Testamento olografo: un caso di interesse grafologico.

Considerazioni sulla presenza di un allegato ad integrazione delle disposizioni testamentarie

L’articolo che propongo in questo numero di Novembre è come di consueto il risultato di una mia recente esperienza professionale, la mia unica e gratificante fonte di ispirazione è il mio lavoro di grafologa giudiziaria al fine di scrivere e descrivere per quanto è possibile fatti reali di esperienze umane vissute attraverso le persone che si rivolgono a me per un parere e non di situazioni ipotetiche, perché dietro ciascun soggetto nei fatti che racconto c’è la propria storia personale, e  tento di  fare in modo  che tutti coloro che seguono la mia testata giornalistica on – line, appunto “Grafologia Magazine” possano beneficiare di consigli utili oppure condividere una comune esperienza magari trovando delle risposte.
Accade a volte di trovarsi nella  dolorosa circostanza di apprendere attraverso la pubblicazione di un testamento presso un Notaio che si è stati estromessi dall’eredità anche seppur parzialmente da un genitore, ma accade sovente che dopo un primo momento di smarrimento e confusione perché non si riescono a trovare le adeguate  risposte alle tante domande che ci si pone, molte persone si rivolgano al grafologo giudiziario per farsi aiutare a comprendere – fornendo scritture per quanto possibile coeve alla data del testamento e firme di comparazione – se effettivamente erano proprio le volontà del testatore.

Altre volte però per tutta una serie di motivi non si ha la determinazione oppure il coraggio di affrontare quel tipo di percorso,  magari per il timore di perdere l’affetto dell’altro genitore oppure di  generare un conflitto con un familiare stretto nel caso si tratti di apocrifia, o anche per motivi economici, non per ultimo il timore di apprendere che non si tratta di un testamento falso, ma qualora si avesse anche soltanto un sospetto di aver subito un torto attraverso una scrittura  o documento non autentico, allora si devono  far valere le proprie ragioni anche e soprattutto per dare voce a chi purtroppo non è più in grado di farlo, far rispettare le ultime volontà di un proprio congiunto è un dovere ma anzitutto un diritto sancito anche dalla legge.

Mi è stato conferito un incarico di CTP pochi giorni fa da parte di uno dei figli della testatrice per capire se il testamento olografo apparentemente scritto dalla “de cuius” e naturalmente pubblicato da un Notaio si poteva considerare valido oppure suscettibile ad una eventuale impugnazione.
Ho scelto di parlare di questo caso (omettendo naturalmente i nomi delle persone coinvolte, il luogo ed ogni altro riferimento) ovvero di un testamento olografo dove però all’interno si sono riscontrate svariate anomalie, prima fra tutte la totale assenza di naturalezza e spontaneità della scheda testamentaria, si tratta di un indispensabile esame preliminare del documento indipendentemente dalle comparative, assenza di ritmo, scrittura piatta e rallentata, assenza di fluidità, e ciò che mi ha colpito maggiormente dal lato umano è che si tratta di una scheda testamentaria calcolata, asettica, non una parola affettuosa un ricordo verso i figli, come di solito avviene specialmente quando si tratta di una madre che fa testamento.

Al fine di ricollegarmi alla vicenda mi corre l’obbligo di fare una doverosa premessa per quanto concerne i requisiti del testamento olografo ovvero scritto di pugno dal testatore e ciò che prevede la legge in merito.

 Il testamento olografo deve essere scritto per intero datato e sottoscritto dalla mano del testatore, per esempio scritto anche in minima parte da una terza persona, fosse anche una piccola correzione comporta la nullità del testamento (secondo i principi stabiliti dall’ art. 602 c.c.)

Nell’olografo possono essere ammesse apposizioni successive di correzioni e/o integrazioni alle disposizioni testamentarie, in linea di massima – purché le une e le altre siano autografe e sia stata apposta la nuova data e la sottoscrizione del testatore.
Come già ricordato i vantaggi del testamento olografo sono soprattutto la riservatezza, infatti il testatore se vuole può mantenere in ogni caso segrete le sue disposizioni, la maggiore facilità e comodità di cambiare o revocare eventuali precedenti testamenti  ed elaborare con calma e ponderazione le proprie disposizioni.

Ai fini della validità di tale testamento non è richiesta una necessaria contestualità nella redazione dei suddetti elementi che ne costituiscono la struttura, pertanto il testamento può essere compilato anche in tempi diversi, e quindi essere formato progressivamente, in assenza di alcuna norma che prescriva la sua redazione in un unico contesto temporale. 

Il testamento in oggetto è stato scritto dalla mano di una anziana Signora piuttosto benestante su un foglio uso bollo impegnando complessivamente tre facciate dove venivano indicati tutti i beni mobili ed immobili da destinare ai suoi figli tra cui i quadri di un famoso pittore, i mobili di antiquariato, gli appartamenti, ecc. il tutto descritto con precisione e  fin lì ogni cosa sembrava al suo posto in quanto aveva fornito una accurata descrizione di ogni bene da destinare ai suoi cari.
Nella terza pagina si legge il riferimento ad una cassetta di sicurezza presso un noto istituto di credito, dove la de cuius teneva i suoi gioielli senza alcuna menzione al numero dei preziosi a lei appartenuti ad esempio: otto anelli, cinque spille, due orologi in oro ecc. Diversamente, la testatrice appare aver scritto che nella sua cassetta c’erano anche i gioielli di sua figlia e rimandava la descrizione ad un “allegato”, (ho pensato che nell’allegato la signora avrebbe descritto i suoi) Il testamento di fatto si conclude con la data e la firma della testatrice.
 Verso la fine vedo un foglio bianco, senza data e peraltro la scrittura si discostava molto da quella della Signora dove venivano indicati un numero considerevole di gioielli depositati appunto nella cassetta di sicurezza ma non è stato fatto alcun accenno di quanti e quali fossero i suoi, ma soltanto quelli della figlia che avrebbe tratto quale unico vantaggio la cortese ospitalità nella cassetta di sicurezza di sua madre, alla fine  veniva di nuovo firmato ma  soltanto apparentemente dalla testatrice in quanto ho potuto accertare che era opera di un artifizio, infatti le due firme erano speculari, sovrapponibili ed è impossibile che a distanza anche di poco tempo le firme siano perfettamente identiche, come già ricordato anche in altri articoli quando si firma in modo naturale e spontaneo la grafia “risente” anche dei cambiamenti climatici oltre che fisici a maggior ragione quando si tratta di anziani e per di più con gravi patologie. 

Dopo aver condotto uno studio sulla scrittura della testatrice attraverso scritture di comparazione che mi sono state fornite da suo figlio e naturalmente avendo accertato con assoluta sicurezza che la grafia dell’allegato era stata l’opera di un’altra persona, ho ritenuto opportuno comunicare rispondendo al quesito che mi era stato posto, cioè  che vi erano tutte le condizioni per una eventuale impugnazione, previa mancata mediazione (accordo) tra le parti prevista dal decreto legislativo n. 28 del 4 marzo 2010 tramite gli Avvocati, sia della parte attrice(chi promuove azioni legali) che della parte convenuta (chi si deve difendere). 

