L’importanza della psicologia della scrittura nella perizia grafologica

a cura di Patrizia Belloni

Grafologa giudiziaria

In ciascun essere umano, vi è una parte non visibile, nascosta, è quella parte, dove aspetti ambientali, culturali, religiosi, hanno contribuito alla formazione del carattere ed a strutturare la personalità di ogni individuo, quella zona “franca” che custodiamo gelosamente, dove ogni tanto ci si rifugia, dove riappaiono i ricordi.

Anche l’interiorità, la parte più profonda diognuno di noi, che viene custodita gelosamente, può diventare comprensibile, decifrabile,
grazie anche alla scrittura, alla traccia che si lascia sul foglio bianco.

Il linguaggio scritto, rappresenta una impronta personale, unica, che  attraverso uno studio ricercato, può rivelare l’identità dello scrivente, infatti, attraverso il percorso, o tracciato grafico, si possono capire sia gli aspetti caratteriali, ovvero, il temperamento, il tipo di intelligenza, l’affettività che una persona è in grado di dare ma anche di ricevere, il grado di socialità, inclinazioni dal punto di vista lavorativo.

Chi si occupa, come me, di grafologia giudiziaria, sa bene quanto la perizia grafotecnica sia importante, la possiamo definire “l’arma” legale, una significativa risorsa che permette di risalire all’autore, ad esempio, di una lettera anonima, oppure della falsificazione di un testamento, addirittura di un biglietto lasciato sul luogo di un delitto.

Altresì, la grafologia giudiziaria, impone una rigorosa applicazione della metodologia, che, unitamente all’ausilio della psicologia della scrittura, rendono un contributo necessario per la ricerca della verità.

Il termine “perizia” deriva dal latino, e significa, come molti di voi sapranno, conoscenza acquisita con esperienza, capacità, abilità, ed il termine deriva dal verbo perire, che in parole semplici, significa andare al di là, oltre le apparenze.

Andare oltre le apparenze… vuol dire, per un grafologo giudiziario, non soffermarsi sulla morfologia, ovvero sulla forma delle lettere, ma vedere, e non guardare soltanto, tutti gli altri aspetti grafici, che sono molti, per giungere ad una conclusione, possibilmente quella giusta.

Anche se, viene insegnato che la forma è il genere grafico tra i più importanti, nella scala gerarchica, infatti i generi della scrittura sono otto, e la forma insieme alla dimensione, ovvero al calibro della lettere, è quella collocata ai primi posti.

D’altro canto però, non deve essere esaminata come un prodotto statico, ma, valutata nella sua dinamicità, scorrevolezza, fluidità ma soprattutto spontaneità, infatti, nessuna specie grafica dovrebbe essere valutata in modo isolato ma contestualizzata, presa in esame per quello scritto specifico.

L’applicazione statica, dei criteri inerenti alla morfologia, che esercitano alcuni periti grafici, li porta ad una valutazione spesso errata di omografia, ovvero, la conclusione: lo scritto è il frutto della mano di…

Fortunatamente si tratta di un metodo superato, che viene applicato non molto di frequente, in quanto produce non pochi danni, specialmente quando ci si trova a dover analizzare un testamento olografo, scritto da una persona anziana.

Il grafologo giudiziario, se professionista attento e scrupoloso, oltre ad  osservare l’aspetto morfologico, deve essere in grado di capire se quel testamento, pur essendo stato scritto effettivamente dal “de cuius”, ciò si capisce grazie alle scritture di comparazione, possibilmente coeve, (nelle persone anziane la scrittura cambia, si modifica, più velocemente rispetto ad un soggetto giovane)  cioè il più vicino possibile alla data del testamento, sia  effettivamente, frutto della sua volontà.

Spesso i testamenti olografi, sono il prodotto di una coercizione, costrizione di natura psicologica, (ricatto morale) oppure il risultato ottenuto  guidando la mano” del testatore, ed ancora…a volte il testo viene dettato da qualcuno.

