito deve rimanere neutrale; non è responsabilità del perito “vincere” un caso. La pessima abitudine di screditare la professionalità degli altri periti, messa in atto quando non vi sono argomentazioni a proprio favore, dovrebbe essere acquisita dal Giudice come elemento a sfavore; si denigra perché non si hanno in mano elementi probatori oggettivi.
La comunità scientifica internazionale pone sempre maggiore attenzione al problema dell’incertezza nelle analisi forensi. Inoltre ci sono sforzi a livello internazionale per trovare una soluzione accettabile al problema della determinazione oggettiva dell’incertezza in rapporto alla prova. Questo è ancora un problema aperto e oggetto di approfonditi studi.
Prof. Giuseppe Schirripa Spagnolo
Dipartimento di Matematica e Fisica, Università degli Studi Roma Tre