Questo è un caso che si presta a numerosi interrogativi certamente al di là dell’aspetto grafologico, infatti la perizia giudiziaria si basa esclusivamente su prove oggettive, sulla comparazione delle scritture certe e quelle in verifica – ed  il parere pro-veritate è il risultato di tutto ciò – ovviamente non di congetture o pensieri personali, ma essendo anche una giornalista investigativa in questo articolo mi sono concessa la libertà di esprimere la mia “deformazione professionale” anche per fornire uno spunto di riflessione a chi segue ormai da oltre cinque anni il mio giornale. 

Ad esempio perché la Signora che ha espresso le sue ultime volontà con testamento olografo non è stata in grado di fornire una descrizione dettagliata dei suoi gioielli? 

All’inizio del documento ha descritto in maniera molto lucida ogni particolare, dai quadri del famoso pittore che si trova nella stanza di colore blu da lasciare a chi, ai mobili di antiquariato nello studio, agli appartamenti in via tal dei tali… 

Il testamento olografo viene scelto dalla maggior parte delle persone proprio in funzione di una elasticità temporale, il testatore ha tutto il tempo di elaborare con estrema tranquillità il proprio documento testamentario con calma e ponderazione scrivere le proprie disposizioni libero da qualsiasi influenza altrui in assoluta segretezza, quindi se fossero state realmente le proprie volontà la testatrice avrebbe descritto molto bene i suoi gioielli. 

Perché rimandare ad un “allegato” per altro non previsto nell’olografo? Quando avrebbe avuto tutto il tempo necessario per fare un elenco? 

Per di più scritto da un’altra mano e senza la data, non apponendo una nuova data si deve necessariamente considerare parte del testamento, quindi da ritenersi non valido in quanto scritto in modo evidente da un’altra mano. 

La persona (non la de cuius) che ha descritto in modo così dettagliato i preziosi della figlia era cointestatario/cointestataria della cassetta? 

In caso di morte dell’intestatario, la banca che ne abbia ricevuto la comunicazione non può consentire l’apertura della cassetta se non con l’accordo degli aventi diritto (cointestatari) o secondo le modalità stabilite dall’autorità giudiziaria (ai sensi dell’art. 1840 c.c.). 

La “de cuius” a maggior ragione avrebbe dovuto fare un elenco dei suoi preziosi all’interno del proprio testamento, in virtù della chiarezza e trasparenza verso gli altri eredi, dal momento che vi erano custoditi anche quelli di sua figlia, poiché ci sono anche delle norme stabilite dal codice civile per quanto riguarda le cassette di sicurezza, soprattutto avrebbe dovuto specificare se era cointestataria.   

Nel testamento olografo tutt’al più si possono allegare cartine planimetriche o mappe degli immobili fornite da un geometra per una descrizione più dettagliata, e non si tratta di integrare ma di spiegare meglio attraverso la professionalità di un tecnico, geometra o architetto, anche se trattasi di terze persone ma soltanto per dati tecnici e sicuramente non scritte a mano. 

Casi della tipologia di quello appena narrato hanno una indubbia rilevanza grafologica perché proprio attorno alla possibile apocrifia totale o parziale inizia la doverosa indagine inerente la validità dell’atto di ultima volontà che investe anche aspetti della datazione dello scritto e della capacità del testatore (sovente testamenti olografi vengono retrodatati da chi ha interesse ad avvalersene allo scopo di inserirli in un arco temporale di maggiore lucidità mentale del testatore). In tale quadro, il grafologo giudiziario risulta essere una figura di primo piano in un team professionale multidisciplinare (legale, medico-legale, etc.).

Patrizia Belloni 

Grafologa Giudiziaria

La firma grafometrica. La nuova frontiera della perizia grafologica.

Tra le tante novità introdotte dallo sviluppo delle tecnologie informatiche, con le quali siamo chiamati a confrontarci, vi è la firma grafometrica che in ragione delle sue caratteristiche, il nostro ordinamento giuridico, indica come firma elettronica avanzata, in forma abbreviata F.E.A..
L’art.1 del codice dell’amministrazione digitale (CAD) definisce “la firma elettronica avanzata come insieme di dati in forma elettronica allegati oppure connessi a un documento informatico che consentono l’identificazione del firmatario del documento e garantiscono la connessione univoca al firmatario, creati con mezzi sui quali il firmatario può conservare un controllo esclusivo, collegati ai dati ai quali detta firma si riferisce in modo da consentire di rilevare se i dati stessi siano stati successivamente modificati.”
La FEA ha l’efficacia prevista dall’articolo 2702 del codice civile”… se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta.” l’art. 21 del codice dell’amministrazione digitale (CAD) , chiarisce che “…il documento informatico sottoscritto con firma elettronica avanzata, .., formato nel rispetto delle regole tecniche di cui all’articolo 20, comma 3, che garantiscano l’identificabilità dell’autore, l’integrità e l’immodificabilità del documento, ha l’efficacia prevista dall’articolo 2702 del codice civile. L’utilizzo del dispositivo di firma si presume riconducibile al titolare, salvo che questi dia prova contraria.”
E’ bene chiarire che la firma grafo-metrica non consente il libero scambio di documenti informatici, in quanto il suo uso risulta limitato al contesto in cui trova impiego.
Tanto si rileva dal combinato disposto degli art. 55 lettera a) e art. 60 del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 22 febbraio 2013, da cui si evince che la firma elettronica avanzata è utilizzabile limitatamente ai rapporti giuridici intercorrenti tra il sottoscrittore e la controparte che si avvale della soluzione della firma elettronica.
Infatti sempre più diffusa è la prassi della sostituzione della firma autografa apposta su documenti cartacei con quella autografa digitale rilasciata su documenti informatici.
Banche, finanziarie, società di servizi, centri di assistenza fiscale, patronati e tanti professionisti, hanno adottato nei rapporti con i loro clienti, il sistema della firma grafometrica che consente una più facile archiviazione e ricerca dei documenti informatici con l’eliminazione del tradizionale supporto cartaceo.

Il processo di sottoscrizione autografa con firma grafometrica, è reso possibile attraverso l’utilizzo di programmi informatici (software) prodotti e gestiti da società specializzate nel settore che hanno realizzato un sistema conforme ai requisiti tecnici fissati dalla normativa di settore.

La firma grafometrica si basa sulla misurazione dei parametri biometrici propri di una determinata persona nell’atto di apporre una firma, mediante l’uso di un pennino e di una lavagnetta elettronica, quali la posizione, la velocità, la pressione e l’accelerazione, memorizzandone i dati, in chiave crittografica, ed in modo da identificare univocamente la firma di una persona, al punto che il tentativo di imitazione da parte di un altro soggetto sarebbe evidenziato dal rilevamento di parametri biometrici diversi.

