Il valore scientifico della grafologia

Molto spesso, durante un processo, gli avvocati di parte e l’autorità giudiziaria interpellano un grafologo ai fini della “ricerca della verità” quantomeno a livello processuale. Il referto grafologico assume un particolare rilievo nelle controversie civilistiche, ove l’eventuale apocrifia di uno scritto può inficiare la validità di un atto oppure di un contratto, ma anche in ambito penale con riferimento ad una vasta gamma di reati. Al contempo il grafologo viene chiamato a fornire consulenza in altri ambiti sociali quali, ad esempio, la consulenza aziendale, la pedagogia (grafologia dell’età evolutiva) e l’analisi della personalità (psicologia della scrittura).
Il grafologo professionista, negli ultimi tempi, trova spazio anche in programmi televisivi di tipo giornalistico ove capita di assistere al rilascio di responsi psicologici e/o criminologici sulla scorta di qualche rigo. Di conseguenza, se da un lato la grafologia risulta senz’altro affascinante dall’altro lato può dar luogo ad una serie di interrogativi in ordine alla sua rilevanza scientifica. Così, la lettura di un profilo grafologico accostato ad una scrittura, in mancanza dell’esposizione di un iter logico e analitico può far sorgere dei dubbi sulla valenza della scienza grafologica. La spettacolarizzazione di certo non giova all’affermazione della grafologia in una accezione di tipo scientifico.
In questo “Magazine” appare, quindi, doveroso soffermarsi sul valore scientifico della grafologia. Si tratta di una scienza umana in quanto attiene una manifestazione dell’uomo che è l’unico animale che utilizza i segni e i simboli per esprimersi. Possiamo parlare di scienza in quanto si basa su un metodo razionale e su un iter logico ben definito per l’analisi della grafia. Possiamo evidenziare, anche se per gli addetti ai lavori si tratta di affermazioni superflue, che il “risultato finale” rappresentato dalla consulenza grafologica è il risultato di studi e di specifiche competenze professionali.
Sull’argomento si è espresso anche il prof. Umberto Veronesi sul settimanale “Oggi” del 4 agosto 2004. In una intervista avente ad oggetto la grafologia, l’autorevole esponente della comunità scientifica non lascia spazio ad interpretazioni affermando “io credo che la grafologia abbia senz’altro un carattere scientifico, ma che entri nella categoria delle pseudoscienze quando se ne fa un uso banale e approssimativo, un po’ come succede per la psicologia quando viene ridotta in pillole per i quiz psicologici pubblicati sui giornali. Se invece viene usata in modo corretto, e integrata con altre discipline (psicologia e psicanalisi, ma anche fisiologia e neuroscienze), la grafologia è un metodo scientifico, che può aiutare a conoscere meglio le persone” (estratto da “Oggi” 04.08.2004).
Anche l’art. 2 del codice deontologico europeo afferma che “La Grafologia, scienza umana e tecnica d’osservazione e d’interpretazione, permette l’indagine sugli aspetti cognitivo-temperamentali per mezzo dell’analisi della scrittura.”
Si può, quindi, affermare che il grafologo trovi spazio nei contesti sopra menzionati in quanto professionista serio consapevole del proprio ruolo e della validità del metodo scientifico su cui poggia la propria attività. Si invita il pubblico a voler considerare la grafologia al di là delle esigenze mediatiche e delle semplificazioni tenendo presente le basi su cui poggia e gli ambiti di applicazione.

D’altra parte uno degli obiettivi di “Grafologia Magazine” dichiarato sin dal primo numero è la divulgazione del sapere grafologico e delle sue applicazioni.

Gabriele Colasanti

Tratti salienti della scrittura di Martina Levato

Quando il grafologo si trova ad analizzare una scrittura, una delle prime osservazioni, senza entrare subito nello specifico, è quella di rilevare se la scrittura si sviluppi in modo orizzontale o verticale, oppure, e sarebbe auspicabile per il soggetto che entrambi gli assi fossero in equilibrio tra loro. La scrittura verticale o orizzontale, è data dagli allunghi o meno dalle aste o gambe delle lettere destinate ad innalzarsi o a discendere, per esempio, la t, d, l, ed a discendere le gambe della lettera g,q, p. Se in uno scritto non ci sono segni di verticalità , in quanto non ci sono allunghi significativi, ci troviamo di fronte ad una scrittura totalmente orizzontale. E’ una metafora che vuole evidenziare l’evoluzione psicologica del soggetto, paragonandola all’evoluzione posturale di un neonato. Esso vive i primi mesi in una posizione orizzontale, poi man mano viene a contatto con il mondo esterno, iniziando ad assumere una posizione eretta, quindi verticale, e sarà proprio in quel momento che rivendicherà la sua indipendenza ed autonomia.

Nelle scritture orizzontali, “orali” per Freud, come in questo caso, ci troviamo di fronte ad un soggetto che non è riuscito, dal punto di vista psicologico ad evolversi, a stare “sulle proprie gambe”. Ha mantenuto una posizione orizzontale, quindi di dipendenza verso il prossimo proprio come un bambino appena nato dipendente dalla mamma per soddisfare le proprie esigenze nutrizionali ed affettive. Una scrittura con determinate caratteristiche, esprime una difficoltà sul piano affettivo-relazionale,v’è una continua ricerca di protezione, affetto, desiderio di colmare un vuoto affettivo.

