Perizie grafiche. Intervista con Gianluca Ferrari.

Grafologia Magazine ha intervistato Gianluca Ferrari, dottore di ricerca in arti, letterature e lingue italiana ed europee, ufficiale dei Carabinieri, già Comandante della Sezione di grafica e fonica del RIS di Roma.

Da quanti anni svolge indagini nel campo delle comparazioni grafiche e ci vuole illustrare in cosa consiste?

Il mio approccio all’identificazione della scrittura risale agli anni dell’università. Stiamo parlando dell’a.a. 1992/1993, quando ho iniziato a frequentare la Scuola di Paleografia e Filologia Musicale dell’Università degli Studi di Pavia: dapprima con i corsi di paleografia latina, in seguito con quelli di esegesi delle fonti manoscritte. Il mio interesse per la scrittura e la sua attribuzione hanno trovato un primo e diretto riscontro nell’analisi del carteggio conservato agli Archivi Nazionali di Parigi riguardante Luigi Cherubini e la composizione del testo musicale e letterario di Anacréon ou l’Amour Fugitif, un opéra-ballet del 1803.

Ovviamente, una cosa è attribuire varianti e lezioni al librettista o al compositore; una cosa è identificare la mano di un soggetto che è chiamato a rispondere penalmente o civilmente delle azioni perpetrate tramite la manoscrittura.

L’approccio e il rigore metodologico e tecnico sono identici ma le ripercussioni sono ben diverse: nel primo caso potrà uscire un bell’articolo su una rivista specialistica se non addirittura una monografia; nel secondo è in gioco la libertà personale o interessi di tipo patrimoniale.

Comunque, grazie a queste competenze, sono stato scelto per svolgere il servizio militare come Ufficiale di complemento dell’Arma dei Carabinieri, e subito impiegato al Centro CC Investigazioni Scientifiche di Roma (poi divenuto RIS). La possibilità di coniugare la ricerca con l’utilità sociale del lavoro identificativo, mi hanno fatto abbandonare il progetto di carriera universitaria e decidere di continuare a prestare servizio nell’Arma dei Carabinieri.

La comparazione grafica è il mezzo grazie al quale è possibile attribuire, in termini positivi o negativi, una scrittura al soggetto che le investigazioni o il contesto documentale hanno fatto emergere come possibile autore. Si tratta, quindi, di un’identificazione non assoluta, ma relativa: è necessario disporre di un campione della grafia del soggetto affinché si possa tecnicamente accertare se sia o non sia colui che ha manoscritto il testo oggetto di interesse giudiziario. Per farlo, è necessario disporre di materiale grafico omogeneo in termini qualitativi (stile, materiali scrittori, etc.) e temporali (requisito della coevità) affinché il responso sia non solo tecnicamente corretto ma anche corrispondente alla verità che il quesito peritale intende appurare.

Può spiegarci, in base alla sua esperienza, quali sono gli errori più frequenti commessi nelle comparazioni grafiche?

Gli errori sono molteplici. Tra questi, quello più diffuso e pericoloso è far discendere direttamente un giudizio di identificazione positiva dalla corrispondenza estetico-formale di caratteristiche grafiche comuni e, per converso, esprimere un giudizio di esclusione di paternità sulla base della mera divergenza estetica e formale della scrittura in verifica da quella naturale e spontanea del presunto autore. Un giudizio d’identificazione positiva, invece, deve scaturire dall’esclusione dell’eventualità che le corrispondenze siano dovute all’eterogenesi (diffusione di caratteristiche di scrittura tra più soggetti nell’ambito della popolazione scrivente di riferimento) o il prodotto di una simulazione. Anche il giudizio di eterografia deve discendere dall’esclusione delle ipotesi concorrenti che, in questo caso sono: dissimulazione e invenzione grafica.

È l’apprezzamento della rarità e della complessità nelle modalità gestuali di realizzazione delle caratteristiche grafiche che deve essere alla base di ogni convincimento peritale. Tutto ciò con una premessa: non tutto è identificabile e non tutto può portare a giudizi estremi di giudizio. L’altro errore frequente, infatti, è quello di esprimersi in termini perentori, indipendentemente dalla consistenza del tracciato grafico da verificare e delle sue (solo sue!) possibilità di essere ricondotto al suo autore. Chi è chiamato ad esprimersi deve considerare la possibilità che, per carenza di elementi efficaci ai fini identificativi, il tracciato non possa essere attribuito. L’inconclusività dell’accertamento è un’ipotesi ben presente in tutta la letteratura scientifica e un’eventualità frequente nell’identificazione di tracciati grafici, specie nelle sigle, ma difficilmente i periti o consulenti si esprimono in tali termini per timore di essere considerati meno bravi. E in effetti, ci sarà sempre qualcuno che, per incapacità, presunzione o interesse, “accontenterà” il cliente, pubblico o privato che sia. Ciò crea, inevitabilmente, una spirale verso il basso, produttiva di effetti negativi sia sulla disciplina in sé, sia sui malcapitati che ne subiscono le conseguenze penali o civili.

Qual è il suo piano di lavoro quando si trova ad esperire una consulenza grafica?

L’indagine grafica volta all’identificazione dell’autore materiale di uno scritto, è un processo discriminativo teso a studiare l’evidenza fisica degli abiti grafici attraverso:

  1. la preliminare verifica della

    natura fisica del tracciato (discriminazione tra scrittura meccanica o manuale),

    – rispondenza della scrittura ai requisiti d’identificabilità;

  2. il rilevamento e l’analisi degli elementi distintivi delle grafie a confronto;

  3. la comparazione degli elementi distintivi;

  4. la valutazione dei dati emersi all’esito dell’analisi diretta e confrontuale.

Quindi, con riferimento a tutti i processi di ricerca scientifica, ritengo che non si possa procedere che attraverso le seguenti fasi:

  1. enunciazione delle ipotesi a priori (autografia naturale e spontanea, simulazione, dissimulazione, invenzione, etc.);

  2. discriminazione preliminare delle ipotesi ritenute superflue rispetto alla natura del documento e al quadro estetico emergente da una verifica preliminare;

  3. individuazione del metodo della ricerca al fine di discriminare le ipotesi ritenute possibili nel caso in esame (se l’ipotesi emergente come possibile è l’autografia, per esempio, devo ricercare elementi identificativi del procedimento di imitazione);

  4. raccolta dei dati della grafia in verifica X;

  5. raccolta dei dati della grafia in comparazione C;

  6. confronto dei dati X – C;

  7. valutazione delle ipotesi a priori alla luce dei risultati comparativi;

  8. bilanciamento delle probabilità di autografia/eterografia in relazione alle ipotesi subordinate;

  9. formulazione della risposta al quesito.

