Stalking attraverso manoscritti


Quando si parla di violenza contro le donne viene in rilievo, nell’ambito dei reati del c.d. “Codice Rosso”, lo stalking ossia il delitto di “atti persecutori” previsto e punito dall’art. 612-bis c.p. che punisce severamente “chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita..”.
Trattando delle molteplici applicazioni della grafologia non si può trascurare che il manoscritto costituisce una delle modalità “tipiche”, secondo le cronache giudiziarie, di attuazione delle molestie in danno della persona offesa.
Spesso si tratta di lettere o biglietti che vengono recapitati dopo che la vittima ha provveduto a bloccare il numero di telefono ed i contatti del persecutore sui social network.
Ma può anche trattarsi di lettere anonime rispetto alle quali è necessario individuare l’autore/l’autrice.
Tra i fatti di cronaca sull’argomento è indicativo un caso di qualche anno fa, accaduto in provincia de L’Aquila, specificamente solo grazie ad una perizia grafologica è stato possibile arrestare per “stalking” un uomo di 53 anni che aveva terrorizzato un Paese con lettere anonime e sms volgari.
Ulteriore esempio: il 3 ottobre 2024 l’Agenzia ANSA intitolava così un articolo: “Lo stalking con lettere anonime, arrestato ‘il Pescatore’” raccontando che il soggetto attinto dalla misura cautelare, secondo gli inquirenti, inviava lettere minatorie alle donne prese di mira (finora risultate essere quattro, di cui tre già a lui legate da un vincolo sentimentale) firmandosi come ‘il Pescatore’ o ‘Fischermann’. Ebbene, nelle notizie di stampa si legge che le lettere ricevute dalle diverse donne sono risultate provenienti dalla stessa mano perché caratterizzate dalla “stessa grafia”.
Nel caso degli atti persecutori l’autore degli scritti anonimi mira a creare un danno alla vittima, a lederne la serenità provocandogli uno stato d’ansia ovvero il cambiamento delle proprie abitudini di vita.
Poiché la scrittura è espressione della personalità non sembra anomalo che il persecutore scriva di suo pugno le frasi moleste.
Corre l’obbligo di evidenziare che il contenuto delle lettere o dei biglietti, affinché sussista la condotta punita dall’art. 612 bis c.p., non deve essere necessariamente offensivo o volgare perché anche l’invio ripetuto di biglietti con scritte del tipo “mi manchi”, “ti amo”, “ti aspetto”, “ti prego prendiamoci un caffè”, se provoca ansia nel destinatario integra il delitto in parola. Occorre senz’altro guardare al contesto dei fatti ed al rapporto autore-destinatario affinché possa parlarsi di “molestia” e valutare gli effetti sulla vittima.

Gabriele Colasanti

Avvocato del foro di Roma – Giornalista-pubblicista

Il grafologo giudiziario come consulente della persona offesa dal reato

La grafologia giudiziaria viene in ausilio della difesa tecnica della persona offesa dal reato.
Si deve premettere che la persona offesa dal reato coincide con il titolare dell’interesse giuridico protetto, anche in modo non prevalente dalla norma incriminatrice che si assume sia stata violata dal reato (Tonini, Manuale di procedura penale).

In particolare, ai sensi dell’art. 90 del Codice di Procedura Penale (Diritti e facoltà della persona offesa dal reato), la persona offesa, in ogni stato e grado del procedimento può presentare memorie e, con esclusione del giudizio dinanzi la Corte di Cassazione, indicare elementi di prova.
In tale contesto, il difensore della persona offesa, in forza di quanto previsto dall’art. 327-bis c.p.p. può compiere investigazioni difensive al fine di ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito.
Appare utile considerare che le investigazioni difensive servono anche a vagliare la sussistenza del reato prima ancora della presentazione della denuncia e della querela, nel primo caso per comunicare all’Autorità Giudiziaria la notizia di un reato perseguibile d’ufficio che abbia leso i propri interessi e, nel secondo caso, per chiedere all’Autorità Giudiziaria di procedere e perseguire penalmente per un fatto-reato non perseguibile d’ufficio rispetto al quale la querela costituisce condizione di procedibilità in mancanza della quale non può essere esercitata l’azione penale.
Nel corso delle indagini preliminari, invece, la persona offesa può fornire al Pubblico Ministero il proprio contributo investigativo comunicando elementi idonei ad agevolare l’individuazione del colpevole o, comunque, utili delineare il fatto storico oggetto dell’indagine nonché per sostenere l’accusa in giudizio nei confronti dell’indagato.
Nel nostro ordinamento la persona offesa è tenuta a rappresentare fatti veritieri perché diversamente è imputabile per i delitti di calunnia, simulazione di reato, false informazioni al pubblico ministero e falsa testimonianza.
La grafologia giudiziaria viene in rilievo, certamente, allorquando lo scritto sia l’elemento costitutivo del reato, basti pensare alle fattispecie di:

  •  Falsità in testamento olografo, cambiale o titoli di credito (Art. 491 C.P.);
  •  Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in copie autentiche di atti pubblici o privati e in attestati del contenuto di atti (art. 478 C.P.);
  •  Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici (Art. 478 C.P.);
  •  Sostituzione di persona (art. 494 c.p.).

Inoltre, la grafologia entra a far parte del procedimento penale anche quando il manoscritto falso o apocrifo e la firma apocrifa rappresentano uno degli elementi costitutivi del reato come nel caso, a titolo esemplificativo e non esaustivo, della truffa (Art. 640 c.p.), della diffamazione (art. 595 c.p.), degli atti persecutori (c.d. stalking – art. 612 bis c.p.), dell’istigazione al suicidio (art. 580 c.p.).
Il gesto grafico, poi, può costituire elemento di prova di crimini efferati come l’omicidio, il sequestro di persona e dei c.d. “crimini seriali”.
Pertanto, nell’ambito giuridico sinteticamente descritto, l’avvocato difensore della persona offesa può nominare come consulente tecnico il grafologo giudiziario il quale, attraverso le specifiche competenze tecniche, viene chiamato a fornire un ausilio tecnico-specialistico per la ricerca di elementi utili all’attività difensiva nell’ottica del perseguimento dell’interesse punitivo e risarcitorio del soggetto privato che è, appunto, la persona offesa dal reato.
In questo caso, il grafologo giudiziario è un libero-professionista che nel rispetto delle norme e della deontologia affianca la persona offesa ed il suo difensore e può essere da questi liberamente scelto nell’ambito degli esperti della materia.
In conclusione, vista la complessità delle fattispecie valutate in sede penale, è consigliabile interpellare un esperto in materia grafologica, un grafologo giudiziario, quando manoscritti e/o firme siano di interesse per il procedimento penale; anche in via preventiva per individuare il reo ovvero escludere talune persone o circoscrivere il novero dei possibili responsabili del delitto.

