Considerazioni sul disconoscimento della firma

A cura di Patrizia Belloni

L’ autenticità non dipende dalla sola affermazione dell’autore.

Il quesito più ricorrente che viene posto al grafologo giudiziario, è quello di accertare l’autografia o l’apocrifia di una firma, che essa sia stata apposta su un assegno, oppure su un contratto di qualsiasi genere, piuttosto che su un testamento.
Il secondo quesito, è che la vittima del presunto raggiro vuole sapere l’identità del falsario.
Se insorgono dei sospetti su una persona specifica, allora, in quel caso, il consiglio è di reperire più scritti possibili, firme su documenti ecc… al fine di poter effettuare delle comparazioni.
Lo psicologo e grafologo M. Pulver, in “Le simbolysme de l’ecriture”, sostiene che “ la forma del linguaggio grafico non dipende principalmente dalla mano, ma da quelle parti corticali del cervello da cui partono gli impulsi motori che guidano il movimento”.
Tutto ciò rende quella firma “unica”, nonostante non si possa sottovalutare il range di variabilità grafica insito in ogni scrittura, infatti a volte basta davvero poco per far in modo che appaia con qualche piccola variazione.
Una posizione scomoda del nostro corpo, ad esempio se firmiamo stando in piedi, oppure su un supporto cartaceo ruvido oppure abraso, addirittura uno stato d’animo particolare possono fare in modo di modificare la scrittura.
Ma questo, contribuisce soltanto in modo superficiale, esteriore, a modificare la scrittura o firma, infatti il compito del grafologo giudiziario, è proprio quello di capire la vera essenza dello scrivente, in modo da poter interpretare nel miglior modo possibile la scrittura.
Il primo elemento da considerare, è il metodo con il quale la persona conduce il percorso grafico, elemento innato, del tutto caratteristico, che si può riconoscere anche in caso di disturbi senili oppure di natura nervosa.
Pressione e tratto, come già ricordato, sono elementi imprescindibili dal nostro essere, impostazione e presa di possesso dello spazio, ovvero il modo di “distribuire” il nome e cognome sul foglio e lo spazio che intercorre tra di loro.
Questi sono gli elementi più importanti da valutare quando ci troviamo ad analizzare una firma, fanno parte degli otto generi della scrittura e non possiamo non prenderli in considerazione anche quando…si rivolge al grafologo giudiziario una persona che intende disconoscere la propria firma, dice di essere vittima di un raggiro, ma… guardandola e facendo un confronto con le altre firme, apposte su patente, carta d’identità mi accorgo che la firma oggetto di perizia è totalmente compatibile con le altre.
Ugualmente e paradossalmente apposta nella più totale buona fede nel momento in cui l’ha vergata su un contratto, quindi del tutto spontanea, libera da condizionamenti, ben disposta dal punto di vista psicologico, insomma un movimento “ben guidato”.
Salvo poi pentirsi successivamente, non prendere in considerazione il diritto di recesso, sovente previsto dalla legge, e credere che la cosa più intelligente da fare sia quella di asserire che la firma non è autografa.
Il disconoscimento della propria firma, quando nel caso specifico è stata apposta nella più totale buona fede, è una battaglia persa, se il gesto grafico è spontaneo, quindi volontario, scevro da condizionamenti ed inibizioni, perché in quel preciso istante apporre “quella” firma sul contratto in questione era ciò che la persona voleva e desiderava fare.
Altra cosa, è quando si firma in modo diverso, tentando di cambiare quegli elementi caratteristici del proprio gesto grafico, premeditando di disconoscerla in seguito.
In questo caso, una mente già “preparata” a guidare la propria mano in modo differente dal solito, può fare insorgere in un primo momento dei dubbi al grafologo.
Ma una firma falsa può essere facilmente riconoscibile, spesso anche a vista d’occhio, senza avere bisogno di usare chissà quale strumentazione, se mancano i due requisiti fondamentali, ovvero: naturalezza – spontaneità, dal momento che i due termini in perizia grafologica non sono sinonimi.
Come citano Ottolenghi e Silveri sul libro “teoria e pratica del diritto” di Bruno Vettorazzo: “Solo dopo constatata la naturalezza-spontaneità (credibilità) dello scritto o firma si passa al confronto, perché la credibilità equivale a naturalezza e spontaneità ma non ancora ad autenticità”.