Da quanto sopra si comprende, come in caso di contenzioso sull’autenticità della firma grofometrica sarà ancora il grafologo giudiziario, a doversi pronunciare al riguardo, seppure con l’ausilio di specifici software, in grado di rilevare i dati biometrici necessari alla comparazione.

Il campo della perizia grafologica risulta così ulteriormente ampliato, ed i grafologi giudiziari sono chiamati a raccogliere la nuova sfida, lanciata dall’ineluttabile progredire delle tecnologie informatiche.

Roberto Colasanti

Scritture di comparazione

Le scritture di comparazione sono indispensabili per poter eseguire un corretto confronto con lo scritto in verifica, la cui identità deve essere ancora provata – “contestata” nel civile, “indiziata” nel penale: l’obiettivo dell’indagine peritale sui manoscritti è sostanzialmente quello di stabilire, attraverso uno studio comparativo, se provengano o no dalla stessa mano.

Come ho già menzionato in altri articoli, le suddette scritture devono essere numerose nonché coeve alla data del documento da esaminare, ma soprattutto omologhe; il che vuole dire che se devo svolgere una perizia su un testamento olografo scritto in corsivo ho bisogno di altri scritti in corsivo per la comparazione; se lo scritto in verifica è in stampatello ho necessità di avere altre scritture in stampatello; se trattasi di analizzare una firma devono essere prodotte altre firme certe e così via.

Una breve ma utile premessa per introdurre un caso che ho affrontato recentemente.

Sono stata contattata poco tempo fa tramite e-mail da un Avvocato del Foro di Roma, il quale mi chiedeva di esaminare un testamento olografo scritto in stampatello e con la firma in corsivo, dal padre di una sua assistita, la quale riteneva di poterlo impugnare perché sicura che si trattava di un falso.

Come da premessa, rispondevo facendo presente che, per effettuare una adeguata disamina preliminare del documento in verifica, avevo bisogno di altri scritti in stampatello e di firme coeve alla data del testamento da parte del “de cuius”; ma anche di quelle scritte che si sono susseguite nel corso degli anni.
Ciò al fine di potermi rendere conto della coerenza di stile grafico dello scrivente, della sintassi, nonché della variabilità grafica naturale. Infatti, quest’ultima appartiene a ciascuno di noi, e soltanto questo metodo – che confronta corsivo con corsivo, stampatello con stampatello e firme con firme – mi permette di arrivare ad una conclusione fondata, nel rispetto della metodologia alla quale ogni grafologo professionista si dovrebbe attenere.

Il giorno dopo ricevo invece una e-mail con allegato soltanto una copia di due firme grafometriche – firma elettronica avanzata (FEA) –, apposte in banca per prelevare dei soldi contanti poco tempo prima di redigere il testamento.

Mi rendo conto che sicuramente il professionista era in buona fede, ma è impossibile fare un confronto tra una firma apposta su un foglio di carta con una penna biro – quella vergata sul testamento – ed una grafometrica che viene apposta su tablet con uno speciale pennino elettronico e che rileva i parametri biometrici della persona che sta apponendo la propria firma.

I dati che vengono raccolti attraverso l’individuazione e l’approfondita ricerca delle costanti dimensionali, soprattutto proporzionali (come le misurazioni degli elementi che costituiscono la scrittura, il rapporto lettere maiuscole/ minuscole; minuscole basse/ minuscole alte; valori angolari), vengono trasposti in statistiche e in grafici, che successivamente verranno messi a confronto con altre firme grafometriche. Perciò, stessa tipologia di firma, stesso metodo di valutazione.

Per quanto riguarda invece l’analisi di una firma scritta su carta con penna biro, ci sono tre fondamentali istanze alle quali fare riferimento per arrivare ad una conclusione certa, e sono: 1) l’analisi preliminare ovvero l’osservazione immediata, il così detto “ colpo d’occhio” (qui viene in gioco molto l’esperienza) ; 2) l’analisi strumentale, quindi l’osservazione mediata, perché viene effettuata mediante apposita strumentazione; 3) illuminazione raggi UV e IR, che consentono di rilevare se ci sono cancellature di tipo chimico oppure tracciati sottostanti: con lenti a diversi gradi di ingrandimento quando l’osservazione richiede una maggiore attenzione sul giudizio dei tratti; con microscopio in alcuni casi specifici.

Come si può evincere, i metodi per redigere una perizia di una firma cartacea ed di una grafometrica sono ben distanti, e per questo motivo non si possono effettuare confronti tra scritture che richiedono un differente metodo di analisi.

Patrizia Belloni
Grafologa giudiziaria

Il grafologo consulente tecnico nelle indagini difensive

Nel corso di programmi televisivi ci siamo abituati a sentire il parere di esperti in merito a fatti di cronaca giudiziaria e, pertanto, il pubblico ha “familiarizzato” con le ricostruzioni della scena del crimine, profili psicologici del possibile autore del crimine e, per quanto concerne la grafologia, con l’analisi di scritti anonimi relativi ad una scomparsa, ad un delitto particolarmente atroce, etc.
Nel nostro ordinamento, tuttavia, il c.d. “processo mediatico” costituisce un mero corollario del diritto di cronaca, della libertà di opinione ed anche una delle moderne forme di pubblicità del processo penale atteso che, com’è noto, la legge è amministrata “in nome del popolo italiano”.
Tralasciando, quindi, l’analisi dei possibili risvolti negativi della “spettacolarizzazione” dei fatti di cronaca nera, va precisato che nel sistema processuale italiano, guardando a quello penale, è prevista la possibilità di far intervenire degli esperti, tra i quali i grafologi giudiziari, nella veste di consulenti tecnici. Detta facoltà di avvalersi di consulenti tecnici riguarda anche le “indagini difensive” dell’avvocato.
Invero, la Legge 397 del 2000 «Disposizioni in materia di indagini difensive» ha introdotto nel nostro ordinamento le «indagini difensive» estendendo il concetto di «diritto di difesa» e trovando fondamento e legittimazione nell’art. 24, comma 2, Cost. ove è stabilito che «La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento».
Pertanto, la possibilità per il difensore di svolgere attività di investigazione ha ridotto il divario esistente fra diritti dell’accusa e quelli della difesa, dando voce al principio della parità delle parti (art. 111 co. 2 Cost.) ed al principio del contraddittorio nella formazione della prova (art. 111 co. 4 Cost.).
L’art. 327 bis c.p.p. prevede che fin dal momento dell’incarico professionale, risultante da atto scritto, il difensore ha facoltà di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito e che tali attività (di investigazione difensiva) previste possono essere svolte, su incarico del difensore, dal sostituto, da investigatori privati autorizzati e, quando sono necessarie specifiche competenze, da consulenti tecnici .
Nel caso dell’art. 327 bis c.p.p. ricorre la figura del consulente tecnico di parte, il difensore munito di procura con atto scritto è il “responsabile” delle investigazioni difensive.
In tale contesto, il consulente tecnico è quel soggetto munito di particolari competenze tecniche che fornisce ausilio al il difensore nella ricerca di prove ed elementi di prova favorevoli al proprio assistito; nella valutazione degli elementi di prova già raccolti nonché nell’ individuazione delle strategie difensive.
Orbene, la consulenza grafologica (grafologia giudiziaria) rappresenta una delle materie oggetto della consulenza tecnica nell’ambito delle investigazioni difensive tanto per l’indagato quanto nell’interesse della persona offesa.
Numerosi sono i campi di applicazione della grafologia nel corso delle investigazioni potendo riguardare, ad esempio, una richiesta estorsiva, una ipotesi di diffamazione, la circonvenzione di incapace, la segnalazione di una persona scomparsa, etc.
Possiamo affermare che la consulenza tecnica grafologica nelle investigazioni difensive spesso riguarda l’analisi degli scritti anonimi c.d. «anonimografia» che si esprime attraverso diversi canali (biglietto o lettera anonima, murales, volantino, etc)
In conclusione, il consulente tecnico nelle indagini difensive svolge un’attività di fondamentale importanza per l’esercizio del diritto di difesa e per l’attuazione dei principi costituzionali del giusto processo.
Il grafologo giudiziario costituisce una figura professionale di riferimento talvolta indispensabile per l’esatta ricostruzione della fattispecie al vaglio dell’Autorità Giudiziaria.

