Il labirinto delle relazioni umane: un valido aiuto dalla grafologia

A cura di Elettra Spinelli
Le relazioni umane, necessarie alla stessa sopravvivenza dell’uomo, sono l’ambito  più complesso in cui l’individuo debba muoversi.

Partendo dal presupposto che è molto difficile arrivare a conoscere realmente se stessi, figuriamoci riuscire a farlo con un altro! Eppure tutti noi viviamo nella convinzione di conoscere chi ci circonda, saperne valutare  pregi e difetti, e addirittura essere in grado di capire ciò che spinge gli altri ad agire. E più le persone ci sono vicine, più ci illudiamo di conoscerle, muovendoci ignari in questo equivoco, in totale buona fede.

Ed è proprio questa inconsapevolezza che ci impedisce di filtrare ciò che mettiamo di nostro nella relazione rispetto alla realtà oggettiva  dell’altro.

A chi non è capitato, almeno una volta, di sentire  parlare  del  proprio genitore, o del proprio figlio, o del coniuge, o di un amico fraterno, e di avere  la precisa sensazione  che la persona descritta fosse molto diversa da quella conosciuta, quasi si trattasse di qualcun’altro. Tra figli e genitori questo succede frequentemente, proprio per il particolare tipo di relazione che rinchiude i soggetti in precisi ruoli, ognuno nella sua dimensione specifica,  impedendo il raggiungimento di una visione piena ed obiettiva dell’altro e di tutti quegli aspetti particolari che pur esistenti, sono meno visibili rispetto al   ruolo ricoperto nella relazione. E’ abbastanza normale per un figlio non riuscire a pensare ad un genitore come al ragazzo che è stato, non riconoscendo in lui  quelle componenti caratteriali acquisite prima ancora che lui nascesse e che hanno contribuito a renderlo l’uomo e il padre  di oggi.

Così come è altrettanto tipico da parte del genitore non riuscire più a ricordare se stesso  all’età del figlio e quindi  entrare in empatia con le sue emozioni, non comprendendo più alcuni aspetti comportamentali propri di quell’età.  Ed è in questo “caos” relazionale, dove ciascuno si muove con i propri paraocchi seguendo il copione specifico per il ruolo assegnato, che ancora una volta la grafologia può dare un grande aiuto consentendo, attraverso la sua applicazione,  la comprensione della personalità dello scrivente con oggettività, eliminando il più possibile tutte le componenti soggettive  che inquinano le valutazioni e i giudizi.

E la  comprensione dell’altro è la base di ogni relazione umana. Di recente mi è capitata tra le mani una lettera scritta da una persona a me molto cara, con cui ho condiviso la vita per oltre 10 anni e a cui, naturalmente, nel corso della nostra convivenza ho attribuito una sfilza di difetti, certa della oggettività del mio infallibile giudizio! Ai miei occhi era un uomo  prevedibile, dal pensiero poco elastico, molto conservatore e perfino un po’ monotono.

Spinta dalla  passione grafologica e da una buona dose di curiosità, a sua insaputa ho cominciato ad analizzarne la scrittura, impegnandomi ad essere il più possibile  rigorosa nell’analisi.

Alla fine del lavoro, e con grande stupore, il profilo grafologico che ne è scaturito raccontava di una personalità molto diversa da quella impressa da sempre nella mia mente, in cui intraprendenza, ambizione, versatilità mentale, creatività e capacità di adattamento, spiccavano come dominanti tra le sue numerose qualità .

E nonostante gli anni condivisi, solo a quel punto ho veramente compreso quanto il (pre)giudizio che avevo formulato su quell’uomo fosse il risultato di false credenze e proiezioni tutte mie dandomi così la possibilità di aprire gli occhi e  vedere quella parte di lui, riflessa nella scrittura, che fino a quel momento mi era stata invisibile .

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