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Il labirinto delle relazioni umane: un valido aiuto dalla grafologia

A cura di Elettra Spinelli
Le relazioni umane, necessarie alla stessa sopravvivenza dell’uomo, sono l’ambito  più complesso in cui l’individuo debba muoversi.

Partendo dal presupposto che è molto difficile arrivare a conoscere realmente se stessi, figuriamoci riuscire a farlo con un altro! Eppure tutti noi viviamo nella convinzione di conoscere chi ci circonda, saperne valutare  pregi e difetti, e addirittura essere in grado di capire ciò che spinge gli altri ad agire. E più le persone ci sono vicine, più ci illudiamo di conoscerle, muovendoci ignari in questo equivoco, in totale buona fede.

Ed è proprio questa inconsapevolezza che ci impedisce di filtrare ciò che mettiamo di nostro nella relazione rispetto alla realtà oggettiva  dell’altro.

A chi non è capitato, almeno una volta, di sentire  parlare  del  proprio genitore, o del proprio figlio, o del coniuge, o di un amico fraterno, e di avere  la precisa sensazione  che la persona descritta fosse molto diversa da quella conosciuta, quasi si trattasse di qualcun’altro. Tra figli e genitori questo succede frequentemente, proprio per il particolare tipo di relazione che rinchiude i soggetti in precisi ruoli, ognuno nella sua dimensione specifica,  impedendo il raggiungimento di una visione piena ed obiettiva dell’altro e di tutti quegli aspetti particolari che pur esistenti, sono meno visibili rispetto al   ruolo ricoperto nella relazione. E’ abbastanza normale per un figlio non riuscire a pensare ad un genitore come al ragazzo che è stato, non riconoscendo in lui  quelle componenti caratteriali acquisite prima ancora che lui nascesse e che hanno contribuito a renderlo l’uomo e il padre  di oggi.

Così come è altrettanto tipico da parte del genitore non riuscire più a ricordare se stesso  all’età del figlio e quindi  entrare in empatia con le sue emozioni, non comprendendo più alcuni aspetti comportamentali propri di quell’età.  Ed è in questo “caos” relazionale, dove ciascuno si muove con i propri paraocchi seguendo il copione specifico per il ruolo assegnato, che ancora una volta la grafologia può dare un grande aiuto consentendo, attraverso la sua applicazione,  la comprensione della personalità dello scrivente con oggettività, eliminando il più possibile tutte le componenti soggettive  che inquinano le valutazioni e i giudizi.

E la  comprensione dell’altro è la base di ogni relazione umana. Di recente mi è capitata tra le mani una lettera scritta da una persona a me molto cara, con cui ho condiviso la vita per oltre 10 anni e a cui, naturalmente, nel corso della nostra convivenza ho attribuito una sfilza di difetti, certa della oggettività del mio infallibile giudizio! Ai miei occhi era un uomo  prevedibile, dal pensiero poco elastico, molto conservatore e perfino un po’ monotono.

Spinta dalla  passione grafologica e da una buona dose di curiosità, a sua insaputa ho cominciato ad analizzarne la scrittura, impegnandomi ad essere il più possibile  rigorosa nell’analisi.

Alla fine del lavoro, e con grande stupore, il profilo grafologico che ne è scaturito raccontava di una personalità molto diversa da quella impressa da sempre nella mia mente, in cui intraprendenza, ambizione, versatilità mentale, creatività e capacità di adattamento, spiccavano come dominanti tra le sue numerose qualità .

E nonostante gli anni condivisi, solo a quel punto ho veramente compreso quanto il (pre)giudizio che avevo formulato su quell’uomo fosse il risultato di false credenze e proiezioni tutte mie dandomi così la possibilità di aprire gli occhi e  vedere quella parte di lui, riflessa nella scrittura, che fino a quel momento mi era stata invisibile .