Questi brevi cenni  precedono l’analisi  che ho potuto fare dei tratti salienti della scrittura della Levato, quelli che sono emersi dalla pubblicazione  su internet di uno stralcio di lettera.

scrittura levato

Analisi

In un insieme monotono e meccanizzato, la scrittura rigida diventa problematica, emerge una personalità fragile, si reprime ed alle volte possono verificarsi comportamenti imprevedibili. Gli addossamenti (cerchiati) rivelano una componente infantile, un modo per proteggersi dalla propria inquietudine, dall’ansia, e denotano tendenze contrarie, ambivalenza. Questa scrittura manca di libertà, tutto è scandito, misurato, indice di una educazione repressiva, si coglie una scarsa flessibilità di giudizio e comportamento che possono, a volte, dar luogo ad atteggiamenti enfatici. La scrivente accentra ogni interesse su di se, vive un narcisismo che preclude ogni slancio affettivo verso il prossimo, ha interessi limitati e concernono essenzialmente la sua persona. La scrittura di tipo orale è sintomatica di un certo malessere interiore, si richiede affetto ed attenzioni, quelle che probabilmente sono mancate nella fase più importante nella vita di ogni essere umano.

Patrizia Belloni

Meccanismi di difesa

Mi ricollego all’articolo del numero di Agosto “spunti di riflessione sul percorso evolutivo”, dove ho parlato, ricorderete, della casa in costruzione e mi sono soffermata in modo particolare sulla soffitta, luogo dei ricordi e dei sogni, ma anche del futuro e dove tutto è possibile. Lì ci è consentito, anche, di azionare un’attività del tutto inconscia, inconsapevole, scevra da qualsiasi forma di opportunismo o manipolazione. Si tratta del c.d. meccanismo di difesa, di cui si serve la nostra mente (soffitta) per proteggersi durante la lotta, affinché non sia impari, fra ciò che è giusto e quello che non lo è.

I meccanismi di difesa sono indispensabili per difendere e salvaguardare la nostra psiche, sono molteplici ed ognuno di noi ne adotta uno a seconda delle circostanze.

Citerò  quelli più utilizzati, gli altri verranno menzionati nei prossimi numeri di  “Grafologia Magazine.”

La “Rimozione”, si rimuove, si cancella un episodio, un evento doloroso, un trauma subito o procurato, anche da bambini, per impedire il suo accesso nella nostra coscienza. Tutti più o meno ne facciamo ricorso.

“L’identificazione”, incorporazione e introiezione di una caratteristica di un soggetto al fine di assimilarla e di farne un modello a cui ispirarsi.

La “Razionalizzazione”, spiegare, giustificare razionalmente dei nostri comportamenti affettivi a posteriori, ad esempio: se ci comportiamo in modo scorretto con un amico o comunque con una persona a noi vicina affettivamente, per non alimentare i nostri sensi di colpa, quindi per giustificare l’atto, diremo sicuramente che se lo è meritato, trovando le più disparate motivazioni.

La “Negazione” che si differenzia dalla rimozione in quanto non si nega il fatto di per sé ma il suo significato, ad esempio: in occasione di un subito torto o di un tradimento, da parte di un amico, un compagno di vita, si ricorre a questo meccanismo per giustificare il comportamento che arreca frustrazione e delusione ricollegandolo a un condizionamento da soggetti terzi o dagli eventi piuttosto che ammettere la mancanza della persona nella quale era stata risposta fiducia.

Attraverso lo studio della scrittura il grafologo può sicuramente individuare che “tipo” di difesa ha azionato il soggetto di cui si sta analizzando lo scritto. Anche per questo motivo psicologi e psicoterapeuti sovente si rivolgono al grafologo al fine di essere coadiuvati in un progetto di psicoanalisi che a volte una persona intraprende per svariati motivi. Inevitabilmente, appena ci si trova di fronte allo psicoterapeuta, la mente innesca la difesa, non ci si sente a proprio agio, l’ansia prende il sopravvento e spesso la seduta non riesce. Attraverso la scrittura si abbatte questo primo ostacolo e si rende il percorso meno difficoltoso, sia per il paziente che per il terapeuta.

Patrizia Belloni

Spunti di riflessione sul percorso evolutivo

L’unicità e la grandezza di Sigmund Freud consisteva nella sua innata capacità, di esprimere concetti di una elevata complessità, con esempi pratici ed una terminologia accessibile a tutti. Immaginate una casa in costruzione, forse la casa dei vostri sogni, quindi stabile, duratura, che vi dia garanzie di integrità, ebbene, la formazione della personalità di ogni essere umano Freud la paragonava proprio ad una casa in costruzione. casetta

