Quando la scrittura ferisce: le scritte sessiste sui portici di Bologna

La scrittura accompagna l’umanità fin dalle origini come forma di memoria e di espressione. È gesto che dà forma al pensiero, che lo rende visibile e condivisibile. Nei portici, sulle facciate, nei luoghi pubblici, la parola scritta non è mai soltanto inchiostro o vernice: diventa parte del paesaggio, traccia che si intreccia con la vita collettiva. Proprio per questo, ciò che viene scritto in uno spazio comune non appartiene mai soltanto a chi lo ha tracciato, ma parla a tutti coloro che lo incontrano.
A Bologna, lungo i portici di San Luca, questo potere della scrittura si è rovesciato in negativo. Non più parola che illumina, che celebra, che decora: ma parola che colpisce, che denigra, che ferisce. Le frasi sessiste e diffamatorie comparse contro la personal trainer Alice G., con tanto di dati personali esposti, non sono semplici scarabocchi, ma veri e propri atti di violenza simbolica.
Queste parole, che alcuni potrebbero liquidare come goliardia o semplice vandalismo, assumono in realtà la forma di una violenza simbolica. Non si tratta soltanto di decoro urbano: siamo di fronte a un atto che tocca la dignità di una persona, la sua reputazione, la sua sicurezza. Il diritto, in questi casi, ci offre strumenti chiari per leggere la gravità del fenomeno. Le scritte sui muri, infatti, possono integrare diverse fattispecie di reato previste dal Codice penale: la diffamazione (art. 595 c.p.), quando si attribuiscono a qualcuno fatti lesivi della sua reputazione; le molestie (art. 660 c.p.), quando si insiste nel colpire una persona con comportamenti invadenti e offensivi; persino la trattazione illecita di dati personali, quando, come nel caso di specie si rendono pubblici numeri di telefono o altri riferimenti che dovrebbero restare privati.
Accanto alla responsabilità penale, vi è poi quella civile: chi viene colpito da un atto del genere ha diritto al risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale, per il pregiudizio subito. La scrittura, in questo senso, non è soltanto un graffito passeggero: è una traccia che produce conseguenze giuridiche concrete.
Ma forse l’aspetto più inquietante è quello simbolico. In un luogo iconico della città, attraversato da fedeli, turisti, cittadini, la scrittura è stata usata per imprimere un marchio di esclusione. Un segno che non solo colpisce direttamente la vittima, ma che lancia a chi passa un messaggio di odio, insinuando che la violenza possa essere scritta e lasciata lì, sotto gli occhi di tutti.
Ecco perché cancellare quelle parole non è un atto banale di manutenzione urbana, ma un gesto di riaffermazione collettiva: significa dire che non tutto può restare scritto, che non tutto merita di permanere. La scrittura può custodire memoria e bellezza, ma può anche trasmettere violenza. Sta alla società, e alle istituzioni, scegliere quale voce lasciare parlare sui muri che ci circondano.

Matthias Ebner
dottore in Giurisprudenza – praticante forense foro di Roma
Allievo diplomato scuola notarile “Anselmo Anselmi”

La forza della scrittura nel diritto immobiliare: la pubblicità come garanzia giuridica

Nel diritto immobiliare, la scrittura diventa portatrice visibile del diritto attraverso le diverse forme della pubblicità. Non è un caso che, sin dai tempi dei Babilonesi e degli Egizi, l’atto scritto venisse impiegato per garantire certezza nella circolazione dei diritti reali. Proprio come nella grafologia, dove l’analisi della scrittura rivela tratti profondi della personalità del soggetto, anche nel diritto la scrittura non è mai neutra: essa manifesta, rende visibile e opponibile ciò che altrimenti rimarrebbe nascosto. I registri, infatti, non sono semplici contenitori di atti, ma strumenti attraverso cui il diritto si esprime, si consolida e si rende conoscibile ai terzi.