Nell’ambito dei casi effettuati in questi anni, può farci una classifica delle tipologie di reati in cui è stato incaricato come consulente e perito?

La casistica è molto ampia se si considera la tipologia dei documenti che ho avuto modo di verificare: documenti d’identità italiani ed esteri, scritture private, contratti, assegni, testamenti, dipinti, etc. Il primo posto della mia personale classifica è occupato dagli assegni che condividono la posizione con le scritture private. I reati, invece, sono sempre legati alla falsità materiale o all’uso di atto falso. Poi ci sono le “mode” e, tra queste, ormai da qualche anno, parallelamente all’affermarsi della tecnica della profilometria laser che ha permesso di risolvere inequivocabilmente l’ordine di apposizioni di tracciati in incrocio, c’è stata l’impennata delle ipotesi di reato concernenti l’abuso di un foglio firmato in bianco. A questa possibilità di contestazione, spesso si ricorre anche in modo strumentale e al fine di procrastinare le decisioni del Giudice, nel momento in cui la manoscrittura contestata è stata dichiarata autografa.

Patrizia Belloni

Omicidio con enigma grafico. Un caso giudiziario in cui le indagini grafo-grafologiche sono risultate decisive.

Era stato freddato sull’uscio di casa attorno alle ore 23:00, l’aveva stabilito il medico legale, eppure la telefonata alla caserma dei carabinieri per denunciare il rinvenimento del cadavere era arrivata solamente alle 7,00 del mattino seguente. Due colpi di fucile, uno caricato a pallettoni gli aveva perforato lo stomaco e l’altro caricato a palla asciutta, un pezzo di piombo del peso di 35 grammi, gli aveva spezzato il polso prima di conficcarsi nella porta dell’abitazione. In casa viveva da solo ma intorno vi erano diverse abitazioni, ma nonostante le distanze estremamente ridotte tra gli edifici, nessuno quella notte aveva udito il rumore assordante degli spari. Senza testimoni le speranze di risalire all’autore dell’omicidio sembravano alquanto scarse e notoriamente la gente del posto non era solita collaborare con le forze di polizia. Le indagini si concentrarono come accade usualmente in questi casi sulla persona della vittima. Un uomo di 35 anni, di professione geometra, separato dalla moglie da un paio d’ anni che viveva da solo in condizioni economiche di modestissimo livello, incensurato. I familiari più stretti vivevano a circa 100 chilometri di distanza. I vicini di casa lo descrivevano come una persona riservata di poche parole.

In apparenza senza nemici, eppure qualcuno che verosimilmente conosceva l’aveva ucciso con inaudita violenza sparandogli a distanza ravvicinata senza lasciargli via di fuga. Una vera e propria esecuzione dietro la quale si poteva ragionevolmente ipotizzare una vendetta o un regolamento di conti. L’abitazione, gli indumenti ed ogni effetto personale della vittima vennero passati al setaccio per raccogliere quanti più elementi di informazione. Ogni documento o lettera rinvenuti furono esaminati e riesaminati più volte per scoprire amicizie, inimicizie e contatti. All’ennesima rilettura del materiale cartaceo ci si accorse che alcune lettere erano manoscritte ma il linguaggio usato non era l’italiano ne altri idiomi conosciuti e perciò la scrittura non era comprensibile.

Segni grafici privi di significato vergati su di un foglietto in cui compariva la scritta in corsivo “Zmifs poi do zehsddi zn einodi hiedi”. La calligrafia però era diversa da quella riportata su altri fogli pure rinvenuti nel cassetto dello scrittoio collocato nella camera da letto dove una simile scrittura risultava annotata su un piccolo foglio di block notes a quadretti “Ezfi hcldczns do zmi”. Non c’erano dubbi si trattava di un codice ma bisognava trovare la chiave di lettura per capirne il significato e perché si volesse mantenerlo celato. Un segreto che la vittima ed almeno un’altra persona conoscevano visto che i due foglietti sembravano scritti da mani diverse.

La località dove abitava la vittima era una frazione abbastanza isolata sita a circa 700 metri di altitudine con una cinquantina di residenti dove era praticamente impossibile che non venisse notato l’arrivo di un forestiero come altamente improbabile appariva che nottetempo la vittima avesse aperto la porta di casa ad uno sconosciuto. Qualcosa aveva turbato la tranquilla vita degli abitanti di quella frazione ma non c’era la volontà di svelare agli estranei quali erano considerati gli investigatori alcunché. Vennero ascoltati uno ad uno tutti gli abitanti della frazione e presto si capì che un amore clandestino era la ragione del codice al quale facevano ricorso i due amanti.

Infatti dopo vari tentativi si riuscì a trovare la chiave di lettura, quasi banale nella sua semplicità, le lettere usate rappresentavano l’alfabeto italiano al contrario ovvero dove c’era la “Z” si doveva leggere “A” al posto della lettera “V” si doveva leggere la lettera “B” e così via. Sul primo foglietto c’era scritto “Amore mio ti aspetto al solito posto” mentre sull’altro c’era scritto “Sarò puntuale ti amo”. Attraverso l’esame dei saggi calligrafici raccolti con vari stratagemmi si individuò la presunta amante della vittima sul conto della quale a seguito di approfonditi accertamenti emerse che spesso si recava a trovare la sorella che abitava in un comune distante dalla frazione poco meno di ottanta chilometri. La nota gelosia del marito che aveva la disponibilità di due fucili indusse gli inquirenti a effettuare un’ispezione delle armi e ad eseguire il prelievo a mezzo “stub” dei possibili residui della deflagrazione dei colpi d’arma da fuoco sul corpo del coniuge che vennero confermati dall’esame al microscopio elettronico a scansione. Particelle ternarie di piombo, bario e antimonio risultarono presenti sugli indumenti, sulle mani e sul volto. Il cerchio si era chiuso la vittima era stata uccisa dal vicino di casa conoscente da vecchia da data con il quale si frequentavano da tempo e per il quale la moglie aveva preso una sbandata, un tradimento vendicato con il sangue. La moglie messa alle strette e rassicurata che il marito non avrebbe potuto farle più alcun male finalmente rese la confessione liberatoria di quanto accaduto quella notte. Il caso in questione rappresenta un tipico esempio di come gli investigatori possano trarre importantissime indicazioni dalle conoscenze grafico-grafologiche per indirizzare nel verso giusto le indagine soprattutto quando il fattore tempo risulta determinante per acquisire prove che altrimenti potrebbero disperdersi. E’ notorio tra gli addetti ai lavori che il prelievo a mezzo dello “stub” sul corpo del sospettato debba essere eseguito nel giro di poche ore dall’impiego delle armi da fuoco.