Gabriele Colasanti

Avvocato del foro di Roma – Giornalista-pubblicista

LA DATA SUL TESTAMENTO OLOGRAFO

In questi lunghi anni di vita del mio giornale, “Grafologia Magazine” circa dieci, la sottoscritta insieme ai tanti “amici di penna”, come li ho sempre definiti, che via via si sono avvicendati nel corso di questi anni, abbiamo messo nero su bianco attingendo alle rispettive competenze professionali, per dare vita a numerosi articoli inerenti sia al testamento olografo, che ovviamente altre forme di testamento, e tantissimi altri aspetti relativi alla scrittura o alle firme. Sono stati espressi pareri e dispensato consigli da parte di molti professionisti quali Avvocati e Criminologi, altresì scandagliati tutti gli aspetti secondo una differente prospettiva rispetto a quella grafologica ampliando l’orizzonte anche dal punto di vista legale. Inizialmente, quando ho intrapreso questa “avventura” anche psicologi e psicoterapeuti hanno contribuito alla crescita del giornale scrivendo numerosi articoli anche per quanto concerne l’età evolutiva della scrittura, ovvero quella dei bambini e adolescenti e, seppur on-line si tratta di una vera e propria testata giornalistica, dove tutti hanno dato il loro contributo in modo spontaneo e professionale. In questi anni ho parlato a lungo su cos’è un testamento, illustrando ampiamente che trattasi di un atto con il quale una persona dispone, per quando sarà deceduta, di tutte le proprie sostanze o parte di esse, è un atto formale, quindi redatto previa scrittura pur essendo prevista una varietà di forme eterogenee tra di loro, e tuttavia valide ad attribuire una eguale importanza a livello giuridico. Se il testamento è olografo deve essere scritto esclusivamente dalla mano del testatore, testo data e firma e non ci devono essere interferenze di natura grafologica, ovvero mani estranee, e nel caso in cui dovessero sorgere dei dubbi in questo senso da parte di qualche erede, il testamento può essere impugnato nei termini di prescrizione di cinque anni dal giorno in cui è stata data esecuzione alle volontà testamentarie. I requisiti del testamento olografo sono sicuramente l’olografia della scrittura, ovvero scritto interamente dalla mano del testatore, che vi sia apposta la data e la firma, inoltre il testamento deve indicare nello specifico quali beni sono destinati a quali persone. La data è il secondo requisito previsto per la validità del testamento olografo, ma, se per il testo manoscritto e la firma la legge non transige, infatti vi sono regole ferree sopra elencate, viceversa, per quanto riguarda la data a volte i provvedimenti legali sono meno intransigenti, specialmente quando il testamento è stato scritto da un soggetto molto anziano, che, vuoi per l’emozione, l’anzianità o altro ci sia una dimenticanza, ovvero che la data non sia stata scritta nel modo tradizionale, quindi all’inizio del testo oppure a fondo pagina prima della firma. Affinché il testamento sia ritenuto valido nonostante questa mancanza è che all’interno del testo manoscritto vi siano delle indicazioni certe che rivelino seppur indirettamente quando è stato redatto, ad esempio: “Io sottoscritto …sto scrivendo il mio testamento il giorno di Natale del 2001”, quindi sappiamo che Natale è sempre il 25 Dicembre e l’anno è stato dichiarato quindi una data certa; oppure sto scrivendo le mie ultime volontà il giorno del mio settantesimo compleanno, se il testatore all’interno del manoscritto ha menzionato il suo giorno mese e anno di nascita è sicuramente anch’essa una data certa, e così via. Recentemente ho avuto l’occasione di fornire la mia consulenza ovvero parere pro – veritate su un testamento olografo ideato e scritto da una persona piuttosto anziana in cui aveva dimenticato di scrivere la data, i parenti esclusi dall’asse ereditario, ovviamente hanno subito impugnato il testamento. Nonostante questa avversità Il testamento è stato ritenuto valido, in quanto oltre ad essere stato scritto e firmato di proprio pugno il testatore aveva fatto riferimento al giorno mese ed anno della nascita di un suo nipote quindi “Ho scritto il mio testamento il giorno della nascita di” … che aveva ovviamente menzionato nella scheda testamentaria dichiarando il nome, cognome, giorno, mese ed anno di nascita, una data certa di un fatto già avvenuto. Certamente questi sono casi eccezionali, non è di certo la regola, la data è sicuramente indispensabile ai fini della validità di un testamento, ma ci sono anche le eccezioni e sicuramente è fondamentale il parere del Giudice, quindi tutto nelle mani della sua discrezionalità. Altra cosa è apporre una data anteriore ad una azione che il testatore dichiara di aver fatto, cioè quando in esso si menziona come passato o compiuto un atto che invece è avvenuto in epoca posteriore alla data del testamento, quindi se la data non è certa il testamento è nullo.


Patrizia Belloni
Grafologa Giudiziaria e Giornalista
Specializzata in analisi e comparazione di testamenti olografi
www.patriziabelloni.it

Come risalire alla datazione della scrittura ed utilizzo del foglio firmato in bianco

Quale grafologa giudiziaria, recentemente, sono stata contattata da una signora la quale mi ha posto due quesiti.

Il primo quesito aveva ad oggetto un confronto tra alcune scritture certe, in quanto si trattava di una perizia tecnica compilata interamente a mano da un Architetto e poi firmata (e non come avviene di solito redatta con un computer e poi sottoscritta), ed altre scritture e firme dello stesso professionista, e fin qui ho avuto la possibilità di esprimere il mio parere come grafologa.

L’altro quesito invece riguardava la datazione degli inchiostri, in quanto la Signora era convinta che alcuni “estremi catastali” fossero stati apposti in epoca diversa, successiva alla perizia tecnica, accertamento alquanto difficile da eseguire giacché ciò è possibile soltanto su inchiostri provenienti da penne a sfera (tipo “bic”) e non da penna gel o stilografica, che  non sono databili, allora occorre eseguire preventivamente una analisi in microscopia ottica per individuare quale tipologia di penna è stata utilizzata.

Purtroppo, attribuire ad uno scritto o firma una datazione precisa risulta essere alquanto improbabile, anche perché è impossibile risalire al giorno e nemmeno al mese in cui sono state redatte scritture o firme, i risultati sono espressi in “probabilità” più o meno elevata, vi è un range di qualche mese, circa cinque o sei, dove non si nota la differenza tra uno scritto e l’altro oppure tra un testo manoscritto e una firma, la situazione ottimale sarebbe che fosse trascorso come minimo un anno affinché gli esperti del settore notino la differenza.

Ho consigliato comunque alla Signora di rivolgersi ad un laboratorio specializzato preposto a questo tipo di accertamenti dove vi lavorano dei chimici forensi che possono rilasciare una perizia giurata spendibile ai fini di un eventuale procedimento giudiziario.

Anche per quanto concerne i testamenti olografi vengo spesso interpellata per sapere se è possibile stabilire se una firma del “de cuius” è stata apposta prima del testo manoscritto, quindi in molti hanno il sospetto che al loro congiunto sia stato fatto firmare il foglio in bianco, una volta accertato che la firma è autentica.

Come sopra illustrato, non è semplice  pervenire a tale accertamento, perché in primo luogo l’esame dell’inchiostro deve essere eseguito su un manoscritto che non sia una fotocopia, quindi sempre su originale, poi tra la firma che si ritiene essere stata apposta prima ed il testo deve essere trascorso un lasso di tempo significativo, parliamo di uno o più anni, al fine di accertare il differente invecchiamento dell’inchiostro, inoltre la tecnica con la quale viene eseguito l’accertamento è distruttiva quindi il manoscritto non sarà più utilizzabile, parliamo di un esame irripetibile.

Un modus operandi molto diffuso è quello del c.d. “foglio bianco”, quando una persona, spesso anziana, si fida di un parente o conoscente e firma un foglio privo di contenuto.    Ritengo che nel caso dell’abuso del foglio firmato in bianco si tratti di un inganno ancora peggiore di quello che riguarda la falsificazione, e di solito queste persone non si preoccupano nemmeno di imitare la scrittura del “de cuius” perché di sicuro conoscono molto bene la vittima probabilmente è una persona piuttosto anziana con scarsa attitudine alla scrittura, spesso con scarso livello di istruzione ed in grado soltanto di apporre il proprio nome e cognome. In questi casi, questi soggetti sono al corrente che sarebbe anche molto difficile individuare scritture certe di comparazione qualora un parente estromesso dall’eredità volesse impugnare il suddetto testamento, per cui essendo la firma autentica – e quando non vi sono scritture la consulenza si basa soltanto sulla firma – si sentono al sicuro ma non abbastanza perché un esperto grafologo saprà individuare la giusta via per dare voce a chi non ha più la possibilità di farlo.


Patrizia Belloni
Grafologa Giudiziaria e Giornalista
Specializzata in analisi e comparazione di testamenti olografi
www.patriziabelloni.it

La volontà dispositiva (requisito) nel testamento olografo

L’art. 602 c.c. disciplina il testamento olografo che rappresenta la forma testamentaria “proveniente dalla mano del de cuius” in quanto trattasi di quel testamento redatto, datato e sottoscritto di pugno dal testatore e rappresenta la forma più “intima”, semplice ed economica, con cui una persona può disporre per quando non sarà più in vita.

