Grafologia e sport

Tra i vari ambiti professionali, dove la grafologia può trovare spazio, nella sua applicazione, mi fa  piacere annoverare anche quello sportivo.
Questo articolo può servire da “spunto” di riflessione per i preparatori atletici, figure di riferimento molto importanti per chi pratica uno sport a livello agonistico.
Gli allenatori “costruiscono” in base alle caratteristiche fisiche, ed al tipo di disciplina, un allenamento personalizzato, come un abito, cucito su misura.
Ma come si può capire se un atleta, svolge una adeguata preparazione, senza incorrere a quell’increscioso inconveniente che si chiama sovrallenamento?
Ciò comporta una riduzione della capacità di recupero psico-fisico, può causare insonnia, inappetenza, incapacità di concentrazione, apatia, facile irritabilità, a volte anche depressione.
Incide nelle prestazioni e necessita di un lungo periodo di riposo ed accurati controlli anche a causa di un accelerato battito cardiaco.
Anche in questo specifico settore la grafologia può essere di aiuto per evitare tutta una serie di problematiche, può dare un suo contributo. In che modo?
L’atleta prima del suo allenamento può scrivere su un foglio bianco, senza righe, nè margini, anche poche righe, il contenuto non è importante.
Al termine del suo allenamento scrive di nuovo, anche un testo diverso dal primo, e se lo sforo fisico sarà stato eccessivo, non adeguato, la grafia lo può rilevare. imagesCWHKH58P

Gli sportivi sono tenaci, dotati di un forte senso di responsabilità, rigorosi e con un forte controllo su se stessi, concentrati sull’obiettivo da raggiungere, tutto ciò si evince dal tipo di scrittura, sicuramente “rettilinea”,  la mente è in grado di elaborare  un rigo immaginario dove lo scritto si appoggia, e questo rende possibile che non ci siano nè cadute, nè salite,  il rigore e la disciplina agiscono sull’impostazione spaziale, ovvero la ripartizione, la gestione del foglio stesso.
Il foglio… meravigliosa metafora di come gestiamo la nostra vita sociale, professionale, quanto “spazio” concediamo  a noi stessi ed al prossimo.
L’obiettivo, ovvero la conseguenzialità, la continuità delle lettere, se c’è continuità vuol dire che c’è coesione tra il pensiero e l’azione.

Se dopo l’allenamento si notano delle differenze importanti, ovvero una scrittura “discendente”, una ripartizione spaziale confusa, tremolii, evanescenze nella pressione, come se l’inchiostro stesse per terminare, allora ci troviamo di fronte ad alcuni segnali, ad un campanello di allarme che evidenzia delle difficoltà nell’atleta con quel tipo di allenamento.