Roberto Colasanti

L’impronta della scrittura

René Le Senne nasce a Elbeuf in Francia, nel 1882, professore di filosofia alla Sorbona, è noto soprattutto per il suo trattato di caratterologia, ovvero una branca della psicologia che ha per oggetto lo studio del carattere, che si propone come obiettivo l’applicazione di metodi e mezzi oggettivi per una accurata indagine.

Vista la grande variabilità del genere umano, cerca di stabilirne le costanti generali.

Le Senne prende in considerazione solo quattro fattori che fanno parte del carattere di ciascuno di noi.

L’emotività, l’attività, la risonanza delle proprie emozioni, ed infine l’ampiezza del campo di coscienza.

In base alle svariate combinazioni di queste proprietà Le Senne distingue otto caratteri fondamentali: il nervoso, sentimentale, collerico, passionale, sanguigno, flemmatico non emotivo attivo, amorfo, flemmatico non emotivo non attivo.

Questo studio si è rivelato direi fondamentale per le applicazioni grafologiche, per la sua elevata comprensibilità, oggi è tra le tipologie più usate specialmente dai grafologi francesi e spagnoli.

La parola carattere deriva dal greco e significa impronta, quindi quando scriviamo lasciamo la nostra, e da lì si parte per intraprendere uno studio circa le caratteristiche di una scrittura su basi oggettive, per giungere alla personalità del soggetto in questione.

Le Senne insegna che non si può distinguere una scrittura maschile da quella femminile senza essere a conoscenza del sesso dello scrivente, tanto meno esiste la scrittura dello stupratore seriale piuttosto che del rapinatore, o spacciatore, etc.

Ci sono delle scritture che lasciano una certa impronta ed attraverso uno studio molto accurato ed anche una valutazione delle patologie latenti, che emergono dalla scrittura, possono fornire un orientamento che però come tale rimane.

A tal proposito, per tornare a Le Senne, si afferma il principio che ci sono molti uomini facenti parte della “tipologia” sentimentale e ciò comporta un certo tipo di scrittura, più morbida e accogliente, che emana sentimento e calore. Mentre ci sono donne che appartengono alla “tipologia” collerico, ( lo dice la parola stessa) e la scrittura sarà ovviamente opposta.

In grafologia, come nella vita nulla è scontato, sfatiamo il mito che la scrittura armoniosa, dalla forma rotonda, morbida , che si snoda come un nastro di seta sul rigo faccia parte del genere femminile, mentre quella rigida, angolosa, dall’apparenza aggressiva del genere maschile, a volte è proprio il contrario.

Vi mostro alcuni esempi per dimostrare che è impossibile stabilire il “sesso” della scrittura

SCRITTURA DONNA

SCRITTURA UOMO

La grafologia è una scienza umana, basata sullo studio delle persone attraverso la scrittura, seguendo un percorso psicologico ma anche scientifico, vedasi i temperamenti ippocratici e le ricerche del neurologo Pophal attraverso i vari stadi di tensione e distensione del gesto grafico.

In quanto “umana” è possibile considerare, anche un margine di errore, per questo e tanti altri motivi si devono analizzare bene tutte le caratteristiche di una scrittura e non spettacolarizzare a tutti i costi una professione così impegnativa.

E’ da ritenersi nociva una errata informazione, a livello mediatico, da parte di sedicenti grafologi, che amano andare in televisione affermando concetti del tutto errati, fuorviando l’utente che non conosce questa professione, facendo passare un messaggio quasi di “stregoneria”!

Sicuramente non biasimo chi non conosce la grafologia, il suo significato e di quanto studio e dedizione ci sia per arrivare a tracciare un profilo psicologico avendo a disposizione poche righe di scrittura, o, per quanto riguarda la perizia giudiziaria “ soltanto” una firma.

Ciò che stupisce sono gli “addetti ai lavori o i presunti tali, che in questo modo calpestano o screditano la professione, offendendo la categoria e chi osserva scrupolosamente il codice deontologico, rinunciando, a volte, ad un incarico a favore della chiarezza.

Patrizia Belloni

Le indagini grafico grafologiche nella ricerca della verità

L’indagine grafica mira a determinare attraverso il ricorso alle strumentazioni tecniche ed alle conoscenze scientifiche se le scritture oggetto dell’esame siano riconducibili al medesimo autore.

Tra i metodi più seguiti dai consulenti grafico-grafologi vi è quello conosciuto con il termine grafonomico che consente di analizzare la scrittura nel suo aspetto dinamico ovvero nel momento elaborativo dei vari segni grafici.

Il padre della grafonomica in Italia è stato il professore Salvatore Ottolenghi, medico legale (1861-1934) fondatore della Scuola di Polizia scientifica italiana che intese applicare al campo delle scritture il metodo già utilizzato negli altri settori degli accertamenti di Polizia Giudiziaria basato sull’applicazione dei principi del segnalamento descrittivo alle indagini grafiche” in quanto, come egli stesso scriveva “ogni processo di identificazione è in fondo un’operazione di confronto, di paragone. Esso consiste in quattro operazioni…osservazione, rilievo o segnalazione dei caratteri, confronto dei caratteri stessi, giudizio di identità”. La bontà del metodo scientifico teorizzato dal Prof. Ottolenghi ed applicato tuttora dalla Polizia scientifica ha trovato il suo riconoscimento in campo internazionale nel 1982 in Olanda a Nijmegen, nel corso del primo “International Workshop on Handwriting Movement Analysis”: in cui venne utilizzato il termine “Graphonomics”.

In ambito internazionale con il suddetto termine “Graphonomics” plurale del termine italiano Grafonomia si vuole evidenziare il coinvolgimento di più discipline nello studio delle scritture nelle loro diverse tipologie.