Purtroppo, ci sono individui, che per far scrivere un testamento ad un anziano che sia parente o conoscente, gli somministrano alcoolici, o tranquillanti.

Tutte anomalie della scrittura che si palesano, o attraverso tremori diversi dallo stato naturale, dovuto all’età dello scrivente, infatti, i tremori dovuti alla vecchiaia sono diversi dai tremori di chi fa uso di sostanze che creano dipendenza, alcool o droghe, tremori dovuti all’incertezza di chi sta falsificando, oppure a lettere e parole frammentate, incerte, esitanti, soste ingiustificate specialmente nella firma.

Se all’interno di una scheda testamentaria, troviamo delle frasi sconnesse, per cui si evince una confusione della sfera cognitiva, e poi, magari troviamo che vengono citate date di nascita – luogo, giorno, mese ed anno-
di perfetti sconosciuti, ai quali è stato lasciato tutto ciò che la persona possedeva, allora, forse, un “piccolo” campanello di allarme si dovrebbe accendere.

Non mi stancherò mai di dire, che il compito che siamo chiamati a svolgere, è molto delicato, fare in modo di dare voce a chi non c’è più, far rispettare le sue vere volontà, non è cosa di poco conto, ma, con la superficialità con cui spesso si ha a che fare, vengono procurati molti danni, materiali e soprattutto morali alle famiglie di chi non c’è più.

Genuinità del testamento olografo. L’importanza degli indizi extragrafici

a cura di Roberto Colasanti 

Criminologo investigativo e della sicurezza

Il testamento olografo rappresenta come è noto la volontà di chi in vita vuol disporre del proprio patrimonio in previsione della morte seppure con i  limiti imposti dal codice civile. Le disposizioni testamentarie infatti non possono ledere la quota di legittima ovvero quella parte del patrimonio che per legge spetta agli eredi legittimari quali il coniuge, i figli e in mancanza di questi ultimi ai genitori. La quota  disponibile può variare secondo i casi dal 25 al 50 per cento del patrimonio del de cuius, ma non può riguardare l’intera massa ereditaria.

Totalmente libera è la facoltà di disporre del testatore in assenza dei suddetti  eredi legittimari anche in presenza di eredi legittimi quali fratelli, sorelle, zii, cugini e nipoti, sino al 6° grado di parentela. Nella realtà succede spesso che un fratello, una sorella, uno zio o una zia deceduti senza l’esistenza  in vita di coniuge, figli e genitori, abbia lasciato un testamento olografo in favore di soggetti estranei alla cerchia degli eredi legittimi che senza quel testamento sarebbero stati chiamati all’eredità nelle percentuali previste dal codice civile. In quest’ultima ipotesi il testamento olografo diviene a seguito della pubblicazione del notaio, titolo idoneo al trasferimento di proprietà di beni mobili e immobili dal de cuius all’erede ivi nominato.

La casistica degli eredi nominati per testamento olografo ed estranei alla cerchia della parentela ovvero degli eredi legittimi è piuttosto varia ed in alcuni casi il filo che lega il defunto all’erede nominato è alquanto labile se non addirittura invisibile per cui sorge altrettanto spontaneo il sospetto da parte degli eredi legittimi che il testamento olografo sia totalmente  o parzialmente falso oppure il frutto di altre illecite azioni.

Esprimersi sull’autenticità di un testamento olografo che rammentiamo per essere valido deve essere stato interamente manoscritto dal de cuius – in caso di contenzioso – è compito del giudice che si avvale di consulenti tecnici esperti di grafologia giudiziaria. La consulenza grafologica in questi casi si sviluppa attraverso la comparazione tra il testamento olografo in verifica e le scritture comparative acquisite nel corso delle operazioni peritali, da cui si potrà giungere ad una conclusione utile alla decisione della causa in un senso o nell’altro. Questo breve premessa serve per introdurre quegli elementi  che usualmente rimangono ai margini della consulenza grafologica. Stiamo parlando degli indizi extragrafici che costituiscono per chi indaga sia in ambito penale sia in campo civile, preziosi elementi per la ricerca della verità. Proviamo ad esemplificare per maggiore praticità.  Prendiamo il caso di un’anziana di oltre ottanta anni deceduta senza eredi legittimari che, apparentemente, un testamento olografo in favore di due estranei nominandoli unici eredi, escludendo in toto gli eredi legittimi.

