Titoli di credito – assegni di traenza – contestuale apertura libretto di risparmio –
illegittimo incasso con firma apocrifa – concorso di colpa

Nota alla sentenza del Tribunale Roma, Sez. XVII, Sent., 04/11/2021, n. 17121 – A cura dell’Avv. Valerio Di Giorgio

Con la sentenza in esame si riporta all’attenzione del lettore la doglianza con cui il legale rappresentante di una Compagnia di Assicurazioni conveniva in giudizio Poste Italiane Spa (odierna convenuta) chiedendo, come precisato nella prima memoria ex art. 183 , VI comma, c.p.c., previa ogni più opportuna declaratoria in ordine alla responsabilità della convenuta, di condannarla al pagamento, in favore di essa attrice della somma complessiva di Euro 8.738,42, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dal dovuto al saldo.
Oggetto del procedimento è la negoziazione di numero tre assegni di traenza non trasferibili:
Dalla documentazione allegata è emerso che:
-rispettivamente in data 22.6.2006, 17.1.2006 e 24.11.2005 detti assegni erano negoziati all’Ufficio Postale; in particolare, i soggetti che negoziavano detti assegni aprivano, in pari data, un libretto di risparmio postale e, successivamente negoziavano gli assegni in questione.
-i soggetti erano identificati mediante documento di identità e codice fiscale e, come emerge dalla documentazione relativa alla pratica di apertura dei libretti di risparmio, detti soggetti fornivano la medesima identità dei beneficiari dei titoli di credito con dati anagrafici -luogo, data di nascita e strada di residenza- diversi da quelli dell’effettivo destinatario dell’assegno (come risultanti dai dati riportati nelle denunce rispettivamente presentate);
-nel frattempo gli effettivi destinatari degli assegni in questione, presentavano denuncia rappresentando l’avvenuto incasso di detto assegno con firma apocrifa.
Nel merito, va premesso che nel caso di specie, il dedotto inadempimento imputato alla Posta non concerne la fattispecie relativa al mancato rispetto dell’obbligo di pagamento dei titoli di credito, muniti della clausola di non trasferibilità, al beneficiario indicato, essendo oggetto nel caso di specie, la diversa ipotesi di pagamento di assegno apparentemente pagato al legittimo beneficiario, cioè a colui che era espressamente indicato quale unico beneficiario del titolo.
Nel caso in esame, i titoli di credito in oggetto sono assegni tratti per conto terzi la cui peculiarità è che non contiene la sottoscrizione del soggetto emittente, ma è sottoscritto direttamente dal beneficiario con girata in favore di se stesso; detti titoli, per come visto, sono stati pagati agli apparenti beneficiari degli assegni, a seguito della probabile contraffazione dei documenti identificativi.
In casi simili, si ritiene (come nell’analogo caso di firma apocrifa dell’assegno -cfr. Cass. Sez. III, sent. n. 20292/2011) che la società negoziatrice dell’assegno possa essere ritenuta responsabile non a fronte della mera fraudolenta sostituzione di un soggetto al reale destinatario e beneficiario del titolo di credito, ma solo nei casi in cui una tale sostituzione sia rilevabile in base alla diligenza media dell’operatore nell’effettuazione della negoziazione in questione.
Va evidenziata anche la recente giurisprudenza della Suprema Corte (Sez. Un., sent. n. 12477/2018) che ritiene, comunque, che “Ai sensi dell’art. 43 , comma 2, del R.D. n. 1736 del 1933 (c.d. legge assegni), la banca negoziatrice chiamata a rispondere del danno derivato – per errore nell’identificazione del legittimo portatore del titolo – dal pagamento dell’assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola non trasferibilità a persona diversa dall’effettivo beneficiario, è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176 , comma 2, c.c.”.