Gabriele Colasanti
Avvocato
Giornalista pubblicista

La scrittura dei Gemelli

Considerazioni ed un caso pratico.

La scrittura dei fratelli gemelli, in particolare monozigoti, sotto il profilo grafologico pone il problema dell’individuazione dei tratti distintivi della scrittura in soggetti che appaiono “identici”.
Robert Saudek (1880- 1935), figura di spicco della grafologia in Inghilterra, secondo il quale la scrittura deve essere valutata secondo criteri di base quali la spontaneità dell’atto grafico, l’uso dello spazio ed il grado di originalità nella forma delle lettere, all’esito dell’esame di scritture di fratelli gemelli monozigoti non riuscì a trovare difformità grafiche così significative da poter distinguere i due manoscritti.
Tuttavia ritengo non si possa generalizzare ci sono delle coppie di gemelli che nel corso della loro vita sono alla ricerca di una propria individualità, spesso stanchi di essere “scambiati” quindi, talvolta chiamati con il nome del fratello o della sorella, si assiste alla personalizzazione del loro modo di vestire, differenziazione delle scelte scolastiche e/o professionali e sovente i gemelli trovano così la propria libertà di espressione anche attraverso la grafia.
Ci sono invece, coppie di gemelli talmente uniti che continuano a vivere in modo simbiotico anche da adulti – stessi amici, stesso stile nell’abbigliamento, scrittura molto simile – che trovano invece, maggiore forza per affrontare le controversie della vita, l’essere così simili li fa sentire più forti, e questa uguaglianza non viene vissuta come uno svantaggio, tutt’altro.
In alcuni casi, per non separarsi fisicamente, hanno rinunciato anche a sposarsi, a creare un nucleo familiare proprio, mi viene in mente una celebre coppia di gemelle monozigoti, nel mondo dello spettacolo, praticamente identiche, hanno scelto la stessa carriera professionale come ballerine, non si sono mai sposate, ed ancora oggi, molto anziane vivono insieme.
In proposito, ho affrontato la tematica lo scorso anno.
Nel Maggio 2019 sono stata contattata da una signora per esaminare un testamento olografo scritto apparentemente da suo marito, defunto prematuramente, all’età di quarant’anni, ci incontrammo nel mio studio, come avviene di solito, la Signora Marina mi produsse la copia del testamento olografo da verificare, il testo “incriminato”, e scritture di comparazione certe, il contratto di acquisto della loro casa, firme su documenti di identità, specimen bancario, una poesia dedicata alla moglie dopo la nascita del loro bambino, un verbale di assemblea dove il marito svolgeva la mansione di segretario, brevi pensieri scritti a mano per il compleanno, altre firme su documenti raccolti in modo ordinato in una cartella.
Ho iniziato così ad esaminare prima il testamento in verifica, non presentava alcuna anomalia, si trattava di un manoscritto non breve dodici righe compresa data e firma.
Dopo una prima valutazione, orientata sulla osservazione della naturalezza e spontaneità, avevo riscontrato entrambe, scrittura sciolta, alcun tremore, non c’erano “soste” i classici bottoni di ripresa nelle parole – giustapposizioni in termine tecnico – anche se non avevo colto, in quello scritto, alcuna emozione, bensì un tracciato grafico spedito, oserei dire freddo, senza emozione.
Ho osservato il testo nel suo insieme, e svolto come di consueto uno studio seguendo la metodologia di rito, nulla faceva pensare ad un falso, anche se mancava un aspetto saliente, ovvero una spiegazione, la motivazione per aver preso una decisione notevole, che avrebbe potuto cambiare il corso della vita alla Signora Marina, ma probabilmente non c’era.
Comunque avevo modo di notare un discreto equilibrio tra movimento e forma, la firma in basso a destra, omogenea al testo, però confrontando con le altre scritture del Sig. Marco, riscontravo la differente distanza tra le parole, la dimensione delle lettere, era più grande rispetto alle altre scritture, anche se molto spesso, chi scrive le ultime volontà, aumenta la dimensione – alcuni scrivono in stampatello – proprio per il timore di non essere compresi, il testatore spesso, scrive in modo molto più chiaro e leggibile, però anche il modo di legare alcune lettere, mi faceva pensare.
Man mano che visionavo tutto il materiale per la comparazione, notavo molte analogie tra il testamento ed il verbale dell’assemblea, scritto dal Sig. Marco, qualche lieve differenza con gli altri manoscritti, che avevo attribuito alla normale variabilità grafica, alle volte la scrittura cambia anche a seconda di come ci sentiamo fisicamente e moralmente, insomma… qualcosa di diverso dalle altre scritture, ma compatibili.
Dopo tre giorni di lavoro sul testamento in verifica e le scritture comparative, non avevo elementi sufficienti per arrivare alla conclusione che fosse un testamento falso, così ho pensato di chiamare subito la Signora Marina, per dirle che non avevo riscontrato difformità tanto gravi da far pensare ad un documento falso, quindi decisa a non redigere un parere pro-veritate, come richiesto, per dimostrare che si trattava di un testamento non scritto dalla mano di suo marito.
Ci incontrammo nuovamente per restituire alla Signora Marina il materiale che mi aveva prodotto, e quando le dissi che secondo me non c’erano i presupposti per impugnare il testamento, anche sulla base del verbale di assemblea, un manoscritto molto esteso del Sig. Marco, a quel punto tutto cambiò, la signora mi disse che non era stato scritto da suo marito, in quanto si trovava in ospedale per accertamenti, ma da suo fratello gemello Leonardo, erano praticamente identici, a volte anche gli amici più cari li confondevano.
Se non avessi avuto l’opportunità di mettere a confronto il testamento con il verbale, quindi facendo riferimento esclusivamente agli altri scritti del Sig. Marco, avrei sicuramente concluso che era autografo; dopo anni si era presentata l’occasione di verificare la scrittura di due fratelli gemelli monozigoti, certo, non sono in grado di poter affermare che tutti i gemelli scrivono in modo da poter confondere le due scritture, ma certamente, avendo lo stesso DNA sono avvantaggiati se vogliono falsificare lo scritto del loro fratello o sorella perché riesce più facile imitare la grafia del proprio consanguineo, anche tra genitori e figli.
Ho fornito un parere alla signora Marina, sulla base esclusivamente delle scritture certe del marito, ho dovuto rivedere un po’ tutto il lavoro, avevo fatto affidamento sul verbale di assemblea, in quanto si trattava di un manoscritto molto esteso, in più abbastanza vicino alla data del testamento, inconsapevole che era stato scritto dal cognato.
Non so come siano andate le cose, se la Signora Marina abbia intrapreso un percorso legale volto all’impugnazione del testamento, oppure se, forse, sono giunti ad un accordo, cosa che succede abbastanza di frequente, quando vi è un patrimonio piuttosto modesto da ereditare, come in questo caso, anche se di tutto rispetto, si trattava infatti, dell’appartamento in cui la Signora Marina viveva con il suo bambino, e di un modesto conto in banca.