Il primo indizio emerso dalla lettura del testamento è stato l’indirizzo di residenza indicato sull’atto che non coincide con quello risultante storicamente all’anagrafe e con la realtà dei fatti. Per quale ragione l’anziana signora avrebbe dovuto indicare un indirizzo di residenza diverso da quello reale rispetto alla data di sottoscrizione? Nessuna, perché l’indirizzo di residenza non è un elemento essenziale per la validità del testamento. Una logica spiegazione potrebbe essere che il testamento sia stato redatto successivamente all’avvenuto trasferimento della signora nella nuova residenza da persone che non avevano l’esatta cognizione della data di avvenuto cambio di residenza. Indagare ulteriormente su tale punto diventa quindi fondamentale.

Il secondo indizio ci viene fornito dalla seguente affermazione “…nelle mie piene facoltà mentali e fisiche e senza alcuna pressione nomino miei eredi…”  Si tratta di una formulazione non richiesta dalla legge per la validità del testamento ma che è stata inserita  per fugare i dubbi degli eredi legittimi sulle condizioni fisiche e mentali della de cuius e per salvaguardare esclusivamente i beneficiari a sorpresa dell’eredità. L’anziana signora avrebbe potuto motivare la sua scelta con maggiore raziocinio utilizzando una frase del tipo “nomino miei eredi universali i signori A e B perché sono gli unici che mi sono stati vicini nel sostenermi nelle difficoltà di questi ultimi anni”. Indagando su questo punto è stato possibile accertare che i due eredi hanno pubblicato il testamento pochi giorni dopo la morte della loro benefattrice senza porsi troppi problemi, dopo sette anni dalla presunta consegna del documento. Ma di fronte alla prospettiva di una quasi scontata reazione degli eredi danneggiati di impugnare il documento davanti all’Autorità Giudiziaria perché la signora in accordo con i due futuri eredi non ha deciso di fare un testamento segreto affidandolo ad un notaio? In questo caso il razionale lascia il campo all’irrazionale oppure dobbiamo ragionevolmente dubitare sulla genuinità del testamento. Anche la frase “senza pressione alcuna” deve alimentare il sospetto non avendo alcun senso per una persona libera nella persona e sana di mente. Gli unici che avrebbero potuto  esercitare pressioni sulla signora sono proprio i futuri beneficiari del testamento, ma in tale ipotesi  la signora avrebbe potuto denunciarli o  più semplicemente provvedere a redigere un nuovo testamento in data successiva, tale da rendere inefficace quello nelle loro mani.

Il terzo elemento di sospetto scaturisce dalla mancata indicazione nel testamento del patrimonio oggetto dell’eredità. La signora alla data di sottoscrizione del suddetto atto non aveva beni immobili ma solo il ricavato della vendita di un’abitazione che aveva versato sul suo conto corrente, ma di tutto ciò stranamente non vi era alcuna menzione.

Quello che è certo, è che dopo sette anni i due eredi nell’arco di sei giorni dalla notizia della morte della signora pubblicano il testamento accettando l’eredità senza ricorrere al beneficio dell’inventario, talmente erano sicuri dell’attivo patrimoniale. Infatti con l’accettazione dell’eredità non solo i crediti ma anche i debiti si trasferiscono agli eredi e si fa fatica a credere che degli estranei siano così idioti da rischiare di pagare il conto al defunto. Anche questo indizio ci induce a dubitare fortemente della genuinità del testamento ivi compresa la data di sottoscrizione.

