Osservazioni grafologiche sulla scrittura di Massimo Bossetti

Immagine lettera scritta da Massimo Bossetti

Immagine lettera scritta da Massimo Bossetti

La triste vicenda di Yara Gambirasio ha toccato il cuore di tutti noi.

Milioni di italiani hanno seguito, di giorno in giorno, le notizie relative alla scomparsa di questa bambina di soli 13 anni e l’evolversi della vicenda, non dimenticata e di nuovo sulle prime pagine per l’imminente processo.

Yara sembrava essere scomparsa nel nulla, in un freddo e buio pomeriggio d’inverno, lì a Brembate, dove la neve e la nebbia,in quel periodo fanno da padrone.

Sarebbe dovuta tornare a casa, dopo essere stata in palestra, dove si recava quotidianamente.

Yara era una grande sportiva, eccelleva nella ginnastica artistica, una disciplina a cui dedicava gran parte del suo tempo libero e che probabilmente un giorno l’avrebbe resa famosa ricompensandola di tante ore trascorse proprio ad allenarsi, trascurando forse la parte ludica della sua giovane età.

Qualcuno ha deciso di interrompere il suo cammino, quel qualcuno si è arrogato il diritto di strapparla ai suoi affetti più cari, i suoi genitori, i fratelli, la famiglia, ma soprattutto alla vita, alla possibilità di diventare adulta e di realizzarsi.

Faccio parte di quella folta schiera di persone che si sono lasciate coinvolgere, commuovendosi nel vedere quel viso pulito ed innocente, una bambina nel vero senso

della parola, che purtroppo si è imbattuta in qualcosa più grande di lei.

Al momento c’è un solo presunto responsabile, ha un nome, Massimo Bossetti, e si trova in carcere.

Senza voler entrare nel merito della vicenda giudiziaria, la mia attenzione è stata catturata da alcuni scritti che il Sig. Bossetti ha reso di dominio pubblico, e nei quali proclama la sua innocenza.

Dapprima una curiosità mi ha spinta a visionarli, e con mia grande sorpresa mi sono trovata di fronte ad una “specie” grafologica che si chiama “script” che fa parte del “genere” forma, una via di mezzo tra il corsivo e lo stampatello.

La forma, non è un gesto qualsiasi ma si traduce come l’immagine di noi stessi, ed è proprio per questo motivo che la forma della scrittura a cui vogliamo dare un volto rappresenta il punto dove la nostra identita si confronta con l’ambiente circostante

E’ molto interessante sapere cosa dice dello “script” Jung, psichiatra e psicoterapeuta, dapprima allievo di Freud che poi ha sviluppato un suo pensiero filosofico legato più all’evoluzione ed alla crescita dell’individuo che alla malattia.

“Scrittura maschera, chi adotta questo tipo di scrittura non ama manifestare se stesso.”

E’ alla ricerca di un compromesso, quindi, una sorta di adattamento che consente di relazionarsi con il prossimo. Un by-pass, un ponte di collegamento tra la parte interiore dell’individuo e la società.

Questo accade a chi possiede un buon adattamento, in caso contrario può diventare un personaggio fittizio, egli stesso si confonde tra il vero e lo schermato, per primo ha difficoltà a riconoscersi.

E’ possibile, a volte, che ci sia un conflitto, una mancanza di coesione interiore, cioè una scissione tra le parti che costituiscono una entità, che fanno parte della vita e della propria coscienza.

Quando ci si sente inadeguati, si assume una facciata, ci si identifica con i principi sociali, tradizionali, i figli, la moglie, professionali, un lavoro duro, impegnativo, tutto ciò contribuisce ad un buon inserimento sociale ma non ci si confronta più con la propria interiorità.

Fa parte del “genere” continuità, la scrittura staccata, ovvero queste continue alzate di penna fanno si che la scrittura rallenti il suo flusso, ci parla di un’ansia soggiacente al desiderio di fare buona impressione, mostrarsi chiara e leggibile, fino ad arrivare, in alcuni casi, a dissimulare qualcosa di se per il timore di compromettersi.

La scrittura si presenta “grande”, in alcuni scritti “medio grande”, e ciò potrebbe far pensare ad una tipologia di persona che vuole espandersi, un grande che favorisce l’esteriorizzazione, ma…ogni specie grafica va contestualizzata, non è un’entità a se stante, e va analizzata in base all’insieme grafico in questione.

Nel caso di questa scrittura, invece, vi sono molti elementi che indirizzano verso una forma di compensazione, un “io” che si sente fragile, e si mostra grande attraverso la scrittura, un pò come nel mondo degli animali, quando hanno paura si gonfiano, per mostrarsi più grandi, più forti ed in grado di affrontare il pericolo.

Il movimento immobile, ci parla di un grande controllo su se stesso, ma è un adattamento non spontaneo, il grado di tensione che si percepisce è alto, in questo modo non va verso l’altro ma si ripiega su se stesso e nasconde i propri pensieri. L’eccessiva costanza ed uniformità di movimento, conducono all’ automatismo, corazza di chi adotta stereotipi di comportamento invece di esprimersi liberamente.

Ciò che fa luce sul vero Bossetti è la firma, la nostra reale identità, sia intima che sociale, è l’espressione di noi stessi.

In questo caso non è omogenea con tutto il percorso grafico, infatti è scritta in corsivo.

Allora ci si domanda quali siano realmente le motivazioni dello scrivente che lo hanno spinto a rappresentarsi, piuttosto che a rivelarsi.

Patrizia Belloni