Tutto ciò potrà evitare un lungo percorso, molto dispendioso e a volte  frustrante, nel mondo della perizia.

Patrizia Belloni
Grafologa giudiziaria

La consulenza tecnica grafologica nelle indagini difensive

La grafologia giudiziaria trova applicazione anche in ambito penale.
Difatti, non solo vi sono fattispecie criminose strettamente correlate alla grafologia come nell’ipotesi della formazione di un falso testamento olografo, di una cambiale o di un altro titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore (art. 491 c.p.), ma sussistono anche reati come, ad esempio, la truffa (art. 640 c.p.) e la diffamazione (art. 595 c.p.), ove l’apocrifia dello scritto può costituirne uno degli elementi oggettivi (si pensi all’artifizio nella truffa).
In questo contesto, il grafologo può assumere il ruolo di consulente tecnico nell’ambito delle indagini difensive dell’avvocato.
Si deve premettere che le indagini difensive sono state introdotte nel nostro ordinamento dalla Legge 397 del 2000 «Disposizioni in materia di indagini difensive» che ha indubbiamente esteso il concetto di «diritto di difesa» di cui all’art. 24 Cost. con l’obiettivo di dare attuazione concreta ai principi costituzionali della parità delle parti (art. 111 co. 2 Cost.) e del contraddittorio nella formazione della prova (art. 111 co. 4 Cost.).
Si deve precisare, inoltre, che la facoltà è riconosciuta non solo al difensore dell’indagato ma anche al difensore della vittima di un reato che può introdurre nel procedimento elementi rilevanti per la ricostruzione dei fatti e l’individuazione del responsabile dell’illecito.
Pertanto, l’art. 327 bis c.p. prevede che “Fin dal momento dell’incarico professionale, risultante da atto scritto, il difensore ha facoltà di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito (…)” precisando che ove siano necessarie specifiche competenze gli elementi di prova possono essere ricercati, su incarico scritto dell’avvocato difensore, da consulenti tecnici.
Nelle indagini difensive, quindi, il consulente tecnico è quel soggetto munito di particolari competenze tecniche che coadiuva il difensore:
– nella ricerca di elementi a favore del proprio assistito;
– nella valutazione degli elementi di prova già raccolti;
– nell’individuazione delle strategie difensive.
Anche la consulenza grafologica (grafologia giudiziaria) rappresenta una delle materie oggetto della consulenza tecnica del difensore in quanto appare ragionevole ritenere che l’analisi grafologica di uno scritto, e non la mera valutazione calligrafica, possa costituire un ausilio per la valutazione dei fatti sottoposti al vaglio dell’autorità giudiziaria.
Si ritiene opportuno fare riferimento a dei casi pratici.
Nell’ipotesi di testamento scritto con “mano guidata” la consulenza grafologica risulta necessaria per l’attività difensiva, ciò si può desumere anche dalla giurisprudenza.
Invero, la Suprema Corte di Cassazione (Cass. pen., sez. V, sentenza n. 51709 del 2014) ha statuito che integra il delitto di falso materiale in testamento olografo (art. 476 e 491 c.p.) la redazione di un documento – apparentemente scritto di proprio pugno dal testatore – con l’aiuto materiale di altro soggetto (che gli guidi la mano), in quanto, in tal caso, il documento non è formato, come prescritto dalla legge, esclusivamente dal de cuius e, quindi, non può essere considerato olografo.
In tale pronuncia i giudici di legittimità hanno affrontato il tema della c.d. “mano guidata” che si verifica allorquando “una persona non ha intenzione di scrivere un testamento e, allora, subentra qualcuno che le guida la mano, obbligando lo scrivente a fare qualcosa contro la propria volontà. Le due energie entrano in collisione, si contrastano, quindi creano delle interferenze, producendo movimenti squilibrati, con forme goffe e deformi, spesso parole incompiute” (Patrizia Belloni, Grafologia Magazine, Roma, agosto 2018).
In tale contesto la consulenza tecnica grafologica risulta necessaria per l’individuazione delle scritture di comparazione certamente spontanee ed autentiche nonché per l’analisi di quelle eventualmente acquisite dall’autorità giudiziaria.
Difatti, l’avvocato ben può avvalersi del grafologo giudiziario per valutare le scritture di comparazione acquisite dall’autorità giudiziaria sia ai fini dell’eventuale opposizione all’archiviazione formulata dal pubblico ministero ovvero, dal punto di vista dell’indagato, a seguito della comunicazione di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415 bis c.p.p. prodromica all’esercizio dell’azione penale.
Si può formulare un’altra ipotesi di applicazione della consulenza tecnica grafologica con riferimento all’analisi degli scritti anonimi c.d. “anonimografia” che si esprime attraverso diversi canali tra i quali il biglietto anonimo; il murales ed il volantino.
Generalmente, si perviene all’individuazione dell’anonimo guardando ai soggetti portatori di motivi di risentimento, di spirito vendicativo o persecutorio nei confronti della persona offesa.
Tale metodologia, se non suffragata da una seria e rigorosa analisi grafologica, può condurre ad errori.
Facendo un’ipotesi può esserci qualcuno intenzionato a ledere la persona offesa, ad esempio un collega di lavoro che non ha ottenuto una promozione, un vicino di casa rancoroso per le frequenti liti condominiali, il titolare di un’azienda concorrente, un parente in lite per ragioni di divisione ereditaria che conosce (anche personalmente) dell’esistenza di un ex coniuge che non ha accettato la fine del matrimonio e che nella redazione dell’anonimo offensivo o comunque lesivo dissimuli la scrittura di quest’ultimo.
In buona sostanza, l’autore dell’anonimo può cercare di dissimulare la propria scrittura affinché lo scritto illecito venga attribuito ad altro soggetto.
Ne consegue che la dissimulazione può portare all’iscrizione nel registro degli indagati e perfino all’esercizio dell’azione penale nei confronti del soggetto sbagliato (innocente).
L’attività difensiva, quindi, non può basarsi unicamente su elementi giuridici ma deve essere suffragata da una consulenza tecnica che come poc’anzi illustrato deve aiutare nella ricerca di elementi a favore del proprio assistito e nella valutazione degli elementi di prova già raccolti.
Alla luce delle pregresse considerazioni risulta evidente che la grafologia giudiziaria deve essere annoverata, con un ruolo di primaria importanza, nell’alveo delle consulenze tecniche di cui avvalersi nell’ambito dell’attività difensiva.