L’investigatore – nel senso più estensivo del termine – volendo comprendere in tale categoria i pubblici ministeri, la polizia giudiziaria, gli avvocati con i loro sostituti e i privati appositamente autorizzati ad espletare attività investigativa è bene pertanto che conoscano i limiti e le possibilità delle indagine grafico-grafologiche al fine di indirizzare la ricerca della verità.

Chi ha esperienza di investigazioni soprattutto nell’ambito del diritto penale è consapevole che l’identificazione degli autori del reato avviene spesso attraverso la composizione di un puzzle in cui lo sforzo principale è quello di raccogliere quanti più elementi di informazione possibile per giungere a completare il quadro d’insieme e avere una chiara visione dell’azione delittuosa e l’identità del colpevole.

Ogni elemento acquisito nel corso dell’indagine andrà esaminato e valutato unitamente ad altri indizi in modo che gli ulteriori accertamenti investigativi possano essere orientati nella giusta direzione.

Una scrittura pubblica o privata o semplicemente una firma possono costituire la tessera di partenza del puzzle che andrà completato cercando di trovare le tessere mancanti nel tempo più breve possibile.

In questa attività di ricerca un ruolo fondamentale sarà ricoperto dal consulente grafico grafologo che nella sua indagine dovrà confrontarsi con due comportamenti tipici nella falsificazione della grafia: l’imitazione e la dissimulazione.

Tentare di riprodurre la scrittura di un’altra persona nella maniera più fedele possibile non è affatto facile ma l’abilità del bravo falsario è tutt’altro che da sottovalutare.

All’opposto con la dissimulazione la persona vuole evitare che la scrittura lasciata possa divenire una traccia grafica di identificazione ed allora lo sforzo sarà quello di modificare il proprio gesto scrittorio privandolo per quanto possibile di quelle particolarità identificative.

L’esperienza maturata sul campo con l’esame di molteplici casi e tipologie di scritture costituisce un bagaglio conoscitivo di sicuro affidamento per la valutazione del nuovo caso e del manoscritto.

Fondamentalmente, l’esperto o consulente grafico dovrà capire se due scritti siano stati generati dalla stessa mano. Un lavoro di confronto che non potrà limitarsi agli aspetti morfologici dei manoscritti redatti, ma in particolare a quelli dinamici, strettamente legati al movimento spontaneo e naturale della mano. Infatti è possibile riconoscere l’autografia o l’eterografia di due scritti, anche nei casi d’imitazione e di dissimulazione, in quanto sopravvivono comunque alcuni movimenti automatizzati, individualizzati e incontrollabili.

Per scoprire una falsificazione, il consulente dovrà individuare nello scritto in esame i punti in cui riemerge la spontaneità grafica del falsario che soprattutto in elaborati grafici di maggiore estensione può incorrere più facilmente in errori nell’azione di falsificazione.

In pratica il consulente grafico grafologo si trova ad affrontare una casistica assai eterogenea e complessa, a titolo esemplificativo ma non esaustivo si possono indicare:

a) la sospetta falsità di firme apposte su assegni, cambiali, contratti e fideiussioni con ripercussioni di carattere penale in relazione al delitto di truffa;

b) l’attribuzione o meno delle disposizioni testamentarie al “de cuius” con conseguente impugnazione del testamento;

c) la simulazione di un suicidio e il ritrovamento di uno scritto falsamente realizzato per motivare il gesto della vittima al fine di sviare le indagini dal compiuto omicidio;

d) i manoscritti anonimi o apocrifi con contenuti: minatori, diffamatori, calunniatori, estorsivi.

L’indagine grafico-grafologica, costituisce quindi sin dall’avvio dell’attività investigativa un valido ausilio nella ricerca della verità in grado di ottimizzare gli sforzi delle parti in causa, sia nel settore penale sia in quello civile. Inoltre basandosi su atti ripetibili non potranno pregiudicare in alcun modo le successive attività peritali sulle quali poi il giudice costruirà il proprio convincimento.

Dr. Roberto Colasanti

Criminalista

Ufficiale Superiore Arma dei Carabinieri

Il valore scientifico della grafologia

Molto spesso, durante un processo, gli avvocati di parte e l’autorità giudiziaria interpellano un grafologo ai fini della “ricerca della verità” quantomeno a livello processuale. Il referto grafologico assume un particolare rilievo nelle controversie civilistiche, ove l’eventuale apocrifia di uno scritto può inficiare la validità di un atto oppure di un contratto, ma anche in ambito penale con riferimento ad una vasta gamma di reati. Al contempo il grafologo viene chiamato a fornire consulenza in altri ambiti sociali quali, ad esempio, la consulenza aziendale, la pedagogia (grafologia dell’età evolutiva) e l’analisi della personalità (psicologia della scrittura).
Il grafologo professionista, negli ultimi tempi, trova spazio anche in programmi televisivi di tipo giornalistico ove capita di assistere al rilascio di responsi psicologici e/o criminologici sulla scorta di qualche rigo. Di conseguenza, se da un lato la grafologia risulta senz’altro affascinante dall’altro lato può dar luogo ad una serie di interrogativi in ordine alla sua rilevanza scientifica. Così, la lettura di un profilo grafologico accostato ad una scrittura, in mancanza dell’esposizione di un iter logico e analitico può far sorgere dei dubbi sulla valenza della scienza grafologica. La spettacolarizzazione di certo non giova all’affermazione della grafologia in una accezione di tipo scientifico.
In questo “Magazine” appare, quindi, doveroso soffermarsi sul valore scientifico della grafologia. Si tratta di una scienza umana in quanto attiene una manifestazione dell’uomo che è l’unico animale che utilizza i segni e i simboli per esprimersi. Possiamo parlare di scienza in quanto si basa su un metodo razionale e su un iter logico ben definito per l’analisi della grafia. Possiamo evidenziare, anche se per gli addetti ai lavori si tratta di affermazioni superflue, che il “risultato finale” rappresentato dalla consulenza grafologica è il risultato di studi e di specifiche competenze professionali.
Sull’argomento si è espresso anche il prof. Umberto Veronesi sul settimanale “Oggi” del 4 agosto 2004. In una intervista avente ad oggetto la grafologia, l’autorevole esponente della comunità scientifica non lascia spazio ad interpretazioni affermando “io credo che la grafologia abbia senz’altro un carattere scientifico, ma che entri nella categoria delle pseudoscienze quando se ne fa un uso banale e approssimativo, un po’ come succede per la psicologia quando viene ridotta in pillole per i quiz psicologici pubblicati sui giornali. Se invece viene usata in modo corretto, e integrata con altre discipline (psicologia e psicanalisi, ma anche fisiologia e neuroscienze), la grafologia è un metodo scientifico, che può aiutare a conoscere meglio le persone” (estratto da “Oggi” 04.08.2004).
Anche l’art. 2 del codice deontologico europeo afferma che “La Grafologia, scienza umana e tecnica d’osservazione e d’interpretazione, permette l’indagine sugli aspetti cognitivo-temperamentali per mezzo dell’analisi della scrittura.”
Si può, quindi, affermare che il grafologo trovi spazio nei contesti sopra menzionati in quanto professionista serio consapevole del proprio ruolo e della validità del metodo scientifico su cui poggia la propria attività. Si invita il pubblico a voler considerare la grafologia al di là delle esigenze mediatiche e delle semplificazioni tenendo presente le basi su cui poggia e gli ambiti di applicazione.