Naturalmente si inizia dalle “fondamenta”, che devono essere forti e stabili, dove si ergerà la costruzione, su un terreno orizzontale, esattamente come la posizione del neonato, quindi parliamo di fase orale ( da 0 ad 1 anno). Poi è la volta dei muri, il corpo della casa inizia a prendere forma, ed è verticale, proprio come la posizione del bambino quando inizia a camminare. Verso i dodici-tredici mesi, infatti, inizia ad esplorare un mondo nuovo, prende contatto con tutto ciò che lo circonda, percepisce una realtà del tutto nuova rispetto a prima. Via via arriviamo alla soffitta, contiene i nostri ricordi, foto, giocattoli, la culla di legno con il tulle ed il vecchio cavalluccio a dondolo, è il luogo dove i bambini si rifugiano volentieri, il loro nascondiglio segreto, dove giocano ai pirati, ed il vecchio baule della nonna diventa un prezioso forziere. Un luogo colmo di ricordi ma anche di sogni e con tutto ciò che è possibile, quindi il futuro, la meta da raggiungere. Per ultimo, il tetto, di solito ha la forma di un triangolo (edipico) , papà, bimbo, mamma, che oltre ad avere una funzione estetica, di completamento, infatti rende la casa più bella ed armoniosa, ma conferisce soprattutto unità , un completamento all’insieme. Quindi se il tetto sarà solido, equivale alla risoluzione del complesso di Edipo, ed è un elemento basilare nella formazione della personalità di ciascun essere umano, in caso contrario, creerà non pochi problemi nella fase adolescenziale.

Ho fatto questa premessa perché di recente gli organi di stampa hanno portato all’attenzione dell’opinione pubblica vicende giudiziarie dove i bambini sono tristemente i protagonisti in quanto sottratti alla responsabilità genitoriale oppure oggetto di un contenzioso sull’affidamento.

Talvolta si inorridisce di fronte alla superficialità di alcuni “opinionisti”, persino uomini di Chiesa, si sono lasciati sedurre dalla ribalta mediatica, rilasciando dichiarazioni che non trasmettono nulla di positivo, messaggi del tutto sbagliati, che potrebbero alimentare anche lo spirito di emulazione, di persone già disturbate. C’è una corrente di pensiero che ritiene giusto usare un bambino come “mezzo” rieducativo a carattere sperimentale nei confronti dei genitori e non viceversa, lo trovo davvero ingiusto. Allora mi chiedo, tutto ciò nasce da una patologia che si chiama “delirio di onnipotenza”, dove si ha la convinzione, errata, che tutto sia possibile per loro, oppure una mera strumentalizzazione? Possibile che non si arrivi a pensare che per formare gli uomini di domani c’è bisogno di stabilità, di fondamenta solide per poter costruire il loro futuro? Sono molti i bambini violati, usati, a volte purtroppo uccisi proprio dalle persone di cui più si fidavano, allora, ci si domanda per quale motivo i saccenti che si fanno intervistare in televisione non riflettano su questo aspetto. Si pensava, di dover tutelare le vittime, non i carnefici, e le vittime purtroppo saranno sempre i bambini, esseri indifesi che sovente hanno la sfortuna di essere concepiti da persone malvagie, non idonee alla “costruzione” di una nuova vita. Potrebbero sembrare delle riflessioni ovvie, infatti, sono stata piuttosto indecisa se pubblicare o meno questo articolo. E’ scontato che ad un bambino necessiti una situazione familiare serena, con genitori che sappiano trasmettere dei valori, dei sani principi, il rispetto per il prossimo, educarlo alla non violenza, ed alla non sopraffazione. Un bimbo appena nato è come una “spugna”, assorbe tutto  e memorizza  odori, sensazioni, l’amore che gli viene trasmesso, e man mano che cresce tutto ciò verrà riproposto, ai genitori ma anche alla società, sotto forma di comportamenti più o meno idonei, di serenità, di socievolezza verso i coetanei, di allegria e dalla voglia di condivisione, ma soprattutto fiducia nel prossimo e verso un mondo da esplorare. Soltanto dopo qualche anno, quando sarà in grado, verso i tre anni, di tenere in mano matite e colori, attraverso i primi scarabocchi, gli esperti della psicologia nell’età evolutiva saranno in grado di valutare il percorso intrapreso.

Patrizia Belloni

Analisi dello scarabocchio

Attraverso lo scarabocchio il bambino manda una serie di messaggi che occorre imparare ad osservare per dare loro un giusto valore nell’interpretazione. L’analisi grafologica dello scarabocchio e del disegno infantile non può prescindere dall’osservare l’impugnatura, lo spazio, il punto di partenza, il tratto, la pressione, la forma

IMPUGNATURA: sciolta o rigida.

Non sempre è possibile, ma sarebbe auspicabile, osservare il bambino mentre disegna. L’impugnatura sciolta è indice di un movimento libero e rilassato. L’impugnatura rigida è indice di una forte tensione muscolare, dovuta a cause di diversa natura, sia psicologiche che organiche.

SPAZIO: molto riempito, poco riempito.

Uno spazio molto riempito indica confidenza, espansione, apertura, ma uno spazio troppo riempito è indice di problematiche ansiogene. Lo spazio poco riempito mette in evidenza un bimbo timido, a volte chiuso e pauroso. Quando il bambino occupa tutto il foglio con un gesto tondo mette in luce un temperamento espansivo e socievole; se invece scarabocchia con angoli, spigoli, gesti non particolarmente ampi, denota una natura più chiusa, meno disponibile ad aprirsi con facilità nei rapporti con l’ambiente circostante.f.1-3

f. 1 scarabocchio 1

PUNTO DI PARTENZA SUL FOGLIO: centrale/periferica, destra/sinistra.