Patrizia Belloni

La consulenza grafologica in ambito testamentario

Tra gli atti e i documenti che possono formare l’oggetto della consulenza e della perizia grafologica assume un particolare rilievo il testamento olografo ossia quello “scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore” (art. 602, co. 1, Cod. Civ.). Questa tipologia di atto di “ultima volontà” rientra tra le forme ordinarie di testamento previste ai sensi dell’art. 601 Cod. Civ. unitamente all’atto notarile (pubblico o segreto).
La previsione della forma olografa appare evidenziare la legittimazione giuridica della grafologia ovvero l’affermazione del legislatore della idoneità della scrittura a distinguere ed identificare l’individuo.
Infatti, come affermato da autorevole dottrina civilistica la solennità coincide, nel caso di specie, con l’essere il testo scritto per intero per mano del testatore ovvero senza l’ausilio di mezzi meccanici e senza l’intervento di terzi.
Se la scrittura non fosse significativa della personalità di un individuo che senso avrebbe una norma di questo tenore?
Nel concreto, l’oggetto dell’indagine grafologica coincide con l’autenticità della sottoscrizione, con l’attribuzione del testo alla mano del de cuius e con la datazione del documento. Infatti , stante la revocabilità del testamento a mezzo di una successiva disposizione “di ultima volontà” potrebbe avere rilievo, in sede contenziosa, solamente la datazione in caso di autenticità di più atti tra loro in contrasto.
Per meglio delineare la rilevanza della consulenza e perizia grafologica (di parte e d’ufficio) risulta utile evidenziare una massima giurisprudenziale della Suprema Corte secondo la quale la validità del testamento olografo esige, ai sensi dell’art. 602 c.c. l’autografia non solo della sottoscrizione ma anche della data e del testo del documento, ad escludere l’olografia essendo sufficiente ogni intervento di terzi, indipendentemente dal tipo e dall’entità (e quindi anche in presenza di una sola parola scritta da un terzo durante la confezione codice-civile_largedel testamento), non assumendo al riguardo rilevanza l’importanza che dal punto di vista sostanziale la parte eterografa riveste ai fini della nullità dell’intero testamento secondo il principio utile per inutile non “vitiatur” (Cassazione civile , sez. II, 07 luglio 2004, n. 12458).
Appare di tutta evidenza, quindi, l’importanza dell’attività del grafologo professionista nell’ambito dei contenziosi civilistici inerenti disposizioni testamentarie rese nella forma anzidetta, ritenendosi necessario sottoporre al professionista incaricato non solo il testamento in contestazione ma anche scritti di comparazione.
Al tempo stesso risulta consigliabile recarsi da un legale previa perizia o consulenza grafologica (ancorché preliminare) ovvero rivolgersi ad un avvocato che abbia rapporti di collaborazione con professionisti esperti del settore.

Gabriele Colasanti

Riscoprire le sensazioni del gesto grafico

Qualche anno fa iniziai questo percorso, lungo e difficile, che ancora ovviamente continua, per avvicinarmi allo studio della grafologia, scienza umana che analizza l’ atto dello scrivere.

Ma cos’è scrivere?

Scrivere è parlare di sé. Noi , raccontiamo in un gesto che appare automatico, ed in parte lo è, un segno di ciò che siamo. E’ un’esigenza che l’essere umano, da sempre, ha avvertito: lasciare un’impronta a testimonianza del proprio passaggio in questa vita.

Tale esigenza viene manifestata fin dalla più tenera età, quando per la prima volta, con gioia e con stupore, si afferra, si impugna, una matita, un colore, un pastello ed ecco che appaiono i primi segni grafici, le prime titubanti ed ancora acerbe parti del nostro essere, parti che esprimiamo al di fuori di noi.

In questo momento storico che stiamo vivendo dove la tecnologia appare sempre più soppiantare le attitudini umane, parlare di calligrafia può sembrare anacronistico, fuori tempo. Ma è proprio ora, invece, che si avverte l’esigenza , soprattutto per i bambini ed i ragazzi, di tornare a curare il gesto grafico poiché molti di essi, e anche qualche giovane adulto, trovano difficoltà a comporre con fluidità e scioltezza quei gesti che poi nel foglio compongono la nostra calligrafia. Alcuni di questi bambini e ragazzi devono infatti tornare a “reimparare” la scrittura ed i gesti che occorrono per comporla.

Anche io ho avuto occasione di aiutare un ragazzo, quasi adolescente, a cercare di capire come comporre con scioltezza i gesti grafici.

Abbiamo ripercorso, insieme, un sentiero all’indietro nel tempo, ricominciando con i colori, con le matite, con i pastelli a comporre prima semplici gesti (cerchi, onde, ghirlande) poi nel tempo gesti sempre più legati per portarlo poi a comporre intere parole.

E’ stata una bellissima esperienza vedere questo ragazzo riprendere contatto con la carta, con i colori, con le sensazioni del braccio e della mobilità della mano che si risvegliavano attraverso un un percorso sensoriale.

Nel corso delle esercitazioni l’allievo  si è sporcato con i colori – i suoi colori preferiti che lo rappresentavano – ha sentito il rumore prodotto dalla matita sulla carta paragonandolo ad un ritmo dolce e distensivo, ha sentito lo spessore della carta, la sua ruvidezza o la sua patinatura.

Di conseguenza, sono stati sollecitati tutti i sensi, risvegliandoli e percependo, in tal modo, sensazioni, emozioni che forse si erano assopite. Tutto ciò ha portato ad una maggiore sensibilità e ad affinare doti e qualità forse non ancora scoperte che vanno ad aumentare il nostro potenziale, il nostro tesoro nascosto che, soprattutto in una personalità in via di sviluppo, può essere fonte di grandi energie.

