I segni dell’anima attraverso la scrittura

Scrivere “bene”, avere una grafia chiara, leggibile, è molto importante in quanto, facilita al massimo la comunicazione. Franca Finelli

Ma andiamo per ordine, la parola “calligrafia” deriva dall’unione di due parole greche: kalos e graphia che vogliono dire appunto, bella grafia e non come si dice comunemente bella calligrafia in quanto significherebbe una ripetizione del termine kalos.

In questo frangente, io per prima non sono un buon esempio, già ai miei tempi, non esisteva più l’esercizio di bella scrittura che serviva ad “educare” all’uopo.

L’annullamento di tale esercizio, sentito come una coercizione, lasciò libero spazio alla capacità personale o comunque ad una fase di esternazione del proprio carattere.

Personalmente, al mio attivo ho, tra le tante, due esperienze molto significative che vale la pena citare.

La prima riguarda l’invio di una certa somma di danaro il cui destinatario non riusciva a comprenderne l’importo, la seconda riguarda la prova scritta di italiano al mio esame di maturità classica: due ore per scrivere il tema in “brutta” e ben quattro per ricopiarlo in modo leggibile.

Ciò dimostra quanto sia difficile, scrivere in un modo che non ci appartiene, di quanto impegno cerebrale e fisico venga investito, rendere il mio tema di facile accesso all’insegnante che avrebbe dovuto valutarlo è stata una vera impresa.

Il resto delle esperienze le ho raccolte in campo lavorativo, sono un’insegnante di italiano al liceo scientifico “Ignazio Vian” di Bracciano, a volte passo ore intere a decifrare quanto scrivono i miei alunni.

Ma cosa c’è dietro una “bella” o “brutta” scrittura? A mio avviso quella differenza rappresenta unicamente la diversità dei caratteri di ciascuno di noi, il modo di approcciarsi ai problemi e di risolverli, ai differenti stati d’animo.

Ricordo perfettamente l’ansia che provavo quando dovevo fare un compito, frutto non solo di studio ma anche di pensiero: un pensiero coerente che non poteva eticamente tradire quei valori in cui credevo.

L’ansia di riuscire bene per non deludere le mie aspettative ma anche quelle dei miei genitori che in me avevano investito tanto.

Il sacrificio anche fisico, svegliarsi molto presto al mattino per raggiungere il liceo “Lucrezio Caro”, essendo una pendolare, non tornare a casa prima delle 15,00 o anche più tardi, e poi svolgere i compiti per il giorno dopo.

Mio figlio mi direbbe :”sei in pieno libro cuore”… può darsi, che ora la cosa possa sembrare così, ma io lavoravo con orgoglio, andare al liceo, per me significava credere nel futuro, nella mia capacità di dare un contributo importante alla società, avere la certezza che quel “sacrificio” non sarebbe stato vano, che avrei raccolto dei frutti.

Evidentemente, tutto ciò lo trasmettevo attraverso la mia grafia, l’ansia che mobilita, la stanchezza fisica e mentale, il senso del dovere, non deludere le aspettative…forse, incosciamente, era un moto di ribellione, staccarmi, attraverso la grafia indecifrabile, dagli stereotipi, rivendicare un senso di trasgressione…di libertà.

Voglio concludere dicendo che secondo me, la grafia è lo specchio dell’anima.

Prof.ssa Franca Finelli

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