Il Codice Civile  prevede  che il  testamento olografo per essere valido debba contenere i seguenti requisiti:

  • l’autografia,
  • la datazione in relazione al momento in cui il documento viene perfezionato,
  • la sottoscrizione sempre e solo per mano del testatore.

Sembra utile riportare l’art. 602 Cod. Civ. che così dispone:

“Il testamento olografo deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore [606, 684, 685 c.c.].

La sottoscrizione deve essere posta alla fine delle disposizioni. Se anche non è fatta indicando nome e cognome, è tuttavia valida quando designa con certezza la persona del testatore.

La data deve contenere l’indicazione del giorno, mese e anno. La prova della non verità della data è ammessa soltanto quando si tratta di giudicare della capacità del testatore [591 c.c.], della priorità di data tra più testamenti o di altra questione da decidersi in base al tempo del testamento [651, 656, 657, 687 c.c.].”

Sono sufficienti i requisiti sopra elencati? No, oltre ai requisiti formali sopra menzionati occorre che il testo sia espressione della volontà del testatore di disporre dei propri beni post mortem.

Invero, il de cuius può aver sottoscritto un atto suscettibile di essere interpretato come scrittura privata a contenuto patrimoniale ma non come testamento olografo, anche in presenza dei predetti requisiti di forma.  Infatti, ai fini della configurabilità di una scrittura privata come testamento olografo, non è sufficiente la presenza dei requisiti di forma individuati dall’art. 602 c.c. ma sussiste anche la necessità dell’accertamento dell’oggettiva riconoscibilità nella scrittura della volontà attuale del suo autore di compiere un atto di disposizione del proprio patrimonio per il tempo successivo al suo decesso.

In giurisprudenza è stato affermato che è necessario riscontrare una chiara volontà testamentaria in un atto il quale abbia i requisiti formali di un testamento olografo poiché, proprio in considerazione della serietà dell’atto e delle sue conseguenze giuridiche, vanno individuati requisiti minimi di riconoscibilità oggettiva nell’atto di cui si tratta di un negozio mortis causa, che valgano, ad esempio, a distinguerlo da una donazione, o da un riconoscimento di debito etc.

In dottrina si è ritenuto che non sia sufficiente la manifestazione di una intenzione o di un desiderio, pertanto, affermare  “istituirò mio erede” non equivale a “istituisco mio erede”, così come scrivere “Tutti i miei beni sono esclusivamente di proprietà di…..” non equivale a “istituisco erede in tutti i miei beni il signor/la signora…”.

Una volta rinvenuto uno scritto olografo ed autografo occorre vagliarne il contenuto per verificare che lo stesso integri volontà testamentaria  e sottoporlo ad un esame grafologico (anche preventivo) in caso di subbi sull’autenticità (anche parziale) in particolar modo nei casi in cui i rapporti fra testatore e beneficiario non fossero così stretti da  fugare ogni dubbio in merito ad una possibile apocrifia del testamento.

Gabriele Colasanti

avvocato del Foro di Roma e giornalista pubblicista

e-mail: avv.gabrielecolasanti@gmail.com

E’ nato il registro volontario dei testamenti olografi

Il Consiglio Nazionale del Notariato tramite la Notartel Spa – società informatica del Notariato dal 6 novembre 2023 ha reso operativo il “Registro Volontario dei Testamenti Olografi”.

Tale registro “volontario” e, quindi, non obbligatorio ha lo scopo di agevolare  la ricerca dei testamenti olografi depositati fiduciariamente presso i notai in tutta Italia che aderiscono al servizio.

Con comunicato stampa del 6 novembre 2023 il Consiglio Nazionale del Notariato ha affermato che “Lo strumento tecnologico messo a punto dal Notariato permette di digitalizzare le procedure di deposito e conservazione dei testamenti olografi e semplificare la vita dei cittadini nella loro ricerca, migliorando l’iter di conoscibilità di tali documenti, oggi difficilmente reperibili da parte dei cittadini e di altri soggetti qualificati (es. magistrati), garantendo inoltre sicurezza nella conservazione dei dati e delle informazioni.”

Come funziona la ricerca nel registro?

Chiunque abbia interesse, in genere congiunti del de cuius, in possesso del certificato di morte possono chiedere ad un qualsiasi Notaio italiano di effettuare la ricerca di un testamento olografo relativo alla persona defunta di cui hanno il certificato di morte.

In caso di esito positivo della ricerca il sistema avverte in automatico il Notaio depositario del testamento olografo e lo informa che il testatore è deceduto e che qualcuno, interessato alla pubblicazione del testamento, ha effettuato la ricerca.

Gabriele Colasanti

Avvocato del foro di Roma

Giornalista-pubblicista

Cass. civ., Sez. VI – 1, Ordinanza, 17/01/2022, n. 1202 (rv. 663543-01) – ASSEGNO BANCARIO – GIRATA IN BIANCO – DIRITTO DEL POSSESSORE AL PAGAMENTO – By Redazione Legale

Il possessore di un assegno bancario in cui non figuri l’indicazione del prenditore oppure cui l’assegno sia stato girato dal primo prenditore o da ulteriori giratari, sia con girata piena che con girata in bianco, ha diritto al pagamento dello stesso in base alla sola presentazione del titolo, senza che, se presentato per il pagamento direttamente all’emittente, quest’ultimo possa pretendere che il titolo contenga anche la firma di girata di colui che ne chiede il pagamento, applicandosi a tali ipotesi la disciplina dei titoli al portatore. (In applicazione del ricordato principio la S.C. ha cassato la decisione con cui la Corte d’appello di Potenza aveva respinto la domanda di pagamento proposta dal possessore di due assegni bancari allo stesso consegnati, previa girata in bianco, dal debitore). (Cassa con rinvio, CORTE D’APPELLO POTENZA, 25/02/2020)

La Suprema Corte è intervenuta partendo da una pronuncia del Tribunale di Lagonegro che aveva respinto l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da B.F. avverso il provvedimento monitorio emesso nei suoi confronti per l’importo di Euro 30.097,42: provvedimento pronunciato su ricorso di G.F..
Il Tribunale ha osservato che la domanda monitoria era basata su due assegni in possesso dell’intimante girati in bianco da B. e che, secondo quanto era emerso dalla prova testimoniale, il rapporto causale a base della consegna dei titoli era costituito da un rapporto di mutuo intercorso tra i due contendenti.

I Giudici di legittimità hanno evidenziato che, a norma dell’art. 2009 c.c., comma 2, e del R.D.L. n. 1736 del 1933, art. 19, comma 2, è valida la girata del titolo che non contiene l’indicazione del giratario, e cioè la girata in bianco. In base all’art. 2008 c.c., il possessore di un titolo all’ordine è legittimato all’esercizio del diritto in esso menzionato in base a una serie continua di girate; precisa, poi, il citato R.D., art. 22, che il detentore dell’assegno bancario trasferibile per girata è considerato portatore legittimo se giustifica il suo diritto con una serie continua di girate “anche se l’ultima è in bianco”.

Correlativamente, il possessore di un assegno bancario, in cui non figuri l’indicazione del prenditore oppure cui l’assegno sia stato girato dal primo prenditore o da ulteriori giratari, sia con girata piena che con girata in bianco, ha diritto al pagamento dello stesso in base alla sola presentazione del titolo, senza che, se presentato per il pagamento direttamente all’emittente, questi possa pretendere che il titolo contenga anche la firma di girata di colui che ne chiede il pagamento, applicandosi a tali ipotesi la disciplina dei titoli al portatore (Cass. 14 luglio 2010, n. 16556 ; Cass. 22 maggio 2006, n. 11927 ).