Ciò premesso, si ritiene, nel caso di specie, sussistere una condotta negligente della società convenuta la quale, tramite un semplice e rapido controllo dell’esattezza dei codici fiscali, in via telematica, poteva verificare la validità di detti codici (l’invalidità di detti codici fiscali è documentata dalla parte attrice in sede di memoria istruttoria).
Tale condotta doveva ritenersi esigibile nel caso in esame, in base alla media diligenza che deve essere propria dei professionisti addetti alla negoziazione di titoli, considerato che per il tipo di titolo in questione non era possibile un confronto con uno “specimen” di firma e considerata la circostanza che i soggetti, non conosciuti quali abituali cliente della società convenuta, avevano acceso solo in pari data alla negoziazione dell’assegno un libretto di risparmio, fatto che avrebbe dovuto sollecitare maggiore cautela e attenzione nel controllo circa l’identificazione dei soggetti -i quali, inoltre, non risiedevano nel luogo ove erano rispettivamente incassati gli assegni, previa apertura del libretto di risparmio-.
In ordine al danno, poi, questo consegue all’incasso dei titoli di credito da parte dei soggetti diversi dai reali destinatari dei titoli medesimi, con conseguente perdita ingiustificata di quella somma da parte del soggetto emittente gli assegni, il quale ne aveva costituito la provvista; nel caso di specie è stato comunque documentato, per i primi due assegni, il nuovo pagamento effettuato dalla parte attrice, nei confronti dei reali beneficiari, degli assegni in questione.
In relazione alla contestazione del concorso di colpa, ex art.1227 c.c., avanzata dalla parte convenuta, in relazione alla condotta della parte attrice che si era avvalsa, in accordo con gli istituti di credito trattari, per la trasmissione dei titoli di credito in argomento, della posta ordinaria, va evidenziata la recente pronuncia delle Sezioni Unite (sent. n.9769/2020) sul punto.
In detta pronuncia era, innanzitutto, ribadita la natura contrattuale della responsabilità dell’istituto che negozia l’assegno trattandosi di “un’ipotesi di responsabilità contrattuale c.d. da contatto sociale”, fondata sull’obbligo professionale di protezione” nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine della sottostante operazione, ed era evidenziato che, al fine di sottrarsi alla responsabilità, l’istituto che negozia l’assegno è tenuto a provare di aver assolto alla propria obbligazione con la diligenza dovuta, che è quella nascente, ai sensi dell’art. 1176 , secondo comma, cod. civ., dalla sua qualità di operatore professionale, tenuto a rispondere anche in ipotesi di colpa lieve.
Era evidenziato che lo scopo della clausola di intrasferibilità consisteva non solo nell’assicurare all’effettivo prenditore il conseguimento della prestazione dovuta, ma anche e soprattutto nell’impedire la circolazione del titolo.
Riguardo al nesso causale, richiamati gli articolo 40 e 41 cod. pen. ed i principi della “condicio sine qua non” e della “causalità adeguata” sottolineava come “il rigore del principio dell’equivalenza delle cause, posto dall’art. 40 cod. pen., in virtù del quale deve riconoscersi a ciascuna di esse efficienza causale, trova il suo temperamento nel principio di causalità efficiente, desumibile dal secondo comma dell’art. 41 cod. pen., in base al quale l’evento dannoso può essere attribuito esclusivamente all’autore della condotta sopravvenuta soltanto se questa condotta risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale già in atto”
Rilevava che l’interruzione del nesso causale poteva essere anche l’effetto del comportamento dello stesso danneggiato e che detta condotta -anteriore, coeva o successiva alla commissione del fatto illecito- poteva essere tale da interrompere il nesso causale dell’evento dannoso con le condotte precedentemente poste in essere ovvero essere idonea solo a concorrere alla produzione del danno, applicandosi, in quest’ultimo caso, “l’art. 1227 , primo comma, cod. civ., il quale afferma il principio secondo cui il danno che taluno arreca a sé medesimo non può essere posto a carico dell’autore della causa concorrente.