D’altra parte uno degli obiettivi di “Grafologia Magazine” dichiarato sin dal primo numero è la divulgazione del sapere grafologico e delle sue applicazioni.

Gabriele Colasanti

Tratti salienti della scrittura di Martina Levato

Quando il grafologo si trova ad analizzare una scrittura, una delle prime osservazioni, senza entrare subito nello specifico, è quella di rilevare se la scrittura si sviluppi in modo orizzontale o verticale, oppure, e sarebbe auspicabile per il soggetto che entrambi gli assi fossero in equilibrio tra loro. La scrittura verticale o orizzontale, è data dagli allunghi o meno dalle aste o gambe delle lettere destinate ad innalzarsi o a discendere, per esempio, la t, d, l, ed a discendere le gambe della lettera g,q, p. Se in uno scritto non ci sono segni di verticalità , in quanto non ci sono allunghi significativi, ci troviamo di fronte ad una scrittura totalmente orizzontale. E’ una metafora che vuole evidenziare l’evoluzione psicologica del soggetto, paragonandola all’evoluzione posturale di un neonato. Esso vive i primi mesi in una posizione orizzontale, poi man mano viene a contatto con il mondo esterno, iniziando ad assumere una posizione eretta, quindi verticale, e sarà proprio in quel momento che rivendicherà la sua indipendenza ed autonomia.

Nelle scritture orizzontali, “orali” per Freud, come in questo caso, ci troviamo di fronte ad un soggetto che non è riuscito, dal punto di vista psicologico ad evolversi, a stare “sulle proprie gambe”. Ha mantenuto una posizione orizzontale, quindi di dipendenza verso il prossimo proprio come un bambino appena nato dipendente dalla mamma per soddisfare le proprie esigenze nutrizionali ed affettive. Una scrittura con determinate caratteristiche, esprime una difficoltà sul piano affettivo-relazionale,v’è una continua ricerca di protezione, affetto, desiderio di colmare un vuoto affettivo.

Questi brevi cenni  precedono l’analisi  che ho potuto fare dei tratti salienti della scrittura della Levato, quelli che sono emersi dalla pubblicazione  su internet di uno stralcio di lettera.

scrittura levato

Analisi

In un insieme monotono e meccanizzato, la scrittura rigida diventa problematica, emerge una personalità fragile, si reprime ed alle volte possono verificarsi comportamenti imprevedibili. Gli addossamenti (cerchiati) rivelano una componente infantile, un modo per proteggersi dalla propria inquietudine, dall’ansia, e denotano tendenze contrarie, ambivalenza. Questa scrittura manca di libertà, tutto è scandito, misurato, indice di una educazione repressiva, si coglie una scarsa flessibilità di giudizio e comportamento che possono, a volte, dar luogo ad atteggiamenti enfatici. La scrivente accentra ogni interesse su di se, vive un narcisismo che preclude ogni slancio affettivo verso il prossimo, ha interessi limitati e concernono essenzialmente la sua persona. La scrittura di tipo orale è sintomatica di un certo malessere interiore, si richiede affetto ed attenzioni, quelle che probabilmente sono mancate nella fase più importante nella vita di ogni essere umano.

Patrizia Belloni

Meccanismi di difesa

Mi ricollego all’articolo del numero di Agosto “spunti di riflessione sul percorso evolutivo”, dove ho parlato, ricorderete, della casa in costruzione e mi sono soffermata in modo particolare sulla soffitta, luogo dei ricordi e dei sogni, ma anche del futuro e dove tutto è possibile. Lì ci è consentito, anche, di azionare un’attività del tutto inconscia, inconsapevole, scevra da qualsiasi forma di opportunismo o manipolazione. Si tratta del c.d. meccanismo di difesa, di cui si serve la nostra mente (soffitta) per proteggersi durante la lotta, affinché non sia impari, fra ciò che è giusto e quello che non lo è.

I meccanismi di difesa sono indispensabili per difendere e salvaguardare la nostra psiche, sono molteplici ed ognuno di noi ne adotta uno a seconda delle circostanze.

Citerò  quelli più utilizzati, gli altri verranno menzionati nei prossimi numeri di  “Grafologia Magazine.”

La “Rimozione”, si rimuove, si cancella un episodio, un evento doloroso, un trauma subito o procurato, anche da bambini, per impedire il suo accesso nella nostra coscienza. Tutti più o meno ne facciamo ricorso.

“L’identificazione”, incorporazione e introiezione di una caratteristica di un soggetto al fine di assimilarla e di farne un modello a cui ispirarsi.

La “Razionalizzazione”, spiegare, giustificare razionalmente dei nostri comportamenti affettivi a posteriori, ad esempio: se ci comportiamo in modo scorretto con un amico o comunque con una persona a noi vicina affettivamente, per non alimentare i nostri sensi di colpa, quindi per giustificare l’atto, diremo sicuramente che se lo è meritato, trovando le più disparate motivazioni.

La “Negazione” che si differenzia dalla rimozione in quanto non si nega il fatto di per sé ma il suo significato, ad esempio: in occasione di un subito torto o di un tradimento, da parte di un amico, un compagno di vita, si ricorre a questo meccanismo per giustificare il comportamento che arreca frustrazione e delusione ricollegandolo a un condizionamento da soggetti terzi o dagli eventi piuttosto che ammettere la mancanza della persona nella quale era stata risposta fiducia.