La sostituzione di persona mediante la sottoscrizione falsa a nome altrui

I delitti contro la fede pubblica sono disciplinati nel titolo VII del libro secondo del Codice Penale e s’incentrano sulla nozione di falso.
Alcune fattispecie sono state oggetto di modifica da parte del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7 recante disposizione in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, in particolare, in tema di falsità documentali, tale decreto ha disposto l’abrogazione di alcune fattispecie di reato nonché la modifica di alcune dele successive disposizioni.
Ma cosa succede se firmo per un’altra persona? Cosa rischia chi falsifica la firma di un’altra persona?
Per falsità deve intendersi tutto ciò che non è vero e ciò che è in grado di indurre in inganno la generalità delle persone, facendo credere alla genuinità, alla veridicità dell’oggetto, del segno, della dichiarazione non genuino o veritiero.
Firmare al posto di un’altra persona potrebbe configurare reato.
Falsificare una firma può comportare, infatti, la realizzazione di molteplici fattispecie di reato.
Se la firma viene apposta su un atto pubblico si potrà parlare di falso in atto pubblico, viceversa falsificare un atto privato (ad es. un contratto) non è più considerato dalla legge un reato ma permane comunque il rischio di sanzioni pecuniarie. Residuano tre casi distinti di firma falsa in atti privati:
1. se la firma è falsificata con il consenso del suo titolare non c’è reato a meno che non ci sia il disconoscimento della firma;
2. se la firma viene apposta senza consenso, l’autore della firma falsa rischia l’imputazione per truffa, e quindi sia sanzioni pecuniarie sia la detenzione. La parte offesa disconosce la firma, e la controparte deve dimostrarne l’autenticità con il controllo di un grafologo;
3. se la firma è falsa ma il titolare ha mostrato la chiara volontà di dare esecuzione a quanto scritto sul documento il disconoscimento della firma non è più possibile.
La situazione è del tutto diversa per quanto riguarda gli atti pubblici, ovvero sottoscritti in presenza di un pubblico ufficiale, o rivolti ad enti pubblici.
Le conseguenze comunque non sono sempre le stesse. Se a compiere il reato è un pubblico ufficiale è prevista una pena di reclusione fino a 10 anni. Come sottolinea l’art. 476 c.p., infatti, “il pubblico ufficiale, che, nell’esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero, è punito con la reclusione da uno a sei anni. Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso la reclusione è da tre a dieci anni”; se, invece, il fatto è commesso da un cittadino privato, l’art. 482 c.p. prevede che “se alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 476, 477 e 478 è commesso da un privato, ovvero da un pubblico ufficiale fuori dell’esercizio delle sue funzioni, si applicano rispettivamente le pene stabilite nei detti articoli, ridotte di un terzo”. La reclusione può andare, quindi, da tre mesi fino a due anni.
Da ultimo mettere una firma falsa, se si vuole far credere di essere un’altra persona, può integrare il reato di sostituzione di persona. Sostituirsi ad una persona è, infatti, un reato di falso previsto dall’art 494 c.p.
Tale norma punisce chiunque al fine di procurare a sé o ad un’altra persona un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici.
Il reato di sostituzione di persona tutela la fede pubblica nonché gli interessi del privato vittima del reato. Per questo motivo si tratta di un reato accostabile per quanto concerne i beni giuridici tutelati ai reati di falso.
Invero, come stabilito dalla Giurisprudenza di Legittimità, il delitto di sostituzione di persona è sussidiario rispetto ad ogni altro reato contro la fede pubblica, come si evince dall’inciso “se il fatto non costituisce altro delitto contro la fede pubblica” contenuto nella norma incriminatrice; esso, tuttavia, intanto può ritenersi assorbito in altra figura criminosa in quanto ci si trovi in presenza di un fatto unico, riconducibile contemporaneamente sia alla previsione dell’art. 494 c.p. sia a quella di altra norma posta a tutela della fede pubblica; viceversa, quando ci si trovi in presenza di una pluralità di fatti e quindi di azioni diverse e separate, si ha concorso materiale di reati (Cass. Pen. Sez. V, sentenza n. 33531 del 29.7.2015).
Concludendo, quindi, il legislatore sembra sia giunto a consolidare un orientamento che ha visto la sua origine negli anni ’70 quando la Corte di Cassazione, con pronuncia n. 878 del 17.10.1973 iniziava timidamente ad affermare che “in tema di falso, se talvolta, nella pratica quotidiana si presentano situazioni caratterizzate dalla fiducia, più che volontaria o pattizia, naturale e necessaria, che bene possono spiegare e giustificare l’ uso del nome altrui nella sottoscrizione di un documento (cosiddetto falso consentito), detto principio non può peraltro mai trovare applicazione nei confronti di quei documenti (nella specie, assegno bancario) cui e connessa o attribuita tale forza probante da indurre il legislatore a equipararli, nel grado della tutela, agli Atti pubblici; e la punibilità del falso in titoli di credito nella stessa misura del falso in atto pubblico, a norma dell’art 491 cod. pen., e appunto un indice sintomatico della forza probante conferita dalla legge a detti documenti, in cui non può essere, quindi, in nessun caso, lecita la sottoscrizione o, comunque, l’apposizione di un nome per opera di un terzo”.

Avv. Antonio Nucera
penalista del Foro di Roma

PERIZIA GRAFOLOGICA SU FOTOCOPIE

INTRODUZIONE
Cosa si intende per grafologia giudiziaria o forense – definizione
La grafologia giudiziaria è la materia che si occupa dell’analisi di uno scritto olografo, che si tratti di testamento o di lettera anonima, quindi eseguito manualmente, attraverso una serie di scritture comparative dell’autore del testo che devono essere omogenee, quindi eseguite con la stessa modalità di scrittura, stampatello con stampatello, corsivo con corsivo ecc., al fine di accertarne l’autografia o l’apocrifia.
La Grafologia giudiziaria non ha finalità descrittive ( che delineano, per l’appunto descrivono sia le tendenze naturali che la personalità di un soggetto ed i suoi relativi valori che comprendono sia la sfera affettiva che quella volitiva attraverso le specie grafiche es: scrittura piccola ineguale decrescente ecc.) come avviene nella Grafologia generale, ma piuttosto finalità identificatorie, quindi il grafologo giudiziario deve ricercare nella scrittura del soggetto in esame quei tratti caratteristici che lo contraddistinguono da altre persone, ovvero peculiarità che appartengono soltanto a quel soggetto specifico, i così detti gesti tipo o gesti fuggitivi.
Nell’ambito della grafologia giudiziaria vi sono diversi metodi …
Il metodo scientifico che si basa sulla fusione della descrizione qualitativa con quella quantitativa;
Il modello calligrafico che si basa essenzialmente sul criterio del confronto morfologico delle singole lettere;
Il metodo grafometrico che non prende in considerazione la forma statica della scrittura ma i rapporti dimensionali che si stabiliscono fra le forme grafiche in movimento;
Il metodo grafoscopico si basa sull’osservazione delle strutture grafiche, è una tecnica di osservazione che permette di cogliere le peculiarità grafiche;
Il metodo grafonomico che studia la scrittura attraverso le leggi che regolano il grafismo;
Il metodo più utilizzato ed attendibile è quello grafologico che racchiude tutti i metodi con particolare attenzione alla psicologia della scrittura, quindi uno scritto viene analizzato sotto tutti gli aspetti e questo metodo è stato avvalorato anche da una sentenza della cassazione, “ Una perizia grafica basata sul metodo dell’interpretazione calligrafica è generalmente insufficiente senza il contributo di una attenta interpretazione grafologica a dirimere il pericolo di errore nel responso offerto al magistrato”.
Sentenza 15852 del 29/11/90.