Evidenziava, quindi, la Suprema Corte che “in caso di sottrazione di un assegno non trasferibile non consegnato direttamente al prenditore, le modalità prescelte per la trasmissione del titolo possano spiegare un’efficienza causale ai fini della riscossione del relativo importo da parte di un soggetto non legittimato” in quanto ai fini della negoziazione dell’assegno oltre ad essere necessaria una compiuta identificazione del prenditore dell’assegno e indispensabile anche la materiale disponibilità del titolo da porre all’incasso; sottolineava, invero, che “il possesso del documento rappresenta infatti una condizione essenziale per l’esercizio del diritto in esso incorporato, allo stesso modo della qualità di prenditore di colui che presenta il titolo all’incasso”.
Riteneva, quindi, la Cassazione che qualora “la sottrazione sia stata cagionata o comunque agevolata dall’adozione di modalità di trasmissione inidonee a garantire, per quanto possibile, che l’assegno pervenga al destinatario, non può dubitarsi che la scelta delle predette modalità costituisca, al pari dell’errore nell’identificazione del presentatore, un antecedente necessario dell’evento dannoso, che rispetto ad esso non si presenta come una conseguenza affatto inverosimile o imprevedibile.
Proseguiva rilevando:
che “il rischio che l’assegno possa cadere in mani diverse da quelle del destinatario, e sia presentato all’incasso da un soggetto diverso dallo effettivo prenditore non può ritenersi “scongiurato né dalla clausola d’intrasferibilità, la cui funzione precipua non consiste, come si è detto, nell’evitare il predetto evento, ma nell’impedire la circolazione del titolo, né dall’imposizione a carico della banca dell’obbligo di procedere all’identificazione del presentatore, dal momento che il puntuale adempimento di tale obbligo è reso sempre più difficoltoso dallo sviluppo di perfezionate tecniche di contraffazione dei documenti”;
che “in tale contesto, la scelta di avvalersi della posta ordinaria per la trasmissione dell’assegno al beneficiario, pur in presenza di altre forme di spedizione (posta raccomandata o assicurata) o di strumenti di pagamento ben più moderni e sicuri (quali il bonifico bancario o il pagamento elettronico), si traduce nella consapevole assunzione di un rischio da parte del mittente, che non può non costituire oggetto di valutazione ai fini dell’individuazione della causa dell’evento dannoso: quest’ultima, infatti, non è identificabile esclusivamente con il segmento terminale del processo che ha condotto al verificarsi dell’evento, ma dev’essere individuata tenendo conto dell’intera sequenza dei fatti che lo hanno determinato, escludendo ovviamente quelli che non hanno spiegato alcuna incidenza su di esso, per essere stati superati da altri fatti successivi di per sé soli sufficienti a cagionarlo;
che il riconoscimento del concorso di colpa del danneggiato può ritenersi integrato non solo quando vi sia una condotta tenuta in violazione di precise norme giuridiche, ma anche quando quella condotta comporta “l’esposizione volontaria o comunque consapevole ad un rischio che, secondo regole di prudenza comportamentale avvertite come vincolanti dalla comunità, si ponga al di sopra della soglia della normalità, dal momento che in tal caso il comportamento tenuto dal danneggiato si inserisce nel processo eziologico che conduce all’evento dannoso, divenendo un segmento della catena causale”:
Sulla base di dette argomentazioni, la Cassazione, dopo aver premesso che non sussistono norme giuridiche che escludano l’utilizzo dell’assegno per effettuare pagamenti a distanza e ritenuta l’impossibilità di attribuire efficacia giuridicamente vincolante alle norme che disciplinano il servizio postale, partendo dall’esame delle modalità di prestazione del servizio postale, evidenziava le particolari cautele apprestate dalla normativa per la spedizione, la trasmissione e la consegna della posta raccomandata ed assicurata, rispetto alle corrispondenti modalità previste per la posta ordinaria.