Attraverso lo studio della scrittura il grafologo può sicuramente individuare che “tipo” di difesa ha azionato il soggetto di cui si sta analizzando lo scritto. Anche per questo motivo psicologi e psicoterapeuti sovente si rivolgono al grafologo al fine di essere coadiuvati in un progetto di psicoanalisi che a volte una persona intraprende per svariati motivi. Inevitabilmente, appena ci si trova di fronte allo psicoterapeuta, la mente innesca la difesa, non ci si sente a proprio agio, l’ansia prende il sopravvento e spesso la seduta non riesce. Attraverso la scrittura si abbatte questo primo ostacolo e si rende il percorso meno difficoltoso, sia per il paziente che per il terapeuta.

Patrizia Belloni

Spunti di riflessione sul percorso evolutivo

L’unicità e la grandezza di Sigmund Freud consisteva nella sua innata capacità, di esprimere concetti di una elevata complessità, con esempi pratici ed una terminologia accessibile a tutti. Immaginate una casa in costruzione, forse la casa dei vostri sogni, quindi stabile, duratura, che vi dia garanzie di integrità, ebbene, la formazione della personalità di ogni essere umano Freud la paragonava proprio ad una casa in costruzione. casetta

Naturalmente si inizia dalle “fondamenta”, che devono essere forti e stabili, dove si ergerà la costruzione, su un terreno orizzontale, esattamente come la posizione del neonato, quindi parliamo di fase orale ( da 0 ad 1 anno). Poi è la volta dei muri, il corpo della casa inizia a prendere forma, ed è verticale, proprio come la posizione del bambino quando inizia a camminare. Verso i dodici-tredici mesi, infatti, inizia ad esplorare un mondo nuovo, prende contatto con tutto ciò che lo circonda, percepisce una realtà del tutto nuova rispetto a prima. Via via arriviamo alla soffitta, contiene i nostri ricordi, foto, giocattoli, la culla di legno con il tulle ed il vecchio cavalluccio a dondolo, è il luogo dove i bambini si rifugiano volentieri, il loro nascondiglio segreto, dove giocano ai pirati, ed il vecchio baule della nonna diventa un prezioso forziere. Un luogo colmo di ricordi ma anche di sogni e con tutto ciò che è possibile, quindi il futuro, la meta da raggiungere. Per ultimo, il tetto, di solito ha la forma di un triangolo (edipico) , papà, bimbo, mamma, che oltre ad avere una funzione estetica, di completamento, infatti rende la casa più bella ed armoniosa, ma conferisce soprattutto unità , un completamento all’insieme. Quindi se il tetto sarà solido, equivale alla risoluzione del complesso di Edipo, ed è un elemento basilare nella formazione della personalità di ciascun essere umano, in caso contrario, creerà non pochi problemi nella fase adolescenziale.

Ho fatto questa premessa perché di recente gli organi di stampa hanno portato all’attenzione dell’opinione pubblica vicende giudiziarie dove i bambini sono tristemente i protagonisti in quanto sottratti alla responsabilità genitoriale oppure oggetto di un contenzioso sull’affidamento.

Talvolta si inorridisce di fronte alla superficialità di alcuni “opinionisti”, persino uomini di Chiesa, si sono lasciati sedurre dalla ribalta mediatica, rilasciando dichiarazioni che non trasmettono nulla di positivo, messaggi del tutto sbagliati, che potrebbero alimentare anche lo spirito di emulazione, di persone già disturbate. C’è una corrente di pensiero che ritiene giusto usare un bambino come “mezzo” rieducativo a carattere sperimentale nei confronti dei genitori e non viceversa, lo trovo davvero ingiusto. Allora mi chiedo, tutto ciò nasce da una patologia che si chiama “delirio di onnipotenza”, dove si ha la convinzione, errata, che tutto sia possibile per loro, oppure una mera strumentalizzazione? Possibile che non si arrivi a pensare che per formare gli uomini di domani c’è bisogno di stabilità, di fondamenta solide per poter costruire il loro futuro? Sono molti i bambini violati, usati, a volte purtroppo uccisi proprio dalle persone di cui più si fidavano, allora, ci si domanda per quale motivo i saccenti che si fanno intervistare in televisione non riflettano su questo aspetto. Si pensava, di dover tutelare le vittime, non i carnefici, e le vittime purtroppo saranno sempre i bambini, esseri indifesi che sovente hanno la sfortuna di essere concepiti da persone malvagie, non idonee alla “costruzione” di una nuova vita. Potrebbero sembrare delle riflessioni ovvie, infatti, sono stata piuttosto indecisa se pubblicare o meno questo articolo. E’ scontato che ad un bambino necessiti una situazione familiare serena, con genitori che sappiano trasmettere dei valori, dei sani principi, il rispetto per il prossimo, educarlo alla non violenza, ed alla non sopraffazione. Un bimbo appena nato è come una “spugna”, assorbe tutto  e memorizza  odori, sensazioni, l’amore che gli viene trasmesso, e man mano che cresce tutto ciò verrà riproposto, ai genitori ma anche alla società, sotto forma di comportamenti più o meno idonei, di serenità, di socievolezza verso i coetanei, di allegria e dalla voglia di condivisione, ma soprattutto fiducia nel prossimo e verso un mondo da esplorare. Soltanto dopo qualche anno, quando sarà in grado, verso i tre anni, di tenere in mano matite e colori, attraverso i primi scarabocchi, gli esperti della psicologia nell’età evolutiva saranno in grado di valutare il percorso intrapreso.

Patrizia Belloni

Analisi dello scarabocchio

Attraverso lo scarabocchio il bambino manda una serie di messaggi che occorre imparare ad osservare per dare loro un giusto valore nell’interpretazione. L’analisi grafologica dello scarabocchio e del disegno infantile non può prescindere dall’osservare l’impugnatura, lo spazio, il punto di partenza, il tratto, la pressione, la forma

IMPUGNATURA: sciolta o rigida.

Non sempre è possibile, ma sarebbe auspicabile, osservare il bambino mentre disegna. L’impugnatura sciolta è indice di un movimento libero e rilassato. L’impugnatura rigida è indice di una forte tensione muscolare, dovuta a cause di diversa natura, sia psicologiche che organiche.

SPAZIO: molto riempito, poco riempito.