Ecco perché vale la pena scrivere!

Claudia Ducci

Grafologa ed esperta dell’età evolutiva

Arte contemporanea e grafologia un felice connubio a favore dell’autenticità delle opere d’autore

In Italia nell’anno 2014 il valore economico dei beni d’arte sequestrati perché ritenuti contraffatti è stato stimato in circa 427 milioni di Euro.

Nel caso delle opere d’arte la truffa si basa nella stragrande maggioranza dei casi sulla falsa realizzazione o riproduzione di opere attribuendole ad artisti conosciuti e ben valutati sul mercato, corredandole da certificati di garanzia e spesso da expertise altrettanto falsi.

La scoperta dell’opera contraffatta avviene molte volte a distanza di un notevole lasso di tempo dall’acquisto quando il compratore decide a sua volta di rivenderla oppure semplicemente di mostrarla in pubblico, attraverso il coinvolgimento di esperti d’arte conoscitori delle tecniche esecutive e grafiche dell’artista oppure da parte dei rappresentanti delle fondazioni del medesimo autore costituitesi alla sua morte, in cui trovano collocazione in primis gli eredi.

Il riconoscimento della mano dell’artista nella realizzazione dell’opera e della sua firma risulta sovente demandata a soggetti privati che nel certificare l’autenticità o meno del bene d’arte ed assumersi l’onere di attribuire un dipinto ad un autore ben quotato come ad esempio Warhol determinano di fatto un valore che può variare da qualche milione di euro a poche centinaia di euro ovvero nel caso di un falso al costo vivo del materiale utilizzato (tela, colori, etc.).

Si tratta di un responso con effetti economicamente rilevanti con distanze a volte abissali tra il valore venale dell’opera originale e la copia, proveniente da consulenti o rappresentanti di fondazioni privi del requisito della terzietà o comunque non collocati al di sopra delle parti in causa.

In questo contesto così complesso in cui si mescolano arte, cultura, finanza e malaffare ove si muovono in vario modo artisti, storici e studiosi dell’arte, commercianti e imprenditori di vario genere e caratura, è giusto domandarsi se il professionista grafologo possa ricoprire un ruolo più o meno determinante nel discernere l’autentico dal falso.

Per rispondere a tono a questa domanda occorre comprendere su quale materiale il consulente grafologo incaricato potrà rivolgere le sue indagini.

Nella prassi, l’autore suole firmare i propri dipinti in vari modi mediante una sigla più o meno complessa apposta con gli stessi utensili impiegati per dipingere l’opera oppure attraverso l’utilizzo di pennarelli o oggetti similari per scrivere sul retro del dipinto una dedica personalizzata.

In questo caso il consulente grafologo rivolgerà la sua attenzione direttamente sull’opera da esaminare avendo cura di procurarsi l’indispensabile campionario di scritture e firme per l’analisi comparativa. La difficoltà di poter disporre di un adeguato quantitativo di materiale di raffronto potrebbe perciò rappresentare un evidente limite al suo operato, ma il medesimo discorso vale anche per le altre figure professionali di esperti chiamati a pronunciarsi in proposito.

Altri documenti sui quali il consulente grafologo potrà provare ad espletare le proprie indagini con costrutto sono rappresentati dai certificati di garanzia di autenticità dell’opera rilasciate a firma dai galleristi o commercianti autorizzati ed infine dall’expertise sottoscritte da esperti d’arte.

In conclusione si può affermare che l’operato del consulente grafologo in questo ambito di indagine, ovvero dei falsi d’autore, possa trovare una valida applicazione potendo fornire risposte altamente qualificate e professionali.

Roberto Colasanti

L’evoluzione della rappresentazione grafica: scarabocchi e disegni

Scrittura e disegno, oltre che essere due modalità grafiche di comunicazione, sono due forme di espressione della personalità di chi disegna e/o scrive; da tempo scienze umane come la psicologia e la grafologia, ognuna nel proprio ambito di studio, ricerca e applicazione, hanno compreso l’utilità dell’analisi della produzione grafica dell’essere umano allo scopo di comprenderne le problematiche esistenziali.