Il quarto elemento di sospetto viene fornito ancora dalla lettura del testamento ove si legge che “..è l’unico ultimo atto con il quale si annullano i precedenti qualora fossero stati scritti”. Tale affermazione appare illogica e incoerente con quella precedente in cui dichiara il pieno possesso delle facoltà mentali e fisiche. Siamo di fronte a frasi incomprensibili se riferite ad una persona peraltro in possesso di un livello di istruzione superiore alla media. E’ notorio infatti che qualora una persona abbia scritto più testamenti nel corso della propria esistenza, l’ultimo in ordine cronologico sarà quello valido ed efficace per cui precisare qualcosa di superfluo serve solo per conferire una forza apparente ad un atto privo di una qualsiasi ragione di esistere.

Il quinto indizio   è costituito dai numerosi errori  di ortografia che non si addicono al livello di istruzione della de cuius e che soprattutto potevano essere eliminati riscrivendo il testamento su di un altro foglio, atteso che la signora non era in fin di vita, ne in precarie condizioni di salute.

In conclusione ritenendo di aver aperto una finestra sull’ampio panorama offerto dagli indizi extragrafici  è altrettanto opportuno rammentare come questi vadano letti e utilizzati in perfetta sintonia con il responso del grafologo giudiziario. Infatti una consulenza grafologica che attesti con assoluta certezza l’autenticità delle disposizioni testamentarie ovvero che siano state scritte di proprio pugno dal de cuius e la contemporanea presenza della tipologia di indizi sopra descritti dovrà indurre ad orientare le indagini in altre direzioni quali ad esempio i delitti di circonvenzione d’incapace ed estorsione.

Consulenza tecnica grafologica e indagini difensive per una simbiosi vincente

A cura di Roberto Colasanti

Gli odierni studi legali di successo conoscono molto bene l’importanza delle indagini difensive e se ne avvalgono oramai con assiduità tale da costituire il loro normale “modus operandi”.

Molti altri studi legali invece risultano meno inclini all’utilizzo delle indagini difensive in tutti i loro molteplici aspetti, anche in ragione del conseguente aggravio economico  da far sopportare al cliente, ritenendo di potervi ovviare con il solo studio degli atti a disposizione. Continua a leggere

Considerazioni sul disconoscimento della firma

A cura di Patrizia Belloni

L’ autenticità non dipende dalla sola affermazione dell’autore.