Uno spazio molto riempito indica confidenza, espansione, apertura, ma uno spazio troppo riempito è indice di problematiche ansiogene. Lo spazio poco riempito mette in evidenza un bimbo timido, a volte chiuso e pauroso. Quando il bambino occupa tutto il foglio con un gesto tondo mette in luce un temperamento espansivo e socievole; se invece scarabocchia con angoli, spigoli, gesti non particolarmente ampi, denota una natura più chiusa, meno disponibile ad aprirsi con facilità nei rapporti con l’ambiente circostante.f.1-3

f. 1 scarabocchio 1

PUNTO DI PARTENZA SUL FOGLIO: centrale/periferica, destra/sinistra.

Se il bambino inizia lo scarabocchio dalla zona centrale del foglio mette in evidenza il benessere, la gioia di sentirsi al centro degli interessi dell’adulto, se inizia dalla periferia vi è in lui un senso di estraneità o inibizione nei confronti dell’ambiente esterno che frenano l’espansione dei suoi sentimenti. Privilegiare la destra o la sinistra indica, seguendo lo schema di Pulver, il desiderio di rimanere ancorato al grembo materno o la voglia di crescere ed andare verso il futuro. Fig. 2

scarabocchio 2

fig. 2

TRATTO : regolare, irregolare.

Il tratto regolare, cioè sicuro e scorrevole, indica la capacità di mettersi in contatto in modo spontaneo e immediato con gli altri perché il bambino si sente sicuro nei propri affetti; il tratto irregolare, cioè incerto e spezzettato, indica che il bambino teme il distacco dalla famiglia come pure l’incontro con l’altro. Le caratteristiche di pastosità più facilmente si accompagneranno al tratto regolare, ma non si deve escludere a priori che questo tratto possa essere nitido. Fig. 3

scarabocchio 3

Fig.3

PRESSIONE: appoggiata, leggera

Una pressione appoggiata indica la presenza di una buona carica vitale, ma se si evidenziano segni di inibizione o ristagni e ingrossamenti improvvisi, si deve ritenere che vi sia latente una forte aggressività che ha bisogno di essere scaricata attraverso attività adeguate. Una pressione leggera esprime caratteristiche di particolare sensibilità, ma se particolarmente fine o chiara rivela un atteggiamento di timidezza e inibizione. Fig.1-3

FORMA: cerchio, angolo, tratti puntiformi, linee spezzate, gomitolo.

Nel cerchio il bambino proietta la prima immagine conosciuta: il volto umano. Più tardi aggiungerà gli occhi, il naso, la bocca e così via, in modo che lo scarabocchio assume un significato espressivo oltre che simbolico. Il cerchio, più in generale, esprime la qualità dell’adattamento: il bambino che scarabocchia utilizzando in prevalenza il gesto curvo a direzione orizzontale manifesta una natura aperta e un desiderio di comunicare. Il movimento circolare dal tratto armonico e privo di tensioni riproduce simbolicamente il ‘girotondo’, un gioco che rappresenta per tutti una tappa fondamentale dello sviluppo sociale. Fig. 1

L’angolo esprime tensione e resistenza, ma anche bisogno di affetto, talvolta può indicare che qualcosa ha ferito il bambino. Lo scarabocchio angoloso indica inquietudine, ma può significare anche lotta sofferta per conquistare l’autonomia. La necessità di esperienze nuove, come la separazione temporanea dalla madre per andare all’asilo, magari in concomitanza con la nascita di un fratellino, può essere interpretata dal bambino come rifiuto o una diminuzione di affetto. In questo caso il bambino lancia il suo messaggio con un gesto stizzoso o addirittura rabbioso: l’importante è capire che con questo gesto grafico egli chiede appoggio, comprensione, protezione, conferme. Fig. 4

scarabocchio 4

fig. 4

La presenza nello scarabocchio di tratti puntiformi sparsi qua e là indica uno stato emotivo particolarmente sollecitato, in cui si affacciano ad intermittenza stati d’ansia dovuti spesso a paura dell’abbandono: il bambino teme che l’oggetto gratificante, soprattutto la mamma, scompaia e non possa più proteggerlo. Tuttavia nei bambini molto piccoli il tracciato puntiforme è dovuto alla difficoltà motoria di conduzione del pennarello o della matita. Fig. 4

Uno scarabocchio a forma di gomitolo,specie se la parte centrale è completamente annerita, indica un trauma, una paura di uscire: il bambino si è avvolto come nell’utero alla ricerca di protezione. Lo scarabocchio che viene riportato qui di seguito manifesta un accartocciamento come una predisposizione alla chiusura insieme ad un messaggio di aiuto ad uscire dal groviglio della sua esperienza. Fig. 5

scarabocchio 5

fig. 5

Infine è importante sottolineare che la verbalizzazione dello scarabocchio, unitamente all’intento rappresentativo e al perfezionamento delle forme, segna il passaggio verso un grafismo più maturo.

Elisabetta Agnoloni

I disturbi dell’attenzione in età scolare: un contributo grafologico

Troppo vivaci, disattenti, maleducati, svogliati: così vengono spesso definiti dagli insegnanti gli alunni il cui comportamento è caratterizzato da livelli di disattenzione elevati per l’età e non di rado associati ad impulsività ed iperattività. Questi comportamenti si manifestano con particolare frequenza a scuola, un ambiente in cui viene richiesta una elevata concentrazione per raggiungere un buon livello di apprendimento. Generalmente questi alunni non portano a termine i compiti scritti ; in particolari situazioni sembrano non seguire o addirittura non voler ascoltare chi parla e, se interrogati, forniscono risposte “ a vanvera” . Anche i rapporti sociali con i coetanei possono venire danneggiati, proprio a causa di queste difficoltà comunicative a cui talvolta si aggiunge uno scarso rispetto delle regole nei giochi e dei turni nelle varie attività scolastiche, e, più in generale, emergono comportamenti impulsivi di tipo egocentrico e quindi poco rispettoso dei diritti degli altri. Prevale la scelta di giochi non strutturati e l’impulsività può creare situazioni pericolose. Questi comportamenti evidenziano una bassa tolleranza alle frustrazioni, scarsa stima di sé che causano umore variabile accompagnato anche da esplosioni improvvise di collera.