L’analisi psicologica e grafologica di scarabocchi e disegni dei bambini, anche prima che essi imparino a scrivere, è un utile strumento per comprendere comportamenti e caratteristiche di sviluppo nei primi anni di vita, quando ancora il piccolo dell’uomo non sa esprime adeguatamente con le parole sensazioni e sentimenti che riguardano il suo vissuto.

In effetti qualsiasi adulto che si trovi di fronte a un bambino che si cimenta a scarabocchiare si sofferma affascinato ad osservare tentativi, sforzi, ma soprattutto il coinvolgimento totale con cui il bambino si impegna nel suo compito. E lo stupore che coglie le persone quando hanno la ventura di vedere dal vivo i segni che gli uomini primitivi hanno tracciato nelle caverne o sulle rupi, con le mani impastate prima nell’argilla o con le punte taglienti dei sassi o coi tizzoni carbonizzati dal fuoco, è molto simile a quello che invade gli adulti quando vedono un bambino piccolo tracciare per la prima volta con matite o pennarelli dei segni su un foglio.

Forse è lo stesso stupore che prova il bambino nell’accorgersi che può lasciare dei segni che rimangono fissi, non scompaiono e, appena se ne distacca, diventano altro da lui. Lasciando quei segni sul foglio, si accorge di esistere, di essere una cosa separata dal mondo circostante: quei segni sono i testimoni della sua presenza, del suo esserci nel mondo. Pur senza esserne consapevole, inizia in quel fatidico momento il suo cammino nel mondo dei simboli.

LO SCARABOCCHIO

Già a partire dal primo anno di vita i bambini, se sono messi in condizione di poterlo fare, amano utilizzare matite, pennarelli, oltre che le proprie mani, su qualunque superficie sia disponibile. Si tratta solo di un esercizio motorio? Vi è in questi disegni un intento rappresentativo e comunicativo? E’ difficile dirlo; forse inizialmente vi è solo la necessità di scaricare all’esterno energie pulsionali e solo in un secondo momento , spesso alla domanda dell’adulto che chiede “Che cos’è?”, il bambino attribuisce al disegno un qualche significato. Tuttavia queste sollecitazioni dell’adulto, nel tempo spingono il bambino a provare a vedere che cosa vien fuori facendo questi segni, per poi scoprire, contento, che quanto ha fatto rappresenta pur qualcosa.

La fase dello scarabocchio dura solitamente da 1 a 3 anni e viene chiamata da Luquet, psicologo e studioso del disegno infantile, REALISMO FORTUITO, per indicare, appunto che eventuali risultati non sono frutto di intenzionalità, ma di una ‘ scoperta’ successiva.

Si entra poi in una fase che vede il passaggio dallo scarabocchio al disegno, fase che Luquet chiama del REALISMO MANCATO , caratterizzata da intenzionalità rappresentativa . Il bambino cioè, fin dall’inizio cerca di rappresentare qualcosa , ma egli ha desideri, intenzioni ed aspettative superiori ai risultati ( o almeno così lui li valuta). Può così succedere che egli ci dica che vuol fare un’automobile, ma che poi, osservando a metà strada che cosa sta facendo, egli cambi idea e ci dica che sta facendo una barca, per cambiare idea ancora. Quella del realismo mancato è una fase molto delicata: il bambino può vivere in modo molto frustrante i comportamenti dell’adulto che sottolineano le sue incapacità.

IL DISEGNO ATTRAVERSO SCHEMI

Proprio sulla base dell’esperienza precedente il bambino, in una fase successiva, può trovar fiducia disegnando le cose che ha imparato a far bene. Un soggetto tipico è la figura umana rappresentata in modo caratteristico dai 3 anni, anche prima, l’ “omino testone”: un cerchio che rappresenta la testa (ma in un certo senso anche il corpo) con i particolari degli occhi e della bocca (a volte con il naso , le orecchie e i capelli), a cui sono attaccate direttamente braccia e gambe, disegnate in un sol tratto ciascuna e che non sempre finiscono con mani e piedi. Tra i 4 e i 6/7 anni la figura umana viene rappresentata con altri particolari: gambe e braccia con tratto doppio, il collo tra testa e corpo, i vestiti; inoltre compare lo sfondo e la scena si arricchisce di altri elementi, soprattutto case, animali, alberi, fiori, automobili e, in alto, il sole. Le figure tendono ad essere schematiche e statiche, in posizione frontale, senza rispetto delle proporzioni.