Gabriele Colasanti
avvocato

Orientarsi nel mondo della perizia grafologica – giudiziaria

Attraverso “grafologia magazine”, giornale on-line in rete da cinque anni, svariati professionisti – Avvocati, Medici, Criminologi, Grafologi- mettono a disposizione del lettore, su questa testata giornalistica, una vasta gamma di consigli e suggerimenti.

Mi occupo, prevalentemente, della perizia su testamenti olografi ma, in generale, ho accumulato negli anni tanta esperienza nel campo della scrittura nelle sue più svariate forme.

Infatti, il mio compito, come quello di tanti altri colleghi grafologi, è molto ampio, e non si limita, in modo restrittivo, alla conclusione: appartiene alla mano del testatore oppure no”.

La sostanziale differenza, infatti, tra grafologo giudiziario e perito  calligrafo è proprio questa: nel primo caso, ci si occupa essenzialmente dell’indagine di manoscritti, e si arriva, spesso, alla giusta conclusione, attraverso lo studio denominato “psicologia della scrittura”.
Mediante il suddetto studio, sono in grado di rilevare le varie anomalie all’interno di uno scritto o testamento olografo, ovvero, se l’apparente autore del testo in verifica, in quel momento, era consapevole di ciò che stava scrivendo o, perfino, se vi è la mano guidata, inerme o parziale, in quel percorso grafico.
Oppure, come accade sovente, specialmente nel caso si tratti di persone  molto anziane, se il testamento è stato scritto sotto dettatura, o ancora…se il testatore, in quel momento, era vittima di pressioni, ricatti morali.

Insomma, tante sono le varianti che possono invalidare un testamento, e tutto ciò è riconducibile, ma non soltanto, alla mancanza di naturalezza e spontaneità nella scheda testamentaria.
Il grafologo, deve essere in grado di saper valutare tutti gli aspetti di una scrittura, anche i disagi che possono essere la causa di una scrittura  tremolante, incerta, come ad esempio la dipendenza da farmaci oppure  alcool.
La figura professionale del grafologo, infatti, deve attenersi esclusivamente all’analisi di ciò che è stato stilato, e, qualora ci fosse anche una delle tante anomalie sopra citate all’interno di una scheda testamentaria, occorre l’aiuto, l’analisi, di uno specialista del settore, ovvero, di un medico-neurologo, che, unitamente alla perizia del grafologo, darà il proprio contributo attraverso una perizia medico-legale dello scritto in questione.
Il compito del perito calligrafo, invece, si fonda essenzialmente sul criterio del confronto, valuta la morfologia delle lettere, sull’osservazione, di tal che, se presentano anche una lieve rassomiglianza formale, spesso conclude per l’autografia. E’ pur vero che la forma delle lettere è un segno distintivo, ma non deve essere esaminata come prodotto statico, i gesti e i movimenti non possono essere esaminati e valutati isolatamente, ma nel loro insieme dinamico.
Spesso, il consulente calligrafo enumera le lettere che presentano analogie e quelle discordanti, emettendo il suo giudizio a seconda che il numero è maggiore o minore nelle prime o nelle seconde.
Il calligrafico è il metodo più antico, ma nello stesso tempo il meno sicuro.
Quanto affermato dalla sottoscritta consulente trova conferma nella giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione che ha stabilito come: “la perizia grafica eseguita con il solo metodo calligrafico non può considerarsi attendibile” (Cassazione, Sent. N. 1582 del 1990, in Riv. Pen., 1991, 871).

In epoca più risalente la Suprema Corte di Cassazione statuiva che “Una perizia grafica prevalentemente basata sul metodo  dell’interpretazione calligrafica è generalmente insufficiente senza il contributo di una attenta interpretazione grafologica a dirimere il pericolo di errore nel responso offerto al magistrato (sentenza del 29 dicembre 1959,   cit. pag. 79 La Perizia in Tribunale, AA.VV.,  Milano, 2011). 

Recentemente ho avuto a che fare con un “caso” piuttosto particolare, e lo narro, in sommi capi, perché, potrebbe essere utile, in futuro, a qualche altra persona, magari ad uno dei miei tanti lettori o lettrici.

Se ci si rivolge al grafologo – in questo caso specifico-,  il professionista, una volta presa visione delle scritture (che il cliente ha inviato oppure prodotto personalmente) in verifica e di comparazione, dovrà necessariamente svolgere uno studio, che comporta un certo impegno in termini di tempo, e, quindi, ciò corrisponde ad un onere economico da parte del richiedente, indipendentemente dal risultato più o meno gradito. Del resto, se ci rechiamo dal medico specialista, per una visita privata, che sia un cardiologo oppure oculista, o qualsiasi altro, anche se la diagnosi non è quella sperata, lo si deve pagare ugualmente.
Noi grafologi, attraverso l’analisi accurata di tutte le scritture, sia di quelle in verifica che di comparazione, possiamo ponderare, valutare, se ci sono i presupposti per procedere con una perizia, al fine di intraprendere un percorso giudiziario oppure no, ma ciò richiede tempo e impegno.

Purtroppo, spesso, accade che la persona che si rivolge al grafologo abbia delle aspettative superiori alla realtà. Frequentemente, mi sento dire, dalle persone che mi contattano, che già sanno che la scrittura è falsa, e vogliono “soltanto” una conferma, che il più delle volte non posso avvalorare.