La forma di pubblicità legale probabilmente più nota nel nostro ordinamento è la trascrizione.
Essa può essere definita come una forma di pubblicità legale mediante la quale determinati negozi giuridici relativi a diritti reali (come compravendite o donazioni) vengono trascritti nella Conservatoria per renderli opponibili ai terzi. L’acquisto dei diritti reali, invece, avviene tramite consenso traslativo ai sensi dell’art. 1376 c.c.
In altre parole, i diritti reali (come il diritto di proprietà) si acquistano mediante il consenso traslativo e non attraverso la trascrizione. Quest’ultima serve solo a impedire che terzi possano far valere diritti reali identici o incompatibili sullo stesso bene. Questa forma di pubblicità legale è detta anche “ad effetto dichiarativo”.
Un’altra forma di pubblicità legale è quella ad effetto costitutivo. In questo caso, l’esistenza del diritto è subordinata alla sua risultanza nei registri pubblici. Per questo motivo, in tale contesto non si parla più di trascrizione, bensì di iscrizione. Il Codice civile italiano conosce questa forma di pubblicità soprattutto in relazione all’ipoteca (art. 2808 c.c.). Questa distinzione tra pubblicità dichiarativa e costitutiva ha radici storiche e risale all’epoca della Rivoluzione francese.
In origine, anche i registri ipotecari francesi prevedevano solo la pubblicità dichiarativa. Ma con il tempo si è introdotta la pubblicità costitutiva per contrastare il fenomeno delle cosiddette “ipoteche occulte”. In questa pratica fraudolenta, una persona acquistava la proprietà di un immobile attraverso la erogazione di un mutuo e un contratto di garanzia ipotecaria. Poiché all’epoca era prevista solo la pubblicità dichiarativa, l’acquirente ometteva l’iscrizione dell’ipoteca e rivendeva l’immobile. I compratori, ignari, scoprivano l’esistenza dell’ipoteca solo quando il creditore la faceva valere a causa della mancata restituzione del mutuo.
Per questo motivo, il legislatore ha previsto che l’ipoteca esista solo se è regolarmente iscritta: una garanzia che, proprio come una firma leggibile in grafologia, non lascia ambiguità sull’identità giuridica del diritto. In questo modo, il diritto diventa leggibile, interpretabile e affidabile, proprio come una scrittura che riflette fedelmente la volontà del suo autore.

Matthias Ebner
dottore in Giurisprudenza – praticante forense foro di Roma
Allievo diplomato scuola notarile “Anselmo Anselmi”

Falsificazione della firma per far espatriare la figlia minore senza il consenso dell’altro genitore

Considerazioni sulla scorta di un caso giudiziario e di cronaca di interesse grafologico in tema di tutela del minore.

Recentemente, a metà dicembre di quest’anno, è stata diffusa la notizia della sentenza di condanna ad otto mesi di reclusione pronunciata dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nei confronti di una madre che aveva falsificato la firma del marito per ottenere il rilascio del documento valido per l’espatrio per la figlia minore e ciò al fine trasferirsi all’estero interrompendo i rapporti padre-figlia.

I fatti  risalgono al 2016 ma la tematica è di estrema attualità  perché la disgregazione della coppia genitoriale sovente sfocia nella condotta ostativa dell’uno verso l’altro genitore ed il trasferimento del figlio all’estero, quand’anche circoscritto ad un limitato arco temporale, rappresenta  la fattispecie che, in via di fatto,  recide il rapporto genitoriale con conseguenze gravi per il minore, basti pensare all’impatto nella sfera psicologica conseguente alla repentina interruzione dei contatti con uno dei genitori.

 A ben vedere,  la normativa italiana mira ad evitare tali accadimenti essendo necessario il consenso di entrambi i genitori  ai fini del rilascio  al minore del documento valido per l’espatrio, in quanto l’art. 3 della Legge n. 1185/1967 (norme sui passaporti) prevede che “non possono ottenere il passaporto” i minorenni senza l’assenso dei genitori quali esercenti la responsabilità genitoriale.

Nel caso sopra richiamato, del quale non si conoscono i dettagli processuali, evidentemente la madre della bambina è stata ritenuta responsabile di aver  falsificato la firma dell’altro genitore al fine di manifestare la sussistenza proprio di quel consenso richiesto dalla normativa in tema di documenti validi per l’espatrio che, giova evidenziarlo, è posta  a tutela dei minori.

Difatti, con la riforma di cui alla Legge n. 219/12 ed al successivo D.lgs. n. 154/13 il legislatore, includendo espressamente tra “le decisioni di maggiore interesse per i figli” anche quella riguardante l’individuazione della residenza abituale del minore, ha  stabilito che la scelta sia assunta da entrambi i genitori e che solo nei casi di insanabile disaccordo tra quest’ultimi la stessa sia rimessa al giudice (artt. 316 e 337 ter c.c.).

Anche in caso di collocamento “prevalente” del minore presso uno dei genitori, o di  affidamento esclusivo, la scelta relativa alla sua  residenza deve essere, comunque, assunta da entrambi i genitori.

D’altronde anche il diritto alla libera circolazione di cui all’art. 16 Cost. che attribuisce a ciascun cittadino il diritto di  “uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge” trova delle limitazioni a salvaguardia dei figli, nell’alveo dei principi di cui agli artt. 30 e 31 Cost. e del principio del best interest of the child  che  trova la sua prima manifestazione nella Dichiarazione Universale dei diritti del fanciullo del 1959.