Tutto ciò è coerente con il pensiero intuitivo tipico della fase preoperatoria (Piaget): il bambino è in grado di effettuare collegamenti, corrispondenze, ecc…, ma in forma limitata perché riesce con difficoltà a coordinare fra loro due o più rapporti ( altezza, larghezza, profondità, lontananza, vicinanza…). Inoltre il bambino non disegna ciò che vede, ma ciò che sa e ricorda e questo ha portato alla definizione di Luquet di REALIMO INTELLETTUALE: ad esempio, il bambino può disegnare le abitazioni in cui si vedono dal di fuori gli interni, o il bambino nella pancia della mamma.

IL DISEGNO DELLA REALTA’

Verso gli 8-9 anni il bambino cerca di rispettare il più possibile la realtà così come essa è visibile da un particolare punto di vista. Inizia la fase del REALISMO VISIVO (Luquet) in cui appaiono i primi tentativi di rappresentare il movimento, le persone vengono disegnate anche di profilo e i sessi vengono differenziati sia nelle forme che nell’abbigliamento e nel trucco. Con l’adolescenza, a partire da 11-12 anni inizia una particolare attenzione alla prospettiva e aumenta anche l’interesse decorativo. La valutazione delle proprie capacità può essere tale da indurre il ragazzo a ritenersi ‘negato’ per il disegno tanto da smettere di disegnare o limitarsi a disegni di tipo geometrico.

CONCLUSIONE

Questo veloce excursus sulle modalità di evoluzione del disegno infantile serve a chiarire a chiunque voglia avventurarsi nell’interpretazione grafologica degli elaborati infantili, come egli debba prescindere dall’aderenza alla realtà figurativa dell’adulto; ormai sappiamo, attraverso la ricerca psicologica, che c’è dell’altro nel disegno del bambino: egli attraverso tracce grafiche e colori ci svela una parte del suo mondo e di se stesso, perché vi ha trasferito attraverso il segno impulsi ed idee che via via sa organizzare e ad esprimere in modo che gli altri possano comprenderle.

Elisabetta Agnoloni

Psicopedagogista, insegnante grafologa esperta dell’età evolutiva,

già docente di filosofia, psicologia e scienze pedagogiche nei Licei

Osservazioni grafologiche sulla scrittura di Massimo Bossetti

Immagine lettera scritta da Massimo Bossetti

Immagine lettera scritta da Massimo Bossetti

La triste vicenda di Yara Gambirasio ha toccato il cuore di tutti noi.

Milioni di italiani hanno seguito, di giorno in giorno, le notizie relative alla scomparsa di questa bambina di soli 13 anni e l’evolversi della vicenda, non dimenticata e di nuovo sulle prime pagine per l’imminente processo.

Yara sembrava essere scomparsa nel nulla, in un freddo e buio pomeriggio d’inverno, lì a Brembate, dove la neve e la nebbia,in quel periodo fanno da padrone.

Sarebbe dovuta tornare a casa, dopo essere stata in palestra, dove si recava quotidianamente.

Yara era una grande sportiva, eccelleva nella ginnastica artistica, una disciplina a cui dedicava gran parte del suo tempo libero e che probabilmente un giorno l’avrebbe resa famosa ricompensandola di tante ore trascorse proprio ad allenarsi, trascurando forse la parte ludica della sua giovane età.

Qualcuno ha deciso di interrompere il suo cammino, quel qualcuno si è arrogato il diritto di strapparla ai suoi affetti più cari, i suoi genitori, i fratelli, la famiglia, ma soprattutto alla vita, alla possibilità di diventare adulta e di realizzarsi.