Ma se dopo la “diagnosi” il risultato non è quello sperato dal cliente? 
Capita che molte persone abbiano difficoltà a comprendere e accettare il risultato, a loro giudizio negativo, soprattutto se avevano delle sicure aspettative, certezze, dovute in gran parte alla necessità di crederci per superare un momento difficile.
Il lavoro del consulente di parte non è sempre facile. Di frequente, l’ipotetico cliente tenta di influenzare il grafologo con racconti tristi, ma, i propri convincimenti devono derivare soltanto dallo studio delle scritture. Preferisco rinunciare ad una consulenza, che sostenere, senza esserne convinta, una causa soltanto per soddisfare le richieste di un eventuale assistito.
Il messaggio che voglio comunicare a chi ci segue è il seguente: 
Prima di intraprendere una qualsiasi azione legale, che sia per disconoscere un testamento, oppure una firma apposta su contratti, ecc. consiglio di rivolgervi ad un esperto in materia, il consulente, che attraverso uno studio accurato potrà valutare e accertare se ci sono le giuste condizioni oppure no.

Tutto ciò potrà evitare un lungo percorso, molto dispendioso e a volte  frustrante, nel mondo della perizia.

Patrizia Belloni
Grafologa giudiziaria

Disconoscimento della propria firma. L’importanza del parere del grafologo

Assai di frequente, si verifica che il grafologo giudiziario nella veste di consulente di parte, venga interpellato per esprimere un parere a supporto del disconoscimento, di una o più firme apposte su documenti di varia specie, quali contratti, assegni bancari, ricevute di pagamenti etcetera.

Il codice civile in proposito al 1° comma dell’art. 214 c.p.c. non lascia dubbi “Colui contro il quale è prodotta una scrittura privata, se intende disconoscerla è tenuto a negare formalmente la propria scrittura o la propria sottoscrizione”.

E’ di tutta evidenza che seppur necessario, il formale disconoscimento della propria sottoscrizione non può bastare “sic et simpliciter”, qualora ai sensi dell’art. 216 c.p.c.,  la parte che intende valersi della scrittura disconosciuta, ne chieda la verificazione, proponendo i mezzi di prova che ritiene utili e producendo o indicando le scritture che possono servire di comparazione.

Purtroppo molti ignorano le suddette disposizioni procedurali o ancor peggio mal consigliati da presunti esperti del diritto con scarse conoscenze della grafologia, ritengono ingenuamente che sia sufficiente negare di aver firmato un contratto per tirarsi fuori dal problema, anche quando hanno la piena consapevolezza di averlo effettivamente sottoscritto.

Vediamo quindi di capire, quando e perché rivolgersi al grafologo per il disconoscimento della propria firma.

Prendiamo il caso in cui ci dovesse accorgere che qualcuno ha abusivamente firmato al posto nostro, per indicarci quali garanti del credito con la finanziaria che ha concesso il prestito per l’acquisto di un bene, quale ad esempio un autoveicolo. Nella stragrande maggioranza delle volte quel qualcuno sarà un parente, un amico o un socio in affari che ha profittato della nostra conoscenza per ottenere a nostra insaputa il beneficio di una garanzia, pensando in maniera superficiale che non ne saremmo mai venuti a conoscenza.

In pratica a meno che non sia stato appositamente fornito un recapito di posta diverso, la finanziaria annualmente invia un’informativa al fideiussore sulle condizioni del contratto in essere corredata da un resoconto delle rate pagate e del capitale residuo.

Altrimenti potremmo venirne a conoscenza andando a chiedere un mutuo per una nostra esigenza allorquando l’istituto di credito  ci  rappresenterà che in CRIF (Centrale rischi intermediari finanziari) risulta un’esposizione debitoria eccessiva in cui pesa anche la somma garantita per l’acquisto di un’autoveicolo.

Potremmo infine venirlo a sapere, nel momento in cui la finanziaria ci chiede in qualità di garanti di onorare il debito rimasto insoluto da parte del debitore principale.

Di fronte alla suddetta scoperta e qualora si decida di adire alle vie legali, allora potrebbe essere utile rivolgersi ad un grafologo giudiziario.

E’ ben chiarire che non vi è alcun obbligo ne necessità di avvalersi di un grafologo giudiziario per avere la conferma della falsità della firma, soprattutto quando siamo perfettamente consci di non aver mai sottoscritto quel contratto, ma l’acquisizione di un parere scritto del citato professionista può avere i suoi vantaggi,  già nell’avvio del procedimento.

Il parere del grafologo nel suddetto caso può avere una fondamentale importanza e si consiglia di acquisirlo nella forma del parere “pro veritate, allorchè si optasse per presentare una denuncia querela presso un ufficio di Polizia, comando Carabinieri o direttamente alla Procura della Repubblica, contro il responsabile della falsificazione della firma che sarà chiamato a rispondere dei delitti di: falsità in scrittura privata, sostituzione di persona e truffa.

Infatti una denuncia supportata dal parere del grafologo avrà maggiore credibilità agli occhi degli inquirenti ponendoci al contempo al riparo da strumentali controdenunce per il reato di calunnia.

a cura di Roberto Colasanti     

I rischi della consulenza compiacente

Da alcuni anni collaboro con diversi consulenti tecnici di parte, tra i quali i grafologi giudiziari.

E’ proprio nell’ambito delle consulenze grafologiche che ho potuto osservare, con maggiore frequenza la richiesta più o meno esplicita di pareri o relazioni compiacenti, tali da attestare la bontà della tesi della parte, nonostante che i manoscritti in esame dimostrino esattamente il contrario. Pur nella varietà dei casi che vanno dal disconoscimento di  una firma apposta su un contratto oppure a far dichiarare falso un testamento olografo, l’approccio di simile potenziale cliente rientra sostanzialmente in tre distinte categorie. Il cliente appartenente alla prima categoria  solitamente afferma in maniera alquanto diretta “La pago perché nella consulenza sia affermata la tesi a me favorevole”, quello della seconda categoria invece cerca di dimostrare che “non è giusto che il defunto l’abbia escluso dall’eredità e che pertanto una relazione a suo favore oltre ad essere moralmente ineccepibile rappresenta l’unico modo per avere giustizia” ed infine quello della terza categoria, sicuramente più subdolo che fornisce materiale documentale volutamente parziale ed omissivo ed in alcuni casi manipolato al fine di ottenere la conclusione da lui auspicata.

In tutti e tre i casi siamo di fronte ad una consulenza compiacente anche se nel terzo caso l’adesione del consulente risulta meno consapevole, ma egualmente accondiscendente.

Davanti alla pretesa del cliente della prima categoria, una risposta diversa dal rifiuto, implica l’assunzione di una serie di responsabilità civili e penali, sulle quali è doveroso soffermarsi.

Non possiamo dimenticarci che la consulenza grafologica è a tutti gli effetti giuridici un contratto di servizio, in cui il grafologo che esercita tale professione ai sensi della legge n. 4 del 2013, si obbliga dietro il pagamento di un corrispettivo in danaro, a fornire una prestazione intellettuale, basata sulla sua esperienza e specifica conoscenza tecnico-scientifica, per rispondere ad uno o più quesiti in merito a manoscritti, firme e sigle.