Conseguentemente, riteneva che l’assunzione del rischio di sottrazione del titolo di credito a seguito del mancato utilizzo di forme di corrispondenza più sicure era condotta idonea anche ad accrescere la probabilità di pagamenti a soggetti non legittimati, comportando un aggravamento della posizione della banca trattaria o negoziatrice e la violazione del dovere di agire in modo da preservare gl’interessi di tutti i soggetti coinvolti nella vicenda, ove ciò non comporti un apprezzabile sacrificio a proprio carico, “in ossequio al principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost., che a livello di legislazione ordinaria trova espressione proprio nella regola di cui all’art. 1227 cod. civ., operante sia in materia extracontrattuale, in virtù nell’espresso richiamo di tale disposizione da parte dell’art. 2056 cod. civ., sia in materia contrattuale, come riflesso dell’obbligo di comportarsi secondo correttezza e buona fede, previsto dall’art. 1175 cod. civ. in riferimento sia alla formazione che all’interpretazione e all’esecuzione del contratto”.
Pertanto, la Corte, in base alle suddette condivisibili considerazioni indicava il seguente principio:
“La spedizione per posta ordinaria di un assegno, ancorché munito di clausola d’intrasferibilità, costituisce, in caso di sottrazione del titolo e riscossione da parte di un soggetto non legittimato, condotta idonea a giustificare l’affermazione del concorso di colpa del mittente, comportando, in relazione alle modalità di trasmissione e consegna previste dalla disciplina del servizio postale, l’esposizione volontaria del mittente ad un rischio superiore a quello consentito dal rispetto delle regole di comune prudenza e del dovere di agire per preservare gl’interessi degli altri soggetti coinvolti nella vicenda, e configurandosi dunque come un antecedente necessario dell’evento dannoso, concorrente con il comportamento colposo eventualmente tenuto dalla banca nell’identificazione del presentatore”.
Pertanto, il Tribunale ritenuta, per quanto già detto, la sussistenza di un comportamento colposo della parte convenuta nell’identificazione del presentatore dell’assegno in questione, ritiene anche sussistere, ex art.1227 c.c., una condotta negligente della società attrice nel non aver adottato o fatto adottare, per l’invio dell’assegno, uno strumento più sicuro di quello della posta ordinaria, ponendo in essere un concorrente comportamento colposo, anch’esso antecedente necessario dell’effetto dannoso contestato.
Ritenuto, quindi, che le condotte negligenti poste in essere dalle parti siano antecedenti necessari dell’evento lesivo, si ritiene prevalente la responsabilità delle P.I., in considerazione della maggiore gravità della condotta negligente tenuto dall’ufficio postale rispetto alle verifiche da effettuare in relazione ad una situazione “anomala”, quale l’incasso di un assegno di traenza contestualmente all’apertura di un libretto postale da parte di soggetto non avente, fino a quel momento, depositi o conti presso P., rispetto alla condotta tenuta dalla parte attrice, che rappresenta solo il soggetto che ha partecipato con la modalità di innesto della catena causale – consistito nella superficialità di aver effettuato la spedizione degli assegni tramite l’utilizzo dei normali servizi postali privi di tracciabilità e insidiati da più elevato pericolo di sottrazione, pur potendo con un minimo sforzo rendere più sicura la trasmissione e consegna del plico.
Conseguentemente, si ritiene imputabile il concorso di colpa della parte attrice nella misura di un terzo.
Pertanto, la società convenuta è stata condannata, a titolo di risarcimento del danno, al pagamento, in favore della parte attrice, dei due terzi dell’importo complessivo degli assegni in oggetto, oltre la rivalutazione annuale secondo gli indici I.S.T.A.T., trattandosi di debito di valore, dalla data di negoziazione degli assegni (data dell’evento lesivo) al saldo, nonché gli interessi, nella misura del tasso legale, sulla somma annualmente rivalutata dalla domanda al saldo.