Faccio parte di quella folta schiera di persone che si sono lasciate coinvolgere, commuovendosi nel vedere quel viso pulito ed innocente, una bambina nel vero senso

della parola, che purtroppo si è imbattuta in qualcosa più grande di lei.

Al momento c’è un solo presunto responsabile, ha un nome, Massimo Bossetti, e si trova in carcere.

Senza voler entrare nel merito della vicenda giudiziaria, la mia attenzione è stata catturata da alcuni scritti che il Sig. Bossetti ha reso di dominio pubblico, e nei quali proclama la sua innocenza.

Dapprima una curiosità mi ha spinta a visionarli, e con mia grande sorpresa mi sono trovata di fronte ad una “specie” grafologica che si chiama “script” che fa parte del “genere” forma, una via di mezzo tra il corsivo e lo stampatello.

La forma, non è un gesto qualsiasi ma si traduce come l’immagine di noi stessi, ed è proprio per questo motivo che la forma della scrittura a cui vogliamo dare un volto rappresenta il punto dove la nostra identita si confronta con l’ambiente circostante

E’ molto interessante sapere cosa dice dello “script” Jung, psichiatra e psicoterapeuta, dapprima allievo di Freud che poi ha sviluppato un suo pensiero filosofico legato più all’evoluzione ed alla crescita dell’individuo che alla malattia.

“Scrittura maschera, chi adotta questo tipo di scrittura non ama manifestare se stesso.”

E’ alla ricerca di un compromesso, quindi, una sorta di adattamento che consente di relazionarsi con il prossimo. Un by-pass, un ponte di collegamento tra la parte interiore dell’individuo e la società.

Questo accade a chi possiede un buon adattamento, in caso contrario può diventare un personaggio fittizio, egli stesso si confonde tra il vero e lo schermato, per primo ha difficoltà a riconoscersi.

E’ possibile, a volte, che ci sia un conflitto, una mancanza di coesione interiore, cioè una scissione tra le parti che costituiscono una entità, che fanno parte della vita e della propria coscienza.

Quando ci si sente inadeguati, si assume una facciata, ci si identifica con i principi sociali, tradizionali, i figli, la moglie, professionali, un lavoro duro, impegnativo, tutto ciò contribuisce ad un buon inserimento sociale ma non ci si confronta più con la propria interiorità.

Fa parte del “genere” continuità, la scrittura staccata, ovvero queste continue alzate di penna fanno si che la scrittura rallenti il suo flusso, ci parla di un’ansia soggiacente al desiderio di fare buona impressione, mostrarsi chiara e leggibile, fino ad arrivare, in alcuni casi, a dissimulare qualcosa di se per il timore di compromettersi.

La scrittura si presenta “grande”, in alcuni scritti “medio grande”, e ciò potrebbe far pensare ad una tipologia di persona che vuole espandersi, un grande che favorisce l’esteriorizzazione, ma…ogni specie grafica va contestualizzata, non è un’entità a se stante, e va analizzata in base all’insieme grafico in questione.

Nel caso di questa scrittura, invece, vi sono molti elementi che indirizzano verso una forma di compensazione, un “io” che si sente fragile, e si mostra grande attraverso la scrittura, un pò come nel mondo degli animali, quando hanno paura si gonfiano, per mostrarsi più grandi, più forti ed in grado di affrontare il pericolo.

Il movimento immobile, ci parla di un grande controllo su se stesso, ma è un adattamento non spontaneo, il grado di tensione che si percepisce è alto, in questo modo non va verso l’altro ma si ripiega su se stesso e nasconde i propri pensieri. L’eccessiva costanza ed uniformità di movimento, conducono all’ automatismo, corazza di chi adotta stereotipi di comportamento invece di esprimersi liberamente.

Ciò che fa luce sul vero Bossetti è la firma, la nostra reale identità, sia intima che sociale, è l’espressione di noi stessi.

In questo caso non è omogenea con tutto il percorso grafico, infatti è scritta in corsivo.

Allora ci si domanda quali siano realmente le motivazioni dello scrivente che lo hanno spinto a rappresentarsi, piuttosto che a rivelarsi.