PERIZIA GRAFOLOGICA SU FOTOCOPIE
Nel mio precedente articolo ho parlato di quanto siano importanti le scritture o firme di comparazione in quantità sufficiente e che siano coeve alla data del testamento o di qualsiasi documento da analizzare ma anche quelle antecedenti sono utili al fine di poter valutare la variabilità grafica ( che ciascuno di noi mette in atto quando scrive) se è genuina si riscontra la naturalezza e spontaneità di esecuzione in uno scritto – ovvero non ci sono i classici “bottoni di sosta” cioè esitazioni come se non si sappia come proseguire il percorso grafico, oppure “giustapposizioni” (un termine tecnico) che si manifestano in “aggiustamenti delle lettere” – in quel caso la scrittura rientra nella variabilità naturale.
Il Padre della Grafologia italiana, Girolamo Moretti, precisa che: “una fisionomia di scrittura, nella sua evoluzione dinamica, emerge dai lineamenti grafici accompagnati da tutti quei contorni che ne stabiliscono i tratti e le proprietà personali e le possibili variazioni, che nascono dalle diverse circostanze improntate dal sentimento e dall’intelligenza in azione”.
Occorre altresì una buona qualità delle suddette fotocopie ovvero che risultino chiare e leggibili in quanto il consulente grafologo deve lavorare più spesso di quanto si pensi su documenti forniti in fotocopia.
Ciò si verifica soprattutto quando si svolge un’indagine dei testamenti olografi perché il cliente interessato ad impugnare un testamento in quanto non ritiene “giuste” le ultime volontà del “de cuius “ ha in proprio possesso soltanto una copia del testamento mentre l’originale è depositato ovviamente presso lo studio Notarile dove è avvenuta la pubblicazione ed è possibile prenderne visione soltanto durante il corso delle operazioni peritali in presenza del CTU (consulente tecnico di ufficio) nominato dal giudice il quale dispone la perizia grafologica, e del consulente nominato da una delle parti ( attrice – chi ha impugnato il testamento – e convenuta ovvero chi ha il maggior onere di dimostrare che invece il testamento non è apocrifo vale a dire falso, bensì il frutto genuino del testatore).
L’avvio alle operazioni peritali di solito si svolge nello studio del CTU che insieme ai consulenti e agli Avvocati delle parti si stabilisce un piano di lavoro decidendo di comune accordo le date per svolgere suddette operazioni compatibilmente con altri impegni professionali di ciascuno, gli Avvocati partecipano soltanto alla prima riunione successivamente saranno i consulenti ad avere il vincolo a partecipare a tutte le operazioni peritali.
Per quanto riguarda la verifica dei testamenti vengono osservati gli originali presso lo studio notarile, alla presenza del Notaio stesso, dei consulenti di parte e del CTU il quale contestualmente deve redigere un verbale che contiene l’indicazione dei presenti (che dovranno apporre la propria firma) ed una sintesi delle indagini svolte in quella giornata, quali strumenti sono stati utilizzati per fare i rilievi previsti dal protocollo.
Di solito il compito di tutti i consulenti non si esaurisce in una sola giornata, ciò dipende dal numero di documenti o firme che ci sono da visionare in ossequio alla decisione del Giudice, infatti il consulente tecnico è obbligato a rispettare i quesiti formulati dal giudice e non deve in alcun modo eseguire accertamenti “suggeriti” dalle parti e dei loro consulenti.
Una volta redatto il proprio parere il consulente lo invierà al CTU (note preventive) secondo le tempistiche dettate dal Giudice, considerato l’attuale processo telematico, tale invio generalmente avviene a mezzo PEC e prevede che la consulenza sia firmata digitalmente.
Come ho già detto in precedenza è un lavoro molto complesso e delicato per questo motivo chiedo sempre la collaborazione da parte del cliente che consiste nell’inviarmi quanto più materiale possibile per la comparazione di uno scritto di varia natura oppure di firme, si devono cogliere nelle comparative le peculiarità generali e di dettaglio – contrassegni, gesti fuggitivi – così una volta colto un segno particolare di riconoscimento lo si andrà a verificare nello scritto da analizzare, (chi falsifica inserisce i propri gesti tipo in uno scritto che sia testamento oppure altro) un rituale propedeutico allo studio che effettuo sempre prima di iniziare il percorso appena esposto.

Patrizia Belloni
Grafologa Giudiziaria e Giornalista
Specializzata in analisi e comparazione di testamenti olografi
www.patriziabelloni.it

Corte d’Appello Napoli, Sez. VII, Sentenza, 01/08/2023, n. 3631 – ASSEGNO BANCARIO – SOTTOSCRIZIONE APOCRIFA – RESPONSABILITA’ ISTITUTO BANCARIO SOLO IN CASO DI GRAVE ALTERAZIONE – By Avv. Valerio Di Giorgio

In tema di titoli di credito, nel caso di pagamento da parte di una banca di un assegno con sottoscrizione apocrifa, l’ente creditizio può essere ritenuto responsabile non a fronte della mera alterazione del titolo, ma solo nei casi in cui tale alterazione sia rilevabile “ictu oculi”, in base alle conoscenze del bancario medio, il quale non è tenuto a disporre di particolari attrezzature strumentali o chimiche per rilevare la falsificazione, né è tenuto a mostrare le qualità di un esperto grafologo.

Con atto di citazione notificato in data 04.07.11 la società F.S. Spa A. (ora U.A. Spa) conveniva in giudizio P.I. S.p.A. innanzi al Tribunale di Napoli chiedendo all’adito giudice: “previa ogni opportuna declaratoria, anche in ordine alla responsabilità della convenuta, condannare la medesima, in persona del proprio legale rappresentante pro tempore, al pronto pagamento in favore dell’attrice della somma complessiva di Euro 5.177,17 oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dal diritto al saldo effettivo, per i motivi di cui alla premessa del presente atto…con vittoria di ogni spesa ed onorario di lite, ed oneri fiscali, pure quelle della fase stragiudiziale”.
A sostegno della domanda, la società attrice rappresentava che:

  • nell’ambito del rapporto di conto corrente intrattenuto con la B.P. di N., aveva emesso gli assegni nr. (…), (dell’importo di Euro 3.600,00, a favore di A.D.) e nr. (…) (dell’importo di Euro 1.577,17, a favore di P.A.);
  • i detti titoli, dopo essere stati contraffatti nei nomi dei beneficiari, erano stati posti all’incasso presso uno sportello di P.I. da persona diversa dai beneficiari e, precisamente da tale V.R.;
  • a seguito dei fatti descritti, aveva dovuto procedere all’emissione di altri titoli, di pari importi, in favore degli effettivi intestatari;
  • con lettera raccomandata aveva richiesto, senza esito, il risarcimento dei danni a P.I., che si era resa responsabile per “non avere pagato l’assegno all’effettivo beneficiario”, non avendo “rilevato le palesi alterazioni dei titoli relative ai nomi dei beneficiari”.
    Si costituiva in giudizio P.I., chiedendo il rigetto della domanda.
    Il Tribunale di Napoli, con la sentenza impugnata, così provvedeva: “…rigetta la domanda; condanna parte attrice al pagamento delle spese di lite in favore di parte convenuta, che quantifica in Euro 800,00 oltre iva cassa e spese ctu e spese generali”.
    Avverso tale sentenza, la U.A. Spa ha proposto impugnazione, con atto di impugnazione notificato il 2 marzo 2017, così concludendo: “Voglia l’Ecc.ma Corte Adita, reiectis adversis, previa ogni opportuna declaratoria, anche in ordine alla responsabilità della convenuta P.I. SpA, condannare la medesima al pronto pagamento in favore dell’attrice della complessiva somma di Euro 5.177,17, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dal diritto al saldo effettivo per ogni singolo titolo. Con vittoria di ogni spesa ed onorario di lite, rimborso forfettario 15% spese generali, ivi comprese spese di eventuale CTU e CTP, del presente giudizio ed oneri fiscali, pure quelle della fase stragiudiziale e del giudizio svoltosi avanti al Tribunale”.
    Si è costituita in giudizio P.I. S.p.A., chiedendo il rigetto dell’appello e la conferma dell’impugnata sentenza.
    All’esito dell’udienza del 30 marzo 2023, svoltasi con le modalità di cui all’art. 127 ter c.p.c., ossia mediante lo scambio e il deposito in telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, la Corte riservava la causa in decisione, con la concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.
    I motivi di impugnazione
    Con il primo motivo di impugnazione, titolato “Il fondamento giuridico della responsabilità ex art. 43 legge assegno (2 comma): l’irrilevanza della colpa e della rilevabilità o meno della contraffazione ai fini della violazione della clausola di intrasferibilità”, l’appellante contesta la decisione del primo giudice rilevando che l’art. 43 L.A., ai co. 1 e 2 non fa riferimento alla eventuale colpa di chi paga e, dunque, sarebbe irrilevante che il giratario per l’incasso abbia o meno una colpa nel pagare un assegno non trasferibile a persona diversa dal beneficiario.
    La censura è palesemente infondata.
    Con pronuncia a Sezioni Unite n. 12477/2018, la Suprema Corte, componendo un contrasto insorto tra le sezioni semplici sull’interpretazione dell’art. 43, comma 2 L.A., ha ricondotto la responsabilità della banca per illegittima negoziazione di assegni nell’alveo della responsabilità contrattuale, avendo la banca negoziatrice (o la banca trattaria che abbia pagato il titolo in stanza di compensazione) un obbligo professionale di protezione operante nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine della sottostante operazione.
    In particolare, la Corte di legittimità ha chiarito che “ai sensi del R.D. n. 1736 del 1933 , art. 43 , comma 2 (c.d. legge assegni), la banca negoziatrice chiamata a rispondere del danno derivato – per errore nell’identificazione del legittimo portatore del titolo – dal pagamento dell’assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola non trasferibilità a persona diversa dall’effettivo beneficiario, è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176 c.c., comma 2”.
    Può ritenersi, dunque, ormai consolidato l’orientamento secondo cui sulla banca negoziatrice grava, ai sensi dell’art. 43 , comma 2, R.D. n. 1736 del 1933 , l’obbligo di procedere con diligenza nell’identificazione del soggetto che si presenta per l’incasso di un assegno non trasferibile e che, in caso di inadempimento di tale obbligo, la responsabilità che si delinea è di natura contrattuale e trova fondamento negli artt. 1176 e 1218 c.c.
    Ne consegue il rigetto del motivo di impugnazione.
    Con il secondo motivo di impugnazione (rubricato “La implicita contraddizione tra quanto statuito dal Tribunale circa la diligenza da attribuirsi alla Banca soggetto professionale. Il parametro della diligenza dell’esperto banchiere (neppure richiamata o specificata nelle sue linee essenziali) di cui all’art. 1176 2 comma c.c.”), l’appellante sostiene che il Tribunale sposando l’affermazione del CTU, secondo cui “la falsità del nome del beneficiario nell’assegno non poteva essere agevolmente verificata con la diligenza media richiesta all’operatore postale, bensì solo con strumenti specifici”, sarebbe incorso in un duplice errore, in quanto l’esame “ictu oculi” non sarebbe sufficiente ad elidere la responsabilità della banca negoziatrice e la diligenza professionale dell’esperto banchiere (neanche espressamente indicata dal primo giudice) non avrebbe potuto essere relegata al rango di una diligenza media, essendo richiesta al bancario una elevata professionalità ed una diligenza qualificata, tipiche del settore di competenza, per specificare le quali occorrerebbero regole ed attitudini che – proprio perché connesse all’esercizio professionale di una attività – nessuno possiede, se non un operatore del settore.
    Inoltre, gli accertamenti del CTU, recepiti dal primo giudice, sarebbero frutto di un’indagine “approssimativa”, in quanto, per l’assegno n. (…), dell’importo di Euro 1.577,17, contraffatto nel nome del beneficiario (“R.V.”), l’ausiliario non avrebbe evidenziato diverse anomalie ed in particolare la cancellazione e ritrascrizione dell’importo alfabetico del titolo e del nominativo.
    Il motivo di impugnazione non è fondato.
    Nella sentenza impugnata, differentemente da quanto ritenuto dall’impugnante, il giudice di primo grado descrive puntualmente la diligenza richiesta alla Banca negoziatrice ai sensi degli artt. 1176 c. 2 1992 comma 2 c.c., osservando: “In ordine alla natura della diligenza da impiegarsi, giurisprudenza costante, suole ricondurre l’obbligazione di controllo del legittimato al pagamento, della banca negoziatrice, ( unica concretamente in grado di controllare l’autenticità della firma di chi, girando l’assegno per l’incasso, lo immette nel circuito di pagamento, ) nel dovere di valutazione in concreto utilizzando la diligenza richiesta al bancario medio, sulla base delle sue conoscenze, essendo applicabili all’attività bancaria le disposizioni di cui agli artt. 1176 , comma 2, e 1992, comma 2, c.c.
    Ne consegue l’insufficienza della mera rilevabilità dell’alterazione, da non confondersi con la mera anomalia che non integra una falsificazione, occorrendo che la stessa sia riscontrabile “ictu oculi”, attraverso un attento esame diretto, visivo o tattile dell’assegno da parte dell’impiegato addetto, che non deve essere un esperto grafologo ma in possesso di comuni cognizioni teorico-tecniche, ovvero anche tramite mezzi e strumenti di agevole utilizzo e reperibilità, senza che debba ricorrersi ad attrezzature tecnologiche sofisticate e di difficile e dispendioso reperimento (cfr. Cass. 1377 del 2016 ).
    Quindi, controllo accurato, sicuramente, ma non alla luce di mezzi, tecnologie sofisticate non comuni (…)”
    Tali coordinate ermeneutiche devono essere senz’altro condivise, atteso che, come più volte chiarito dalla suprema Corte, al fine di valutare la sussistenza della responsabilità colposa della banca negoziatrice nell’identificazione del presentatore del titolo, la diligenza professionale richiesta deve essere individuata ai sensi dell’art. 1176 , comma 2, c.c., che è norma “elastica”, da riempire di contenuto in considerazione dei principi dell’ordinamento, come espressi dalla giurisprudenza di legittimità, e dagli “standards” valutativi esistenti nella realtà sociale che, concorrendo con detti principi, compongono il diritto vivente (cfr. sentenza n. 34107/2019).
    Nello specifico, secondo l’ormai consolidata giurisprudenza di legittimità, la diligenza qualificata richiesta al banchiere nell’adempimento della propria obbligazione di protezione implica che “nel caso di pagamento da parte di una banca di un assegno con sottoscrizione apocrifa, l’ente creditizio può essere ritenuto responsabile non a fronte della mera alterazione del titolo, ma solo nei casi in cui tale alterazione sia rilevabile “ictu oculi”, in base alle conoscenze del bancario medio, il quale non è tenuto a disporre di particolari attrezzature strumentali o chimiche per rilevare la falsificazione, né è tenuto a mostrare le qualità di un esperto grafologo” (Cass. 16178/2018 ; Cass. 20292/2011 , n, 2666/2019).