Il grafologo che consapevolmente rilascia, un parere palesemente contrario alle ragioni di scienza e conoscenza grafologica, può diventare complice di un illecito penale o civile, con tutte le conseguenze del caso.

Al suddetto rischio, da evitare, deve aggiungersi quello derivante dalle azioni di rivalsa anch’esse si in sede penale sia in quella civile del medesimo cliente che a fronte dell’insuccesso (sicuro) riportato nelle sedi giudiziarie, rivolgerà nei confronti del grafologo responsabile di aver rilasciato un parere dolosamente contrario ai fondamenti della disciplina grafologica.

Anche con il cliente della seconda categoria, le responsabilità a carico del grafologo rimangono invariate, avendo seppure con motivazioni diverse, rilasciato un parere in contrasto con le risultanze grafologiche.

La difesa preventiva del grafologo potrà essere di due tipi, la prima rilasciare un parere conforme allo studio dei materiali, oppure a scanso di ogni possibile equivoco, declinare l’incarico già in partenza.

Con il cliente della terza categoria sarà opportuno, avere un comportamento improntato alla massima cautela, in quanto si è di fronte ad un potenziale truffatore, il quale non esiterà a mettere in essere artifizi e raggiri  in danno del consulente.

Un contratto di consulenza che indichi esattamente, i materiali forniti, ed il tipo di prestazione professionale che sarà possibile fornire ad effettuato esame dei documenti, può costituire un valido baluardo, contro il tentativo truffaldino di ottenere un parere sostanzialmente fasullo, sempre che non si decida, anche questa volta, di astenersi dall’assumere l’incarico, onde evitare di doversi rapportare con soggetti tutt’altro che onesti.

Roberto Colasanti   

Firme di fantasia

Una modalità finalizzata al disconoscimento della propria firma

Per portare a termine una perizia grafologica, che sia su un testamento olografo, quindi manoscritto, oppure su firme, non basta conoscere i singoli segni, le specie grafiche, ma si devono acquisire certezze attraverso la pratica, esercitare l’occhio che permetterà di cogliere i sintomi grafici, avere la giusta sensibilità per arrivare ad una conclusione ottimale, ovvero alla diagnosi esatta.
Spesso, tali “sintomi”, nascono dalle più svariate combinazioni, saperle distinguere, l’una dall’altra, al fine di essere in grado di riconoscere quelle particolarità che emergono dalla falsificazione, non è un compito semplice.
Come di consueto, una breve premessa al riguardo. Infatti, il tema che voglio trattare in questo articolo – spero chiaro ed esaustivo – è quello del disconoscimento delle firme.
Ho già affrontato l’argomento “disconoscimento” tempo fa; ho parlato delle diverse modalità, ovvero firmare in modo genuino, convinti di quello che si sta compiendo, lungi dal pensiero di doverle disconoscere un domani, quindi apposte consapevolmente.
Poi, alle volte, la necessità, un momento di difficile, l’impossibilità oggettiva di onorare un impegno preso, spesso, conduce verso la strada più semplice, apparentemente, quella del disconoscimento.
In questo caso un percorso in salita, una causa persa, dal momento che si devono produrre firme comparative su documenti certi e, ovviamente, se non c’è premeditazione, la firma sarà più o meno uguale. Quindi, in questo caso consiglio sempre di avvalersi del diritto di recesso ove previsto.
Poi, c’è il caso di chi firma in modo diverso dal solito, intenzionalmente, in quanto già prevede un disconoscimento futuro. Ovviamente ci si prepara psicologicamente, e la firma “appare diversa”, ma, come affermano i “grandi” della perizia forense, “non esiste un falsario tanto bravo da riuscire a nascondere la propria natura, i gesti innati emergono sempre”.
Personalmente non mi occupo spesso di questo argomento, è assai spinoso e presenta delle difficoltà non indifferenti, specialmente quando si tratta di firme cosiddette “di fantasia”.
Ormai, chi mi segue da tempo, sa che la mia modalità di comunicazione, è quella di narrare esperienze professionali vissute.

LA “FIRMA DI FANTASIA”

Sussiste quando lo scrivente ha firmato inventando uno stile grafico del tutto diverso, artificiale, quindi una maschera, che non corrisponde alla sua natura. Tutto ciò allo scopo premeditato di potere disconoscere la firma successivamente.
Ovviamente tale strategia  generalmente viene messa in atto da truffatori esperti (della serie “mandrakata”) che infatti riescono a modificare la dimensione, la forma, la pressione, e tutte (o quasi) le caratteristiche principali del proprio gesto grafico.
Il quesito che mi è stato posto è: determinare se le svariate firme in calce, poste su documenti importanti, possono essere attribuite ad una persona, che però nega di esserne l’autore.
All’inizio, quando il soggetto in questione mi ha fornito le proprie firme su documenti certi (carta d’identità e documento rilasciato dalla questura per il porto d’armi) pensavo ad una totale trasparenza.
Successivamente, quando mi ha inviato più firme in verifica, una diversa dall’altra, un campanello di allarme si è acceso, ovviamente.
Le firme inventate hanno tutte la stessa modalità di esecuzione, la dimensione delle lettere cambia rispetto a quella naturale. Quindi, se si scrive abitualmente “piccolo”, nella firma di fantasia la dimensione delle lettere è molto più grande, viceversa se abitualmente si scrive “grande”, la dimensione delle lettere sarà molto più piccola.
Si riscontra sempre assenza di ritmo, ovvero la firma appare piatta, senza vita, immobile. Cambia, infatti, la velocità, perché non è scritta di getto. Verticale perché ci si concentra a camuffare. Ci sono tremori nel breve tracciato grafico, che denotano emotività. Tutto ciò desta già molti dubbi sull’autenticità, perché vergare il proprio nome e cognome è il gesto grafico più spontaneo e naturale in assoluto.
Quando la firma è autentica, questa si snoda con grande rapidità e scioltezza.
Un altro elemento molto importante che mi ha condotto alla risoluzione del problema è che, sempre queste persone, si concentrano sulle lettere maiuscole della propria firma. Il nome, ad esempio Mario, non è assolutamente riconducibile alla persona in questione (dissimulatore), ma, nel cognome, ad esempio Rossi, si iniziano a notare dei segni di cedimento, ovvero, l’attenzione diminuisce e, specialmente se ci sono le doppie, come in questo cognome di pura fantasia, emergono i famosi gesti tipo, fuggitivi, che fanno parte della spontaneità del soggetto, come ad esempio la modalità di “legare” le due esse.
Tutto ciò non sfugge all’occhio attento del grafologo, ma come ho accennato all’inizio ci vuole “mestiere”, esperienza e dedizione, ma, soprattutto non farsi condizionare dai racconti, (spesso finalizzati a fuorviare) della persona che si rivolge al professionista.

Patrizia Belloni
Grafologa giudiziaria