Se il bambino inizia lo scarabocchio dalla zona centrale del foglio mette in evidenza il benessere, la gioia di sentirsi al centro degli interessi dell’adulto, se inizia dalla periferia vi è in lui un senso di estraneità o inibizione nei confronti dell’ambiente esterno che frenano l’espansione dei suoi sentimenti. Privilegiare la destra o la sinistra indica, seguendo lo schema di Pulver, il desiderio di rimanere ancorato al grembo materno o la voglia di crescere ed andare verso il futuro. Fig. 2

scarabocchio 2

fig. 2

TRATTO : regolare, irregolare.

Il tratto regolare, cioè sicuro e scorrevole, indica la capacità di mettersi in contatto in modo spontaneo e immediato con gli altri perché il bambino si sente sicuro nei propri affetti; il tratto irregolare, cioè incerto e spezzettato, indica che il bambino teme il distacco dalla famiglia come pure l’incontro con l’altro. Le caratteristiche di pastosità più facilmente si accompagneranno al tratto regolare, ma non si deve escludere a priori che questo tratto possa essere nitido. Fig. 3

scarabocchio 3

Fig.3

PRESSIONE: appoggiata, leggera

Una pressione appoggiata indica la presenza di una buona carica vitale, ma se si evidenziano segni di inibizione o ristagni e ingrossamenti improvvisi, si deve ritenere che vi sia latente una forte aggressività che ha bisogno di essere scaricata attraverso attività adeguate. Una pressione leggera esprime caratteristiche di particolare sensibilità, ma se particolarmente fine o chiara rivela un atteggiamento di timidezza e inibizione. Fig.1-3

FORMA: cerchio, angolo, tratti puntiformi, linee spezzate, gomitolo.

Nel cerchio il bambino proietta la prima immagine conosciuta: il volto umano. Più tardi aggiungerà gli occhi, il naso, la bocca e così via, in modo che lo scarabocchio assume un significato espressivo oltre che simbolico. Il cerchio, più in generale, esprime la qualità dell’adattamento: il bambino che scarabocchia utilizzando in prevalenza il gesto curvo a direzione orizzontale manifesta una natura aperta e un desiderio di comunicare. Il movimento circolare dal tratto armonico e privo di tensioni riproduce simbolicamente il ‘girotondo’, un gioco che rappresenta per tutti una tappa fondamentale dello sviluppo sociale. Fig. 1

L’angolo esprime tensione e resistenza, ma anche bisogno di affetto, talvolta può indicare che qualcosa ha ferito il bambino. Lo scarabocchio angoloso indica inquietudine, ma può significare anche lotta sofferta per conquistare l’autonomia. La necessità di esperienze nuove, come la separazione temporanea dalla madre per andare all’asilo, magari in concomitanza con la nascita di un fratellino, può essere interpretata dal bambino come rifiuto o una diminuzione di affetto. In questo caso il bambino lancia il suo messaggio con un gesto stizzoso o addirittura rabbioso: l’importante è capire che con questo gesto grafico egli chiede appoggio, comprensione, protezione, conferme. Fig. 4

scarabocchio 4

fig. 4

La presenza nello scarabocchio di tratti puntiformi sparsi qua e là indica uno stato emotivo particolarmente sollecitato, in cui si affacciano ad intermittenza stati d’ansia dovuti spesso a paura dell’abbandono: il bambino teme che l’oggetto gratificante, soprattutto la mamma, scompaia e non possa più proteggerlo. Tuttavia nei bambini molto piccoli il tracciato puntiforme è dovuto alla difficoltà motoria di conduzione del pennarello o della matita. Fig. 4

Uno scarabocchio a forma di gomitolo,specie se la parte centrale è completamente annerita, indica un trauma, una paura di uscire: il bambino si è avvolto come nell’utero alla ricerca di protezione. Lo scarabocchio che viene riportato qui di seguito manifesta un accartocciamento come una predisposizione alla chiusura insieme ad un messaggio di aiuto ad uscire dal groviglio della sua esperienza. Fig. 5

scarabocchio 5

fig. 5

Infine è importante sottolineare che la verbalizzazione dello scarabocchio, unitamente all’intento rappresentativo e al perfezionamento delle forme, segna il passaggio verso un grafismo più maturo.

Elisabetta Agnoloni

I disturbi dell’attenzione in età scolare: un contributo grafologico

Troppo vivaci, disattenti, maleducati, svogliati: così vengono spesso definiti dagli insegnanti gli alunni il cui comportamento è caratterizzato da livelli di disattenzione elevati per l’età e non di rado associati ad impulsività ed iperattività. Questi comportamenti si manifestano con particolare frequenza a scuola, un ambiente in cui viene richiesta una elevata concentrazione per raggiungere un buon livello di apprendimento. Generalmente questi alunni non portano a termine i compiti scritti ; in particolari situazioni sembrano non seguire o addirittura non voler ascoltare chi parla e, se interrogati, forniscono risposte “ a vanvera” . Anche i rapporti sociali con i coetanei possono venire danneggiati, proprio a causa di queste difficoltà comunicative a cui talvolta si aggiunge uno scarso rispetto delle regole nei giochi e dei turni nelle varie attività scolastiche, e, più in generale, emergono comportamenti impulsivi di tipo egocentrico e quindi poco rispettoso dei diritti degli altri. Prevale la scelta di giochi non strutturati e l’impulsività può creare situazioni pericolose. Questi comportamenti evidenziano una bassa tolleranza alle frustrazioni, scarsa stima di sé che causano umore variabile accompagnato anche da esplosioni improvvise di collera.