    Nella sostanza, la Suprema Corte riconosce la necessità di una diligenza qualificata in capo al cassiere di banca cui viene presentato il titolo e tuttavia rileva come la stessa non possa spingersi fino al punto di esigere che lo stesso abbia la competenza di un grafologo.
    Ciò posto, alla luce dei suddetti principi, appare del tutto corretta la decisione del giudice di primo grado, nella parte in cui ha accertato, con riferimento all’assegno n. (…) di Euro 1.577,17, che il tipo di alterazione non fosse rilevabile ictu oculi, in base alle conoscenze del bancario medio.
    Invero, emerge chiaramente dall’esame della ctu come tale assegno presentasse una contraffazione che “non era riscontrabile attraverso un sia pure attento esame diretto, visivo o tattile, da parte di un impiegato in possesso di comuni cognizioni teoriche/tecniche né tanto meno, detto soggetto, avrebbe potuto in assenza di cognizioni grafologiche e tecnico-operative essere in grado di avvedersi della falsificazione utilizzando mezzi e strumenti presenti sui normali canali del mercato di consumo”.
    Inoltre, come correttamente rilevato dal Tribunale, il consulente, in forza di un accertamento preciso e congruente, solo a seguito di prolungato e ripetuto esame con lente in ingrandimento e ausilio di microscopio digitale multispettrale con diverse luci, ha potuto individuare la contraffazione. L’ausiliario ha anche chiarito che neppure all’esame tattile avrebbero potuto essere rilevate anomalie tali da giustificare ulteriori indagini da parte dell’operatore allo sportello.
    Dalla consulenza tecnica espletata, dunque, è emerso chiaramente che la contraffazione del titolo non avrebbe potuto essere percepita ictu oculi da parte del bancario medio, secondo la misura della diligenza allo stesso richiesta ex art. 1176 , co. 2, c.c. (“L’assegno in questione non presenta evidenti segni di falsificazione tali da essere riconosciuti secondo il comune patrimonio di conoscenze cui può verosimilmente attingere un soggetto, sia pure operante in ambito bancario, ma non in possesso di specifiche cognizioni tecniche ed operative in ambito grafologico e peritale”).
    Deve altresì rilevarsi che anche le doglianze circa l’erroneità delle risultanze della C.T.U. e della relativa valutazione del Tribunale, che ad esse si è attenuto, non appaiono affatto convincenti e persuasive.
    Da una parte, infatti, l’indagine tecnica operata dal C.T.U. si rivela accurata, precisa ed immune da rilievi di sorta; dall’altra, le tesi sostenute dall’appellante circa le asserite anomalie presenti sul titolo sono state compiutamente sconfessate dall’ausiliario, il quale, attraverso una disamina attenta e scrupolosa, ha analizzato tutte le osservazioni delle parti, chiarendo, in definitiva, che ” un conto sono le “anomalie”, altro è la falsificazione che solo gli esami strumentali hanno potuto rivelare e documentare.
    A mero titolo di esempio: una sottoscrizione sia pure originale, e dunque pienamente valida, vergata con una penna per il nome e magari, per esaurimento di inchiostro, con altra penna per il cognome è una anomalia, ma non è una falsificazione.
    Il quesito mi chiedeva di verificare la riscontrabilità di falsificazioni, non di semplici e spesso irrilevanti “anomalie”…”.
    Per quanto sin qui esposto, il motivo di appello deve essere senz’altro rigettato.
    Con il terzo motivo di impugnazione – rubricato: “La mancanza della prova liberatoria ex art. 1218 c.c. a carico di P.I. e la mancata produzione del titolo n. (…) di Euro 3.600,00” -, l’impugnante rileva che la banca negoziatrice, non avendo prodotto l’originale del detto titolo di credito, non avrebbe fornito la prova liberatoria su di essa gravante.
    La censura è fondata.
    Il Tribunale, sul punto rileva: “Per quanto attiene all’assegno bancario avente n. (…) di importo pari ad Euro 3.600,00 tratto sulla B.P.D.N., è emerso in atti che P.I. s.p.a., nello svolgimento delle normali operazioni di compensazione tra le banche, ha inviato alla stanza di compensazione l’assegno alla B.P.D.N. s.p.a. che ha emesso l’assegno e che ha l’obbligo di provvedere alla comunicazione del buon fine alla banca negoziatrice.
    Tuttavia, contrariamente a quanto sostiene l’attore, la mancata esibizione dell’assegno, costituisce un fatto non imputabile alle P.I., le quali non ha la disponibilità del documento, inviato, invece, ad una banca che intrattiene un rapporto contrattuale (conto corrente) con parte attrice, che avrebbe potuto informarsi precedentemente il giudizio sull’esistenza o meno dell’assegno e la sua collocazione. “
    La valutazione del giudice di primo grado non può essere condivisa.
    Invero, risulta incontestato che:
  • in data 11.05.04 l’assegno nr. (…), emesso in data 11.05.04, dell’importo di Euro 3.600,00 è stato negoziato presso l’Ufficio postale di Napoli;
  • sul titolo risultava indicato quale nominativo del beneficiario quello di V.R.;
  • il pagamento è avvenuto attraverso il versamento su conto corrente postale n. (…) intestato V.R., conto radicato presso l’Ufficio postale di Napoli;
  • il titolo è stato negoziati in check truncantion, ovvero quella procedura secondo cui la banca negoziatrice del titolo (quindi P.I.) presenta alla B. trattaria/emittente (B.P.D.N.) in pagamento (quindi in stanza di compensazione), senza inviarne la materialità ma trasmettendone i dati con flusso informativo (attraverso Rete Nazione interbancaria).
    Il C.T.U., in relazione al detto titolo n. (…), non reperito in atti, ha specificato: “mi è stato riferito essere nella disponibilità della B.P., do atto di aver richiesto con pec del 4.5.2015 all’istituto di credito sopra menzionato che mi venisse consegnato il suddetto titolo in originale. Con nota di riscontro del 3.6.2015 il B.P. mi informava che il predetto titolo, unitamente ad altro, trovasi sotto sequestro presso il Provveditorato e Coordinamento Archivi di Modena”.
    Ciò posto, qualora la contraffazione dell’assegno, come nel caso di specie, sia realizzata attraverso la sostituzione del nome del beneficiario, la prova liberatoria può essere fornita solo producendo in giudizio l’originale dell’assegno, al fine di consentire l’esame del titolo e la conseguente verifica tendente a stabilire se i segni della falsificazione fossero o meno rilevabili ictu oculi.
    Non v’è dubbio, poi, che fosse onere della banca negoziatrice provare l’esatto adempimento e quindi produrre il titolo in originale, configurandosi nella specie un’ipotesi di responsabilità contrattuale e gravando, di conseguenza, sulla stessa l’onere di dimostrare di non avere potuto, pur impiegando il livello medio di diligenza qualificata, da essa esigibile, rilevare l’alterazione dell’assegno.
    Per le ragioni sopra esposte, ritiene il Collegio che P.I. S.p.a., non avendo fornito adeguata prova liberatoria, sia responsabile del danno cagionato all’odierna appellante, la quale ha dovuto effettuare un secondo pagamento degli importi in favore dei propri assicurati.
    P.I. S.p.a. ha tuttavia dedotto che gli assegni sono stati trasmessi per mezzo del servizio postale, con spedizione in plico ordinario e la circostanza non risulta contestata.
    Deve, a questo punto, considerarsi che , come affermato dalle Sezioni Unite della suprema Corte, “La spedizione per posta ordinaria di un assegno, ancorché munito di clausola d’intrasferibilità, costituisce, in caso di sottrazione del titolo e riscossione da parte di un soggetto nonlegittimato, condotta idonea a giustificare l’affermazione del concorso di colpa del mittente, comportando, in relazione alle modalità di trasmissione e consegna previste dalla disciplina del servizio postale, l’esposizione volontaria del mittente ad un rischio superiore a quello consentito dal rispetto delle regole di comune prudenza e del dovere di agire per preservare gl’interessi degli altri soggetti coinvolti nella vicenda, e configurandosi dunque come un antecedente necessario dell’evento dannoso, concorrente con il comportamento colposo eventualmente tenuto dalla banca nell’identificazione del presentatore” (cfr. Cass., sez. un., n. 9769/20 , nonché Cass. civ. n.140/2023 ).
    In particolare, nella richiamata sentenza, le Sezioni Unite hanno chiarito definitivamente che la “colpa” del danneggiato ex art. 1227 c.c., comma 1, non è un criterio di imputazione della responsabilità, ma un criterio di selezione dei vari possibili comportamenti eziologicamente idonei alla produzione dell’evento dannoso (in quanto tali, se ritualmente allegati, ricadenti nell’ambito della cognizione del rapporto sottoposto al Giudice e da questi verificabili ex officio), rispondente al principio “che esclude di considerare danno risarcibile quello che ciascuno procura a se stesso”.