Patrizia Belloni

La grafologia nell’era del digitale

Siamo nell’era del digitale, la tecnologia ha un ruolo fondamentale nella nostra attuale società, si comunica attraverso i molteplici social-network, si intrecciano relazioni attraverso internet, e sembra assurdo ma succede anche che si interrompa una frequentazione attraverso un banale messaggio su “whatsapp”, in tutto ciò allora ci si chiede, ma se i manoscritti sono sempre più rari, la grafologia in che modo può intervenire dando delle risposte? Ed ancora… a scuola gli adolescenti usano quasi esclusivamente lo “script” un compromesso tra lo stampatello ed il corsivo, ci si omologa al gruppo anche attraverso la scrittura, dunque, cosa ci rende unici, come possiamo capire attraverso alcuni scritti apparentemente simili un disagio familiare, scolastico, sociale?

In realtà si tratta soltanto di una “morte apparente” della scrittura olografa, quante volte ci troviamo ad apporre anche soltanto una firma su un contratto di affitto, una compravendita immobiliare, sul libretto degli assegni, su un documento, la firma ci identifica e parla di noi.

Chi non ha inviato una cartolina dal luogo di vacanza agli amici..un biglietto di auguri per il compleanno dei nostri cari, un biglietto di ringraziamento ad una persona di riguardo ecc..

La Grafologia è in grado di fornire risposte precise, anche con poche righe o addirittura soltanto con una semplice firma , attraverso i due generi fondamentali della scrittura: pressione e tratto.

La pressione ovvero la forza pressoria che si esercita sul foglio di carta quando scriviamo, bastano davvero poche parole, ma dalla pressione si riesce a capire il patrimonio energetico e la carica pulsionale che ognuno di noi ha, ed il tratto, ovvero elemento innato ed inconfondibile, fa parte del nostro D.N.A, che ci rende unici, come le nostre impronte digitali.

Il tratto quindi, unico ed impossibile da riprodurre, per questo è indispensabile approfondire il suo studio specialmente in perizia giudiziaria.

Esaminando la pressione di un manoscritto possiamo capire come l’individuo agisce, cioè come si relaziona nell’ambito lavorativo e sociale, come interagisce con la realtà circostante.

Il tratto, ovvero la trama costituiva del segno, mette in luce l’essere, la propria interiorità.

Le caratteristiche del tratto non sono riproducibili perché fanno parte del profondo di ognuno di noi, quindi, si manifesta attraverso la scrittura in modo del tutto inconscio, impossibile da controllare ed imitare.

Tutto questo contribuisce a personalizzare e rendere unico un gesto che può sembrare semplice.

Quindi, la grafologia è tutt’ora un valido punto di riferimento nella vita di ognuno di noi, e con la continua ricerca e studi sempre più approfonditi continuerà a dare il proprio aiuto in svariati campi,

medico, pedagogico, sportivo, aziendale, legale ma anche dal punto di vista sociale e relazionale.

Patrizia Belloni

Editoriale

È una nuova realizzazione editoriale che scaturisce da un progetto che vuole rendere accessibile il mondo della grafologia anche ai non addetti ai lavori.

Un “Magazine” che intende avvalersi delle svariate opportunità offerte dalla “rete” per raggiungere ovunque il potenziale lettore in totale libertà e senza alcun impegno aggiuntivo.

L’obiettivo principale di questa testata giornalistica è quello di far conoscere la grafologia ovvero il linguaggio della scrittura con i suoi molteplici campi di utilizzazione mettendo a disposizione l’esperienza di grafologi professionisti.

Un progetto ambizioso, quindi, che nasce dal desiderio di divulgare la grafologia con serietà ed impegno, attraverso la pubblicazione di interviste, articoli tematici, esperienze di vita professionale e risposte a specifici quesiti.

Il lettore potrà anche far luce su alcune problematiche personali in tutte le possibili sfaccettature.

Il “team” di redazione è costituito da Patrizia Belloni, giornalista e grafologa, Claudia Ducci grafologa e insegnante, Elisabetta Agnoloni grafologa e insegnante, Gabriele Colasanti giornalista e consulente legale.

L’editore e direttore responsabile

Patrizia Belloni