In tempi recenti ricercatori nelle discipline mediche e psicologiche hanno individuato e diagnosticato, per alcuni casi specificamente definiti, in cui appaiono queste modalità di comportamento in maniera continuativa o eccessivamente frequente, un disturbo da deficit di attenzione e iperattività , diagnosi che per brevità viene denominata con la sigla DDAI o con l’acronimo inglese ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder). Psicologi e psicoterapeuti, neurologi e psichiatri hanno descritto, ciascuno per il proprio ambito disciplinare, le caratteristiche del disturbo, sulla base di indagini specifiche, allo scopo di evitare valutazioni approssimative e quindi soggette più facilmente ad errore. Numerosi studi hanno evidenziato che il fattore patogenetico fondamentale del disturbo può essere costituito da un deficit delle capacità di inibizione delle risposte impulsive mediate dalla corteccia frontale (Schachar e Logan 1990; Barkley 1997) con conseguente difficoltà di autocontrollo, non soltanto motorio, ma anche di elaborazione dei processi mentali che portano all’autoregolazione nell’esecuzione di un compito. E’ importante però sottolineare che la disattenzione, con o senza impulsività, nei bambini non è automaticamente segno di DDAI, anzi i casi di questo specifico evento sono sicuramente in numero molto limitato e comunque la diagnosi deve essere affidata a specialisti del settore.

Come grafologa dell’età evolutiva, mi sono particolarmente interessata al problema ed ho potuto constatare attraverso l’esame delle scritture di bambini con caratteristiche comportamentali di tipo DDAI, o similare, la presenza di un livello medio o medio-grave di disgrafia, ossia di una difficoltà evidente di scrivere producendo segni grafici corrispondenti al modello insegnato; in altre parole questi bambini o questi adolescenti scrivono in maniera poco chiara, talvolta quasi illeggibile, non rispettano le distanze spaziali tra le parole o tra le righe, i margini risultano irregolari, le singole lettere risultano malformate, talvolta troppo grandi o troppo piccole, con ammaccature e schiacciamenti, i segni curvi sono spesso sostituiti da angoli e la loro conduzione risulta faticosa con frequenti interruzioni o sovrapposizioni. Un esempio è la scrittura di M. qui di seguito riportata

disturbi attenzione

Quando scrive questo testo libero M. ha 11 anni, è al termine delle quinta elementare; il suo percorso scolastico è stato alquanto accidentato a causa dei suoi comportamenti aggressivi , sia con le parole che con i fatti, verso i compagni e anche verso gli insegnanti. Solo la sensibilità dell’insegnante di italiano ha permesso a M. di esprimere le sue qualità intellettive di notevole livello cercando di sostituire le prove scritte con quelle orali, evitando così al bambino la mortificazione di dover esporre le sue difficoltà nella scrittura. L’esame infatti della scrittura di M., eseguito con la scala di Ajuriaguerra per la disgrafia, denota un disturbo disgrafico piuttosto elevato. E’ chiaro che non spetta al grafologo fare diagnosi di DDAI, tuttavia dalla grafologia può arrivare un utile contributo sia per gli specialisti del settore, sia ai genitori e soprattutto per gli insegnanti che possono così evitare l’errore di considerare questi bambini e questi adolescenti come ‘svogliati’, ‘poco studiosi’, ’maleducati’, e indurli invece a cercare soluzioni didattiche adeguate.

Interessanti sono le osservazioni del dott. B. Favacchio, specialista in Psicopatologia dell’apprendimento, che nel suo articolo “La disgrafia”(in rivista ‘GRAFOLOGIA’ n. 29, a.2005, ed. CESGRAF) si esprime come segue: “ La ricerca italiana, esaminando la relazione tra DDAI e difficoltà nel controllo percettivo motorio in 150 bambini di scuola elementare, ha rilevato che i bambini con DDAI (…….) hanno prestazioni percettivo-motorie e di apprendimento significativamente peggiori dei gruppi di controllo, in special modo si nota scarsa coordinazione e difficoltà nel controllo ‘fine’ del movimento”. Vi è quindi la conferma che la disgrafia appare con notevole frequenza in associazione con il DDAI in cui l’equilibrio neuromotorio sembra essere deficitario e causare quindi difficoltà nel controllo dei movimenti necessari per scrivere per cui l’analisi grafologica consente di far emergere elementi specifici di conferma, quali una disarmonia complessiva, una difficoltà nel procedere della scrittura, una pressione variabile, una spazialità irregolare, forme diseguali e mal tratteggiate, un movimento poco fluido talvolta contratto talaltra poco controllato o troppo rilasciato e lento.