La recente condanna, quindi, comporta delle riflessioni in merito all’ampia portata di  una condotta criminosa che non  solo lede  il soggetto di cui viene falsificata la firma ma anche quelli del minore coinvolto.

In tale ambito, il professionista grafologo costituisce un valido ausilio per evidenziare e portare alla luce eventuali condotte illecite di falsificazione delle firme e di sostituzione di persona.

Gabriele Colasanti

Avvocato del Foro di Roma

Conoscersi meglio attraverso la grafologia

Quando ci si rivolge al grafologo per avere una analisi dettagliata della propria scrittura, con annesso profilo psicologico, sicuramente si avverte la necessità di conoscersi meglio, forse si sta attraversando un momento di crisi, capita, ed allora scatta la famosa “molla”, vogliamo capire meglio noi stessi.

Ci poniamo di fronte ad un foglio bianco, lo facciamo in modo naturale, senza pensare a quale forma dare al nostro scritto, oppure alla dimensione delle lettere, come gestire lo spazio a nostra disposizione piuttosto che alla forza pressoria che esercitiamo, insomma tutto ciò avviene spontaneamente, il gesto grafico è involontario, è un gesto psico-motorio.

Analizzare una scrittura può sicuramente aiutare il soggetto in questione a far emergere quei lati oscuri del carattere, pensieri ed azioni rimosse che spesso, però sottraggono serenità, sicurezza delle proprie azioni, giovialità ed intraprendenza.

E’ vero che la nostra mente riesce, attraverso dei meccanismi di difesa, inconsci, a rimuovere l’episodio doloroso, subito o procurato, ma è pur vero che non è in grado di rimuovere il sentimento.

Per questo e tanti altri motivi, la grafologia è di grande ausilio anche per psicologi e psicoterapeuti, che sovente si rivolgono a noi grafologi per avere un “panorama” piuttosto chiaro e dettagliato sulla persona in questione. Un valido contributo per iniziare un percorso di vita piuttosto complesso.

Dall’esame della scrittura possiamo rilevare anche le eventuali potenzialità, che sono fondamentali per orientare le proprie scelte, professionali e non, verso una giusta direzione, canalizzare le proprie energie, specialmente nel caso degli adolescenti per indirizzarli verso un cammino a loro più congeniale.

La grafologia non ha nulla di occulto, di magico, non si prefigge scopi terapeutici, anche se la persona conoscendosi meglio, può lavorare su se stessa, per una qualità di vita migliore, sia con i propri mezzi ma anche avvalendosi di un aiuto esterno, quale uno psicoterapeuta, che il grafologo stesso, quando e se lo reputi necessario può consigliare.

La grafologia, strumento di indagine piuttosto complesso, per questo motivo non ci si improvvisa. Quando si analizza una scrittura oltre alle competenze professionali dobbiamo mettere in gioco la nostra coscienza. Redigere un’analisi è un compito molto delicato, spesso ci si trova di fronte a persone, che nonostante abbiano scelto in modo del tutto autonomo, di far analizzare la propria scrittura, quando vengono messe di fronte a certe verità, rimosse, o mascherate, non le accettano. Sovente mi domando quale sia la strada giusta, il modo migliore per comunicare alla persona gli esiti dell’analisi grafologica, ed ogni volta la risposta è la stessa, delicatezza e prudenza, e far capire a chi ci sta di fronte che non stiamo giudicando, che non ci sono qualità o difetti ma semplicemente impulsi che necessitano di equilibrio.

Avevo già ultimato questo articolo, rimaneva solo di pubblicarlo quando ho ricevuto una email che ritengo esprima la connotazone propria dell’analisi della grafia sotto l’aspetto psicologico.

Mi riferisco all’analisi dell’incoscio attraverso la “psicologia della scrittura” che un libero professionista di 60 anni ha colto e richiesto, esternando alcune riflessioni dopo aver ricevuto il profilo grafologico da me redatto a seguito di epressa richiesta presso il mio studio in Roma.

Il signor Alessandro mi ha scritto “dott.ssa Belloni voglio ringraziarla per la sua analisi grafologica, ha focalizzato e messo in rilievo alcuni aspetti che mi erano poco chiari, ho riflettuto molto, non è facile accettare un quadro così completo della mia personalità. Dopo la sua analisi il puzzle si è composto, vorrei tanto cambiare e mettere a frutto le mie potenzialità”.

Con ciò non desidero autocelebrarmi ma portare in evidenza l’importanza della grafologia nell’ambito di un percorso di crescita personale e di conoscenza del proprio carattere nella prospettiva di una evoluzione e di un cambiamento.

Patrizia Belloni