Il quesito più ricorrente che viene posto al grafologo giudiziario, è quello di accertare l’autografia o l’apocrifia di una firma, che essa sia stata apposta su un assegno, oppure su un contratto di qualsiasi genere, piuttosto che su un testamento.
Il secondo quesito, è che la vittima del presunto raggiro vuole sapere l’identità del falsario.
Se insorgono dei sospetti su una persona specifica, allora, in quel caso, il consiglio è di reperire più scritti possibili, firme su documenti ecc… al fine di poter effettuare delle comparazioni.
Lo psicologo e grafologo M. Pulver, in “Le simbolysme de l’ecriture”, sostiene che “ la forma del linguaggio grafico non dipende principalmente dalla mano, ma da quelle parti corticali del cervello da cui partono gli impulsi motori che guidano il movimento”.
Tutto ciò rende quella firma “unica”, nonostante non si possa sottovalutare il range di variabilità grafica insito in ogni scrittura, infatti a volte basta davvero poco per far in modo che appaia con qualche piccola variazione.
Una posizione scomoda del nostro corpo, ad esempio se firmiamo stando in piedi, oppure su un supporto cartaceo ruvido oppure abraso, addirittura uno stato d’animo particolare possono fare in modo di modificare la scrittura.
Ma questo, contribuisce soltanto in modo superficiale, esteriore, a modificare la scrittura o firma, infatti il compito del grafologo giudiziario, è proprio quello di capire la vera essenza dello scrivente, in modo da poter interpretare nel miglior modo possibile la scrittura.
Il primo elemento da considerare, è il metodo con il quale la persona conduce il percorso grafico, elemento innato, del tutto caratteristico, che si può riconoscere anche in caso di disturbi senili oppure di natura nervosa.
Pressione e tratto, come già ricordato, sono elementi imprescindibili dal nostro essere, impostazione e presa di possesso dello spazio, ovvero il modo di “distribuire” il nome e cognome sul foglio e lo spazio che intercorre tra di loro.
Questi sono gli elementi più importanti da valutare quando ci troviamo ad analizzare una firma, fanno parte degli otto generi della scrittura e non possiamo non prenderli in considerazione anche quando…si rivolge al grafologo giudiziario una persona che intende disconoscere la propria firma, dice di essere vittima di un raggiro, ma… guardandola e facendo un confronto con le altre firme, apposte su patente, carta d’identità mi accorgo che la firma oggetto di perizia è totalmente compatibile con le altre.
Ugualmente e paradossalmente apposta nella più totale buona fede nel momento in cui l’ha vergata su un contratto, quindi del tutto spontanea, libera da condizionamenti, ben disposta dal punto di vista psicologico, insomma un movimento “ben guidato”.
Salvo poi pentirsi successivamente, non prendere in considerazione il diritto di recesso, sovente previsto dalla legge, e credere che la cosa più intelligente da fare sia quella di asserire che la firma non è autografa.
Il disconoscimento della propria firma, quando nel caso specifico è stata apposta nella più totale buona fede, è una battaglia persa, se il gesto grafico è spontaneo, quindi volontario, scevro da condizionamenti ed inibizioni, perché in quel preciso istante apporre “quella” firma sul contratto in questione era ciò che la persona voleva e desiderava fare.
Altra cosa, è quando si firma in modo diverso, tentando di cambiare quegli elementi caratteristici del proprio gesto grafico, premeditando di disconoscerla in seguito.
In questo caso, una mente già “preparata” a guidare la propria mano in modo differente dal solito, può fare insorgere in un primo momento dei dubbi al grafologo.
Ma una firma falsa può essere facilmente riconoscibile, spesso anche a vista d’occhio, senza avere bisogno di usare chissà quale strumentazione, se mancano i due requisiti fondamentali, ovvero: naturalezza – spontaneità, dal momento che i due termini in perizia grafologica non sono sinonimi.
Come citano Ottolenghi e Silveri sul libro “teoria e pratica del diritto” di Bruno Vettorazzo: “Solo dopo constatata la naturalezza-spontaneità (credibilità) dello scritto o firma si passa al confronto, perché la credibilità equivale a naturalezza e spontaneità ma non ancora ad autenticità”.

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Problematiche connesse all’analisi delle riproduzioni di scritture

La consulenza grafologica in ambito giudiziario non è esente da contrasti giurisprudenziali sul metodo dell’analisi della scrittura.

Difatti, persiste un grande punto interrogativo sulla possibilità di una consulenza tecnica di comparazione della scrittura sulle riproduzioni (fotocopie, fax, scansioni, etc).

La possibilità dell’utilizzo della riproduzione riguarda tanto la valutazione dello scritto oggetto della contestazione quanto le scritture di comparazione di provenienza certa (quali ad es. atti pubblici). Se da un lato il problema della conformità della copia rispetto all’originale può essere superato dalla “copia autentica”, dall’altro lato occorre valutare l’idoneità o meno della fotocopia di porre in luce le caratteristiche della scrittura collegate alla persona e alla personalità dell’autore.

La Corte di Cassazione non si è espressa in modo uniforme. Così, si legge in una sentenza (Cass. Civ., Sez. VI-2, n° 20484 del 29.09.2014) che “in effetti soltanto nel documento originale possono individuarsi quegli elementi la cui peculiarità o addirittura singolarità consente di risalire, con elevato grado di probabilità, al reale autore della sottoscrizione in relazione alla conosciuta specificità del profilo calligrafico, degli strumenti di scrittura abitualmente usati, delle stesse caratteristiche psico-fisiche del soggetto rappresentati dalla firma; non può invece che risultare inattendibile un esame grafico condotto su di una copia fotostatica, essendo questa inidonea a rendere percepibili segni grafici personalizzati ed oggettivi” con un richiamo espresso ad una precedente pronuncia ( Cass. Civ., Sez. II, n. 1831 del 18.02.2000) secondo la quale “Solo se compiuta sul documento originale – in relazione al quale è configurabile l’accertamento dell’autenticità -la verificazione può utilmente condurre, in alternativa al riconoscimento, al risultato di attribuire la dichiarazione al suo apparente sottoscrittore. Tale attribuzione non potrebbe essere giustificata dalla verificazione operata su una copia (…)”.