Vorrei comunque sottolineare ancora che i bambini disattenti e disgrafici non sono automaticamente affetti da sindrome DDAI, anzi spesso le cause sono di altro genere, come una lieve immaturità nello sviluppo psicoaffettivo o intellettivo, un disagio sociofamiliare , o altri motivi di ordine ambientale anche scolastico.

disturbi attenzione 2

La dimensione è molto grande rispetto all’età, ancora decisamente legata al modello scolastico (a 9 anni i bambini cercano già di personalizzare la propria scrittura, magari imitando quella degli adulti o di ragazzi più grandi…); la progressione è piuttosto lenta , il tratto e la pressione poco affermati. Questa scrittura evidenzia una immaturità che probabilmente rende la vita scolastica di F. piuttosto faticosa, con difficoltà a tenere a lungo la concentrazione e quindi ad essere spesso disattento; se richiamato si dimostra offeso e talvolta diventa permaloso e ha reazioni di stizza. L’analisi della scrittura con la scala di Ajuriaguerra permette di rilevare una disgrafia di medio livello, confermata anche dallo psicologo che segue F. da qualche mese su segnalazione dell’insegnante. La diagnosi della disgrafia in questo caso non porta affatto ad ipotizzare una diagnosi di DDAI, ma piuttosto verso la presenza di una lieve immaturità globale. Anche in questo caso il profilo grafologico di F., stilato dopo una attenta analisi di più scritture e disegni eseguiti in diversi periodi dal bambino, può favorire un adeguato intervento pedagogico a casa e a scuola.

Le considerazioni emerse dagli esempi esposti consentono di comprendere l’apporto che la grafologia è in grado di fornire nell’individuazione di possibili difficoltà comportamentali dei ragazzi nel periodo dell’età evolutiva, compresi i disturbi di attenzione con o senza iperattività. Ritengo perciò fondamentale che vengano superati i pregiudizi che tuttora gravano sulla disciplina grafologica per coglierne invece le concrete possibilità di applicazione anche in campo psicopedagogico. E’ proprio attraverso lo scambio di idee e di esperienze, in un rapporto di aperta e autentica collaborazione paritetica tra discipline, che si potrà realizzare l’acquisizione e la messa in opera di nuove conoscenze: la grafologia è pronta a dare il suo contributo.

Elisabetta Agnoloni

Cenni normativi per la professione grafologica

Al fine di meglio delineare la professione grafologica (consulenza, perizia, etc) appare utile compiere una analisi della Legge 14 gennaio 2013, n. 4 avente ad oggetto le disposizioni in materia di professioni non organizzate in ordini o collegi. Fra le attività libero- professionali non riconducibili ad uno specifico ordine o collegio professionale vi rientra anche quella di grafologo.codice-civile_large

Il legislatore anziché creare nuovi ordini professionali ha ritenuto opportuno disciplinare tutte quelle professioni di rilevanza economico-sociale attribuendo “onori ed oneri” alle categorie coinvolte. L’art. 1 della L. 4/2013 al comma 3 impone a chiunque svolga la professione di contraddistinguere la propria attività, in ogni documento e rapporto scritto con il cliente, con l’espresso riferimento dell’applicabilità della Legge. Pertanto, per espressa disposizione legislativa, l’inadempimento rientra tra le pratiche commerciali scorrette tra professionisti e consumatori, di cui al titolo III della parte II del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, ed è sanzionato ai sensi del medesimo codice. Il grafologo professionista risulta, quindi, tenuto ad indicare “attività professionale svolta ex L. 4/2013” con l’eventuale indicazione dell’iscrizione ad una associazione professionale. L’art. 2 della legge in parola concerne le associazioni professionali riconoscendo loro un importante ruolo di promozione della formazione permanente dei propri iscritti e di vigilanza sulla condotta professionale degli associati anche attraverso sanzioni disciplinari da irrogare agli associati per le violazioni del codice di condotta (ai sensi del Codice del Consumo) che debbono adottare. E’ previsto, altresì, che le Associazioni istituiscano uno sportello di riferimento per il cittadino-consumatore presso il quale i committenti delle singole prestazioni professionali possono rivolgersi in caso di contenzioso con il professionista. L’art. 7 della Legge 4/2013 stabilisce, inoltre, che le Associazioni Professionali possono rilasciare attestazioni ai propri iscritti che, tuttavia, non costituiscono condizione per l’esercizio della professione.

Si ritiene di consigliare ai grafologi la predisposizione di una apposita carta intestata riportante la dicitura summenzionata nonché l’adozione della medesima informativa nelle comunicazioni email in calce dopo la propria firma. Inoltre, dalla Legge 4/2013 risulta rafforzato o quantomeno evidenziato la connotazione di consumatore dei clienti, con l’eccezione dei clienti a loro volta richiedono la consulenza del grafologo nell’ambito dell’esercizio di una attività professionale o imprenditoriale (si pensi all’ambito della consulenza aziendale). Ne consegue che il grafologo è tenuto ad attenersi al Codice del Consumo come ad esempio alla disposizione di cui all’art. 5 co. 3 che afferma “Le informazioni al consumatore, da chiunque provengano, devono essere adeguate alla tecnica di comunicazione impiegata ed espresse in modo chiaro e comprensibile, tenuto anche conto delle modalità di conclusione del contratto o delle caratteristiche del settore, tali da assicurare la consapevolezza del consumatore.”