    La Suprema Corte ha anche precisato (cfr. ord. (…)) che, “dovendosi ravvisare una medesima rilevanza causale tanto nella condotta omissiva del danneggiato, tenuto da specifica norma di legge ad impedire un evento, quanto nella inerzia dello stesso di fronte ad “una specifica situazione che esiga una determinata attività a tutela di un diritto altrui” (venendo in questo caso a fondarsi l’obbligo di attivazione, secondo i comuni principi di diligenza, nel generale “principio solidaristico” dell’ art. 2 Cost., che trova specificazione nel dovere di comportarsi secondo correttezza previsto dall’art. 1175 c.c.), ne consegue che la condotta del danneggiato il quale, come nel caso di specie, disattende le indicazioni desumibili dalla disciplina normativa – sia pure non integranti un obbligo imposto dalla legge specificamente a tutela dei terzi, in quanto rivolte al rapporto tra utente e P. – che regola le modalità di impiego dei diversi servizi postali, utilizzandoli in modo diverso dalle rispettive funzionalità e scopi (desunte dal D.M. 26 febbraio 2004 e dal D.P.R. 29 maggio 1982, n. 655 , secondo cui, rispetto alla corrispondenza ordinaria, la posta raccomandata consente al mittente di ottenere una certificazione dell’avvenuta spedizione e ricezione, mentre la posta assicurata consente al mittente di garantirsi dalla perdita del contenuto della spedizione, e di controllare e tracciare tutte le fasi della trasmissione), comporta la volontaria esposizione ad un maggiore rischio di incertezza in ordine al risultato finale di garantire al destinatario il possesso materiale del titolo di credito, incertezza determinata dalla voluta trascuratezza dei mezzi, pure disponibili, volti proprio a garantire tale risultato.
    La scelta compiuta dal danneggiato, in tal modo, non viene in rilievo come oggetto di valutazione di riprovevolezza secondo gli ordinari criteri di accertamento della colpa per violazione di obblighi di condotta nelle relazioni intrattenute con i terzi, ma viene, invece, in considerazione in relazione al risultato di tale scelta, e cioè al dato obiettivo del “mezzo” prescelto per la consegna dell’assegno, quale “fatto materiale” che viene ad inserirsi nel normale processo evolutivo della serie causale, costituendo uno degli antecedenti causativi dell’evento dannoso, ossia dell’illecito perpetrato con l’utilizzo del titolo, tramite la creazione dell’apparente legittimazione nel possessore ed il pagamento eseguito dalla banca al titolare apparente”.
    Rappresentando, dunque il possesso del documento una condizione essenziale per l’esercizio del diritto in esso incorporato, allo stesso modo della qualità di prenditore di colui che presenta il titolo all’incasso, qualora la sottrazione sia stata cagionata o comunque agevolata dall’adozione di modalità di trasmissione inidonee a garantire, per quanto possibile, che l’assegno pervenga al destinatario, non può dubitarsi che la scelta delle predette modalità costituisca, al pari dell’errore nell’identificazione del presentatore, un antecedente necessario dell’evento dannoso, che rispetto ad esso non si presenta come una conseguenza affatto inverosimile o imprevedibile (cfr. Sezioni Unite n. 9769/2020 cit).
    Alla luce dei principi giurisprudenziali sin qui richiamati, ne consegue che, nel caso in esame, non essendo stato contestato l’utilizzo del servizio di posta ordinaria per la spedizione dell’assegno (circostanza invero espressamente dedotta dalla parte appellata, anche nel giudizio di primo grado) deve ritenersi che il mittente si sia assunto il rischio della sottrazione del titolo e della sua presentazione all’incasso da parte di un soggetto non legittimato. Tale rischio, avuto anche riguardo al valore economico dell’oggetto spedito ed alla possibilità di avvalersi di forme di corrispondenza che offrono adeguate garanzie (oltre che di strumenti di pagamento più sicuri), si rivela del tutto ingiustificato, oltre ad accrescere la probabilità di pagamenti a soggetti non legittimati, con conseguente aggravamento della posizione della banca negoziatrice, che rimane maggiormente esposta alla possibilità di andare incontro a responsabilità.
    L’utilizzazione della posta ordinaria si pone, insomma, in contrasto con le regole di comune prudenza, le quali suggerirebbero di avvalersi di modalità di trasmissione più idonee ad assicurare il controllo sul buon esito della spedizione, nonché con il dovere di agire in modo da preservare gli interessi di tutti i soggetti coinvolti nella vicenda, ove ciò non comporti un apprezzabile sacrificio a proprio carico, e ciò in ossequio al principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost., che a livello di legislazione ordinaria trova espressione proprio nella regola di cui all’art. 1227 c.c., operante sia in materia extracontrattuale, in virtù nell’espresso richiamo di tale disposizione da parte dell’art. 2056 c.c., sia in materia contrattuale, come riflesso dell’obbligo di comportarsi secondo correttezza e buona fede, previsto dall’art. 1175 c.c. in riferimento sia alla formazione che all’interpretazione e all’esecuzione del contratto (cfr. Sezioni Unite n. 9769/2020 cit.; in senso conforme, Cass. 16 novembre 2020, n. 25873 ).
    In applicazione di tali principi, deve ritenersi, dunque, sussistente quale causa dell’evento dannoso in oggetto anche la condotta colposa della compagnia di assicurazione che, in qualità di soggetto professionalmente qualificato, avrebbe dovuto effettuare pagamenti con modalità più sicure, quali la posta assicurata o raccomandata, atte ad evitare il rischio di possibili sottrazioni.
    Ritiene, inoltre, il Collego che la responsabilità concorrente della compagnia assicuratrice abbia inciso in pari misura nella produzione dell’evento lesivo, anche tenuto conto del non trascurabile importo dell’assegno (essendo richiesto un grado di diligenza tanto più elevato quanto più è consistente l’importo del titolo).
    Pertanto, in parziale riforma della sentenza appellata, la Corte ritiene di attribuire a ciascuna delle due parti il 50% della responsabilità del fatto lesivo in oggetto e di condannare, dunque, P.I. al pagamento della somma di Euro 1.800,00, somma da rivalutare all’attualità, in base all’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, dal 27.6.2006 (data di ricezione della raccomandata a.r. con messa in mora) e sino alla data di pubblicazione della presente sentenza.
    Sulla somma dovuta competono altresì gli interessi legali, da calcolarsi, fino alla data di pubblicazione della presente sentenza – segnante la trasformazione dell’obbligazione risarcitoria in debito di valuta (cfr. Cass. n. 3996/01 e Cass. n. 1256/95 ) – non sull’importo liquidato all’attualità ma sul controvalore originario, annualmente rivalutato (cfr. Cass. S.U. 17.2.1995 n.1712 ) e sulla somma finale rivalutata, da tale ultima data sino al soddisfo (cfr. Cass. n. 13508/91 ).
    Il quarto motivo di impugnazione, con il quale l’appellante lamenta l’incongruità della statuizione in punto spese legali rimane assorbito, atteso il parziale accoglimento dell’impugnazione, che comporta l’automatica caducazione del capo concernente le spese processuali, con conseguente necessità di una nuova regolamentazione delle spese del doppio grado di giudizio, alla stregua dell’esito finale della lite (cfr., sul punto, Cass. ord. n. 6259/14 , nonché sent. n. 14633/12 e n. 18837/10).
    L’accoglimento solo parziale dell’appello proposto, il riconoscimento del concorso di colpa del danneggiato ed il consistente ridimensionamento dell’originaria pretesa vantata dall’appellante giustificano la compensazione delle spese di entrambi i gradi del giudizio nella misura di due terzi.
    La restante parte delle spese, invece, è posta a carico della parte appellata P.I. ed è liquidata come da dispositivo, con riferimento ai parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014 , aggiornato al D.M. n. 147 del 13 agosto 2022 , in base a valori compresi tra i minimi ed i medi tariffari e tenuto conto del valore della controversia, individuato in base al criterio del disputatum, integrato da quello del decisum (cfr. fra le tante, Cass., ordinanze n. 10984/2021 , n. 22742/19 e n. 27274/17 ), della natura dell’affare, delle questioni trattate e dell’opera prestata e con esclusione, per il giudizio di appello, della fase istruttoria non espletata.
    Le spese relative alla CTU svolta in primo grado sono poste definitivamente a carico di entrambe le parti.
    P.Q.M.
    La Corte d’Appello di Napoli – Sezione Civile VII, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da U.A. S.p.A. avverso la sentenza del Tribunale di Napoli n. 9381/2016, pubblicata il 28 luglio 2016, ogni ulteriore domanda ed eccezione reiette, così provvede:
    1) accoglie l’appello per quanto di ragione e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, condanna P.I. S.p.A. al pagamento in favore U.A. S.p.A. della somma di Euro 1.800,00 oltre interessi e rivalutazione come da parte motiva.
    2) compensa nella misura di due terzi le spese processuali di primo e secondo grado e condanna l’appellante alla rifusione in favore di U.A. S.p.A. della restante parte di un terzo che, in tale ridotta misura, liquida:
  • per il giudizio di primo grado in Euro 833,00 per compensi ed Euro 93,00 per spese;
  • per il giudizio di appello in Euro 633,00 per compensi ed Euro 58,00 per spese;
    oltre IVA e CPA come per legge e spese forfettarie al 15%.