Diversamente, secondo altro orientamento (Cass. Pen., n. 42938 del 21.11.2011) “Nessuna norma impone che la perizia grafologica su di un documento sospettato di falsità debba necessariamente svolgersi sull’originale e non su di una copia fotostatica”. (conforme, Cass. Pen., n. 7175 del 03.07.1979).

Il diverso approccio metodologico potrà derivare non solo dal modus operandi del consulente grafologo nominato CTU ma anche dalla peculiarità della singola fattispecie (si pensi al caso dell’irreperibilità di scritti di comparazione in originale) e/o dall’impostazione dell’Autorità Giudiziaria investita della questione.

Come orientarsi in caso di contenzioso?

Piuttosto che scegliere a priori di aderire ad una visione o all’altra si ritiene doveroso invitare i consulenti grafologi e le parti in causa a valutare caso per caso la metodologia da adottare assumendo quali parametri di riferimento i seguenti aspetti:

  • Oggetto dell’analisi grafologica (apocrifia del testo, disconoscimento della firma, alterazione del testo, datazione dello scritto, sovrapposizione di grafie, utilizzo di foglio firmato in bianco, etc) al fine di valutare in maniera critica la rilevanza di aspetti quali la pressione oppure di poter utilizzare strumentazioni tecniche che necessitano del documento originale (ad es. nel caso di analisi del supporto, dell’inchiostro, etc);
  • Disponibilità di documenti originali e/o possibilità di visionarli;
  • Affermazioni e contegno difensivo della controparte che potrebbero rendere pacifici alcuni aspetti facendo venir meno la necessità di valutare lo scritto originale (potendo essere sufficiente la fotocopia);
  • In caso di consulenza tecnica di parte (CTP) valutazione del metodo adottato dal CTU.

Gioverà all’indagine grafologica e alla conseguente perizia l’aver preferito l’analisi dei documenti originali.

Al contempo si evidenzia l’importanza di coinvolgere sin da subito il consulente grafologo nell’ambito di un contenzioso al fine di non fargli perdere l’opportunità di visionare e analizzare il documento autentico, di proporre quesiti per il consulente tecnico d’ufficio ed individuare gli scritti utili per la comparazione che l’avvocato potrà richiedere attraverso strategie difensive e/o in sede processuale.

Appare altresì preferibile consentire al consulente tecnico di parte di partecipare alle operazioni del CTU e di poter esprimersi per tempo con un metodo rigoroso.

Infatti, risulterebbe difficile presentare una consulenza di parte basata solo ed esclusivamente su fotocopie a fronte di una consulenza d’ufficio compiuta sugli originali.

Spunti di riflessione critica per i grafologi a beneficio anche dell’eventuale analisi preliminare onde evitare che le valutazioni iniziali debbano essere riviste o smentite alla luce di aspetti rilevabili solo dal documento originale.

Qualora la consulenza grafologica sia stata eseguita su copie occorrerà indicarlo specificando il livello di chiarezza e nitidezza del documento.

Una perizia coerente sotto il profilo logico e utilizzabile in ambito forense dovrà, inoltre, contenere l’indicazione degli aspetti che si sono potuti valutare e comparare lavorando sulle copie nonché le ragioni della possibilità tecnica e gli eventuali dubbi collegati al non aver potuto esaminare il manoscritto.

Il consulente grafologo che per esigenze di tempo o per qualsiasi altra problematica non abbia avuto accesso al documento in originale dovrebbe cautelarsi riservando ogni verifica e approfondimento al momento in cui avrà modo di analizzare l’originale.

In conclusione, un giudizio espresso su una riproduzione non può che avere un peso diverso rispetto al corrispondente giudizio esprimibile su una manoscrittura analizzata in originale.

Gabriele Colasanti