Nell’esercizio della professione grafologica non vanno sottovalutate le implicazioni di carattere legale derivanti non solo dalle sopra richiamate disposizioni ma anche dal Codice Civile e dal D.Lgs 196/2003 (Codice della Privacy). In questa sede, in un’ottica introduttiva, appare opportuno indicare i principali adempimenti formali del grafologo nei seguenti: informazione della riconducibilità dell’attività alla legge n. 4/2013 nella corrispondenza e negli scritti con i clienti, diffusione ai consumatori di informazioni chiare e comprensibili, predisposizione di una lettera di incarico tra il cliente e il grafologo che definisca l’oggetto della prestazione professionale, le informazioni e la documentazione fornita dal cliente, le modalità e i tempi di svolgimento dell’incarico nonché l’onorario professionale e le modalità di corresponsione. Al contempo risulta necessario che il grafologo fornisca una informativa sul trattamento dei dati personali (responsabile del trattamento, luogo di conservazione dei dati, modalità di esercizio dei diritti di cui al D.Lgs. 196/2003) e che riceva il consenso espresso dell’avente diritto in merito alla raccolta di dati personali e/o sensibili utili o richiesti ai fini della consulenza o perizia grafologica.

Inoltre, è consigliabile sotto molteplici profili definire insieme al cliente la finalità dell’incarico (ad es. interesse per la materia, migliorare la conoscenza della propria persona, consulenza giudiziaria, consulenza familiare, selezione del personale, etc).

Ciascuno degli aspetti richiamati appre indubbiamente meritevole di ulteriori approfondimenti, anche attraverso questo “Magazine” in successivi articoli, ma la considerazione del quadro di insieme sembra utile per evitare spiacevoli inconvenienti nell’esercizio della professione e dare allo svolgimento della libera professione una adeguata connotazione professionale che non potrà che giovare anche nei rapporti con i clienti e/o con altri professionisti.

Gabriele Colasanti

Considerazioni sul “bianco”

Il bianco, in grafologia, è indice rivelatore della personalità umana, occorre quindi studiarlo con attenzione, nei suoi spazi, nella sua vivacità, nei suoi blocchi e nei suoi ritmi.

Provate, infatti, a sedervi davanti a un foglio bianco e immaginate che qualcuno vi dica: “Ora scriva 10/15 righe, può scrivere ciò che vuole… Quasi subito si avverte una sensazione di disagio, impauriti di fronte al foglio bianco senza sapere come iniziare, come riempire questo spazio, alcuni alla fine rinunciano, altri tentano. Tutto questo per evidenziare il significato e di quanto sia importante il bianco in grafologia.

Questo colore “non colore”, questo concetto di vuoto/non vuoto che, secondo la filosofia Zen, viene inteso come natura originaria dell’uomo.

Anche nella pittura, come ho avuto modo di constatare andando a vedere la mostra a Roma alle Scuderie del Quirinale, Matisse in alcuni suoi quadri lasciava un piccolo spazio bianco, non colorato, non privo di significato ma, al contrario, perché possa essere riempito dei colori, dei suoni e delle modulazioni e delle vibrazioni proprie di chi guarda il quadro.

Anche la pittura giapponese lascia molto spazio al bianco rappresentante l’universo in contrapposizione al nero che, sempre secondo la filosofia Zen, rappresenta la forma materiale. L’equilibrio tra queste forze, vuoto/pieno, leggerezza/pesantezza, uomo/natura, rappresenta la pienezza della vita, serena e tranquilla.

Una vita che ci possa permettere di far fronte agli ostacoli che inevitabilmente incontreremo sul nostro cammino.

Il bianco dovrebbe quindi essere considerato un serbatoio da cui attingere potenzialità, energia che non dovrebbero spaventarci fino al punto di isolarci, ma accompagnarci nella nostra crescita, sia dal punto di vista intellettuale, spirituale che pratico.

Tale percorso potrebbe essere foriero di intuizioni brillanti, idee e progetti che potrebbero gratificare noi stessi e anche agli occhi degli altri.

Claudia Ducci

Il ruolo del consulente grafologo nel procedimento di mediazione

Nel nostro ordinamento trova spazio il procedimento di mediazione delle controversie civili e commerciali attualmente di tre tipi: mediazione facoltativa, mediazione delegata e mediazione obbligatoria. In relazione a quest’ultimo tipo di procedimento si pone in evidenza il possibile coinvolgimento del consulente grafologo sotto tre profili: consulente di parte, consulente tecnico di mediazione (c.d. “C.T.M.” in analogia al “C.T.U.” in sede giurisdizionale) nonché quale mediatore se in possesso dei requisiti richiesti dalla normativa. Anzitutto, anche per meglio delinearne la portata, risulta opportuno evidenziare che il nuovo comma 1-bis dell’art. 5 del Decreto Legislativo n. 28/2010 dispone che l’esperimento del procedimento di mediazione costituisce condizione di procedibilità per l’esercizio dell’azione giudiziaria relativa alle controversie in determinate materie tra le quali le successioni ereditarie.
Il procedimento ha una durata non superiore a tre mesi e prende avvio dalla domanda presentata mediante il deposito di un’istanza presso l’organismo di mediazione nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia. Il responsabile dell’organismo di mediazione investito della questione designa un mediatore e fissa l’incontro delle parti – che dovranno farsi assistere da un avvocato – non oltre trenta giorni dal deposito della domanda.
In particolare nelle controversie in materia di successioni, risulta evidente che ciascuna delle parti potrà allegare alla propria istanza una perizia grafologica in ordine, ad esempio, all’autenticità del testamento olografo pubblicato dalla controparte. Facendo un caso concreto potrebbero esistere due testamenti olografi pubblicati e aventi datazione diversa con la prevalenza dell’ultimo. L’oggetto della controversia potrebbe coincidere con l’apocrifia dell’ultimo testamento sulla scorta di una perizia o di una consulenza grafologica a fondamento di un’azione giudiziaria ma ancora prima oggetto del tentativo obbligatorio di mediazione. Molteplici le possibili sfaccettature del coinvolgimento quale consulente di parte del grafologo nel corso di questo procedimento.
Sotto altro profilo come previsto dalla normativa il mediatore può avvalersi di esperti ossia dei consulenti tecnici di mediazione (C.T.M.) i quali sono chiamati a prestare al mediatore supporto tecnico e specialistico in caso di mediazioni particolarmente complesse tra le quali si ipotizzano i procedimenti avviati sulla base di una domanda che alleghi una perizia grafologica. In tale contesto il grafologo può essere chiamato a svolgere detto ruolo.
Inoltre, il consulente grafologo può diventare mediatore se in possesso di laurea, almeno triennale, oppure se iscritto in un albo professionale, in ogni caso, acquisendo la qualifica di mediatore a seguito della frequenza di un corso tenuto da organismi iscritti nell’apposito registro tenuto presso il Ministero della Giustizia e all’esito di una prova di valutazione finale. Si ipotizza la designazione del grafologo-mediatore nei casi che abbiano ad oggetto l’autenticità di firme e/o di scritti.
In conclusione, il procedimento di mediazione delle controversia appare come un contesto ove il grafologo può essere chiamato a svolgere la propria attività professionale.