In tempi recenti ricercatori nelle discipline mediche e psicologiche hanno individuato e diagnosticato, per alcuni casi specificamente definiti, in cui appaiono queste modalità di comportamento in maniera continuativa o eccessivamente frequente, un disturbo da deficit di attenzione e iperattività , diagnosi che per brevità viene denominata con la sigla DDAI o con l’acronimo inglese ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder). Psicologi e psicoterapeuti, neurologi e psichiatri hanno descritto, ciascuno per il proprio ambito disciplinare, le caratteristiche del disturbo, sulla base di indagini specifiche, allo scopo di evitare valutazioni approssimative e quindi soggette più facilmente ad errore. Numerosi studi hanno evidenziato che il fattore patogenetico fondamentale del disturbo può essere costituito da un deficit delle capacità di inibizione delle risposte impulsive mediate dalla corteccia frontale (Schachar e Logan 1990; Barkley 1997) con conseguente difficoltà di autocontrollo, non soltanto motorio, ma anche di elaborazione dei processi mentali che portano all’autoregolazione nell’esecuzione di un compito. E’ importante però sottolineare che la disattenzione, con o senza impulsività, nei bambini non è automaticamente segno di DDAI, anzi i casi di questo specifico evento sono sicuramente in numero molto limitato e comunque la diagnosi deve essere affidata a specialisti del settore.

Come grafologa dell’età evolutiva, mi sono particolarmente interessata al problema ed ho potuto constatare attraverso l’esame delle scritture di bambini con caratteristiche comportamentali di tipo DDAI, o similare, la presenza di un livello medio o medio-grave di disgrafia, ossia di una difficoltà evidente di scrivere producendo segni grafici corrispondenti al modello insegnato; in altre parole questi bambini o questi adolescenti scrivono in maniera poco chiara, talvolta quasi illeggibile, non rispettano le distanze spaziali tra le parole o tra le righe, i margini risultano irregolari, le singole lettere risultano malformate, talvolta troppo grandi o troppo piccole, con ammaccature e schiacciamenti, i segni curvi sono spesso sostituiti da angoli e la loro conduzione risulta faticosa con frequenti interruzioni o sovrapposizioni. Un esempio è la scrittura di M. qui di seguito riportata

disturbi attenzione

Quando scrive questo testo libero M. ha 11 anni, è al termine delle quinta elementare; il suo percorso scolastico è stato alquanto accidentato a causa dei suoi comportamenti aggressivi , sia con le parole che con i fatti, verso i compagni e anche verso gli insegnanti. Solo la sensibilità dell’insegnante di italiano ha permesso a M. di esprimere le sue qualità intellettive di notevole livello cercando di sostituire le prove scritte con quelle orali, evitando così al bambino la mortificazione di dover esporre le sue difficoltà nella scrittura. L’esame infatti della scrittura di M., eseguito con la scala di Ajuriaguerra per la disgrafia, denota un disturbo disgrafico piuttosto elevato. E’ chiaro che non spetta al grafologo fare diagnosi di DDAI, tuttavia dalla grafologia può arrivare un utile contributo sia per gli specialisti del settore, sia ai genitori e soprattutto per gli insegnanti che possono così evitare l’errore di considerare questi bambini e questi adolescenti come ‘svogliati’, ‘poco studiosi’, ’maleducati’, e indurli invece a cercare soluzioni didattiche adeguate.

Interessanti sono le osservazioni del dott. B. Favacchio, specialista in Psicopatologia dell’apprendimento, che nel suo articolo “La disgrafia”(in rivista ‘GRAFOLOGIA’ n. 29, a.2005, ed. CESGRAF) si esprime come segue: “ La ricerca italiana, esaminando la relazione tra DDAI e difficoltà nel controllo percettivo motorio in 150 bambini di scuola elementare, ha rilevato che i bambini con DDAI (…….) hanno prestazioni percettivo-motorie e di apprendimento significativamente peggiori dei gruppi di controllo, in special modo si nota scarsa coordinazione e difficoltà nel controllo ‘fine’ del movimento”. Vi è quindi la conferma che la disgrafia appare con notevole frequenza in associazione con il DDAI in cui l’equilibrio neuromotorio sembra essere deficitario e causare quindi difficoltà nel controllo dei movimenti necessari per scrivere per cui l’analisi grafologica consente di far emergere elementi specifici di conferma, quali una disarmonia complessiva, una difficoltà nel procedere della scrittura, una pressione variabile, una spazialità irregolare, forme diseguali e mal tratteggiate, un movimento poco fluido talvolta contratto talaltra poco controllato o troppo rilasciato e lento.

Vorrei comunque sottolineare ancora che i bambini disattenti e disgrafici non sono automaticamente affetti da sindrome DDAI, anzi spesso le cause sono di altro genere, come una lieve immaturità nello sviluppo psicoaffettivo o intellettivo, un disagio sociofamiliare , o altri motivi di ordine ambientale anche scolastico.

disturbi attenzione 2

La dimensione è molto grande rispetto all’età, ancora decisamente legata al modello scolastico (a 9 anni i bambini cercano già di personalizzare la propria scrittura, magari imitando quella degli adulti o di ragazzi più grandi…); la progressione è piuttosto lenta , il tratto e la pressione poco affermati. Questa scrittura evidenzia una immaturità che probabilmente rende la vita scolastica di F. piuttosto faticosa, con difficoltà a tenere a lungo la concentrazione e quindi ad essere spesso disattento; se richiamato si dimostra offeso e talvolta diventa permaloso e ha reazioni di stizza. L’analisi della scrittura con la scala di Ajuriaguerra permette di rilevare una disgrafia di medio livello, confermata anche dallo psicologo che segue F. da qualche mese su segnalazione dell’insegnante. La diagnosi della disgrafia in questo caso non porta affatto ad ipotizzare una diagnosi di DDAI, ma piuttosto verso la presenza di una lieve immaturità globale. Anche in questo caso il profilo grafologico di F., stilato dopo una attenta analisi di più scritture e disegni eseguiti in diversi periodi dal bambino, può favorire un adeguato intervento pedagogico a casa e a scuola.

Le considerazioni emerse dagli esempi esposti consentono di comprendere l’apporto che la grafologia è in grado di fornire nell’individuazione di possibili difficoltà comportamentali dei ragazzi nel periodo dell’età evolutiva, compresi i disturbi di attenzione con o senza iperattività. Ritengo perciò fondamentale che vengano superati i pregiudizi che tuttora gravano sulla disciplina grafologica per coglierne invece le concrete possibilità di applicazione anche in campo psicopedagogico. E’ proprio attraverso lo scambio di idee e di esperienze, in un rapporto di aperta e autentica collaborazione paritetica tra discipline, che si potrà realizzare l’acquisizione e la messa in opera di nuove conoscenze: la grafologia è pronta a dare il suo contributo.

Elisabetta Agnoloni