Gabriele Colasanti

Anche la cartolina postale di ricevimento può formare oggetto dell’indagine grafologica

Capita nella vita di tutti i giorni di ricevere una raccomandata con ricevuta di ritorno. Nella pratica quotidiana l’incaricato postale citofona all’indirizzo del destinatario, consegna la busta e fa apporre una firma sulla cartolina che tornerà al mittente al fine di attestarne la ricezione nonché sulla distinta che rimane agli atti dell’ufficio postale. Talvolta si tratta di comunicazioni inviate a mezzo raccomandata solamente per scongiurare lo smarrimento o i tempi “biblici” che talvolta assume la posta ordinaria, in altri casi la busta raccomandata contiene atti giudiziari o comunque comunicazioni stragiudiziali ma con effetti giuridici che decorrono dalla data di consegna (si pensi ad es. al termine di 30 giorni dalla comunicazione stabilito dall’art. 1137 c.c. per l’impugnativa della delibera annullabile dell’assemblea di condominio).Postino
Pur trattandosi di fattispecie a rilevanza penalistica potrebbe capitare di trovarsi di fronte ad una ricevuta postale comprovante la ricezione della comunicazione e/o dell’atto recante una sottoscrizione apocrifa. Di conseguenza l’incolpevole destinatario dell’atto potrebbe subire, suo malgrado, effetti giuridici rilevanti, quali a titolo esemplificativo decadenza dalla possibilità di proporre ricorsi e/o impugnazioni in generale, sulla scorta di una ricezione non avvenuta provata da una firma apposta da altra persona in suo danno.
Di conseguenza anche la ricevuta del servizio postale può formare oggetto di una perizia grafologica finalizzata a supportare l’azione giudiziaria tesa al disconoscimento della sottoscrizione. La consulenza potrebbe risultare maggiormente complessa in virtù del materiale (cartoncino), dell’inchiostro utilizzato (nella prassi anche pennarelli a tratto fine) oppure delle concrete modalità di apposizione della firma ad esempio utilizzando un muretto o il palmo della mano come supporto.
codice-civile_largeSecondo la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione, come ribadito con la recente sentenza n. 3875 del 25 febbraio 2015, “l’avviso di ricevimento dell’atto spedito per la notifica a mezzo posta possiede la stessa natura certificatoria della relazione di notifica redatta dall’ufficiale giudiziario – da questi demandata all’agente postale – ed e’ pertanto assistito da fede privilegiata, ai sensi dell’articolo 2700 c.c., in ordine alle dichiarazioni delle parti ed agli altri fatti che l’agente assuma essere avvenuti in sua presenza. (Cass. nn. 8500/05, 11452/03, 3065/03, 1783/01). Ne consegue che il destinatario della notifica che affermi di non aver mai ricevuto l’atto, e in particolare di non aver mai apposto la propria firma sull’avviso di ricevimento, ha l’onere, se intende contestare l’avvenuta esecuzione della notificazione, di impugnare l’avviso di ricevimento a mezzo di querela di falso (Cass. nn. 3065/03, 1783/01 cit), a nulla rilevando, attesa l’autonomia fra giudizio penale e civile, che il preteso falso sia stato denunciato in sede penale.”
Ai sensi dell’art. 221, 1° comma, c.p.c., la querela di falso può essere proposta, da chiunque abbia interesse a contrastare l’efficacia di un documento, in via principale ma anche in corso di causa in qualunque stato e grado di giudizio e fino a che la verità del documento non sia stata accertata con sentenza passata in giudicato. La querela di falso può essere proposta con atto di citazione o con dichiarazione da unirsi al verbale di udienza, personalmente dalla parte o a mezzo del difensore munito di procura speciale.
Anche di fronte ad una “semplice” cartolina postale recante una sottoscrizione apocrifa non è sufficiente rivolgersi all’autorità giudiziaria penale ma risulta necessario avvalersi di un consulente-perito grafologo e di un avvocato.

Gabriele Colasanti