FALSITA’ IN ATTI – SOTTOSCRIZIONE APOCRIFA CONTRATTO DI LOCAZIONE – RILEVANZA
PROBATORIA CTU

Nel nostro ordinamento è previsto il reato di “falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico” (art. 483 c.p.) che punisce “Chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità…”.
Tale ipotesi di reato coinvolge anche i grafologi in quanto la Suprema Corte di Cassazione ha incluso nella condotta incriminata dall’art. 483 c.p. anche la falsità della sottoscrizione nel modulo e nella delega per la richiesta di registrazione del contratto di locazione (Cassazione, Sez. V penale, Sent. n. 37880 del 21/10/2021).

Con la predetta sentenza i giudici di legittimità hanno confermato la condanna della Corte di Appello di Napoli nei confronti delle due imputate responsabili di aver apposto sulla richiesta di registrazione di un contratto di locazione, una sottoscrizione apocrifa di una terza persona, al tempo gravemente malata, nella qualità di delegante e proprietaria dell’immobile oggetto del contratto di locazione.

Sembra opportuno evidenziare che nella fattispecie in esame la Corte di merito era pervenuta alla condanna sulla scorta di una consulenza tecnica d’ufficio grafologica che era pervenuta alla conclusione di ritenere false le firme sul contratto di locazione e quelle sui moduli per la registrazione dello stesso poiché non riconducibili alla mano della dell’anziana signora (presunta delegante poiché gravemente malata). Negli stessi termini la consulenza grafologica aveva escluso che il contratto ed i moduli compilati per la registrazione fossero stati firmati dalla stessa mano.
Appare utile evidenziare che la conoscenza da parte dell’intestatario del contratto dell’apposizione di una firma falsa da parte di un terzo è stata ritenuta irrilevante posto che la circostanza non incide sulla falsità delle sue sottoscrizioni e, dunque, sulla rilevanza penale del fatto attribuito ai sensi dell’art. 483 c.p.
Con la recente sentenza la Cassazione (Sent. n. 37880/2021) ha rigettato le censure mosse dalle imputate che avevano dedotto vizi di motivazione con riferimento al giudizio di attendibilità della consulenza grafologica posta alla base della condanna.
La sottoscrizione apocrifa sul contratto di locazione rientra nell’ipotesi di reato in discussione perché, secondo il consolidato insegnamento della Cassazione, il concetto di atto pubblico è, agli effetti della tutela penale, più ampio di quello desumibile dall’art. 2699 c.c., rientrandovi non soltanto il documento redatto dal pubblico ufficiale, ma anche quelli aventi l’attitudine ad assumere rilevanza giuridica e/o valore probatorio interno alla pubblica amministrazione. (ex multis Cass. Sez. V, Sentenza n. 9358 del 24/04/1998; Cass. Sez. V, Sentenza n. 15901 del 15/02/2021). Rientrano, quindi, nella suddetta nozione anche gli atti preparatori di una fattispecie documentale complessa, come gli atti di impulso (domande, richieste ecc.) di procedure amministrative che presentino un tale contenuto attestativo a prescindere che il loro contenuto venga integralmente trasfuso nell’atto finale del pubblico ufficiale o ne venga a costituire solo presupposto implicito necessario.
Nel caso di specie, difatti, il falso commesso dalle imputate è stato ritenuto rilevante ai sensi dell’art. 483 c.p., in quanto contenuto in un atto propedeutico alla formazione di un atto pubblico, ma, come esattamente contestato e ritenuto, è caduto sui documenti descritti nel capo d’imputazione.
Secondo la Corte di Cassazione la sentenza di condanna aveva considerato in modo coerente e logico le conclusioni della CTU grafologica la quale, aveva chiarito in sede dibattimentale come gli elementi attributivi delle firme all’imputata fossero quantitativamente e qualitativamente significativi, spiegando le marginali discrasie registrate in ragione della limitata consistenza dei campioni autografi acquisiti.
Da tali assunti la Corte territoriale ha dunque logicamente desunto la sicura paternità delle firme sul modello e sulla delega per la registrazione del contratto in capo ad una delle imputate, riconoscendone dunque la penale responsabilità.
In conclusione, nel novero degli atti che possono formare l’oggetto della consulenza grafologica vi rientrano anche le scritture private assoggettate a registrazione (tra le quali il contratto di locazione), le modulistiche dell’Agenzia delle Entrate, in genere, le istanze ed le dichiarazioni rivolte a pubblici uffici.
In tale ambito, la consulenza grafologica risulta strumentale con riferimento agli effetti giuridici prettamente civilistici ma anche sotto il profilo della responsabilità penale del “falsario”.

Avv. Gabriele Colasanti con la collaborazione dell’ avvocato V.D.G.

Nullità contratto di fornitura energetica – Firma Falsa – arricchimento senza causa – fornitura non richiesta – art. 57 Codice del Consumo

Nota di Redazione a cura dell’ Avv. Valerio Di Giorgio

La sentenza in commento (Cass. civ., Sez. III, 12/01/2021, n. 261) pone in esame la controversia con cui Enel Energia S.p.a. propose appello avverso la sentenza n. 809/2011 emessa dal Giudice di Pace di Fasano, con la quale, in accoglimento delle domande proposte dal consumatore, era stata dichiarata la nullità, per mancata autenticità della sottoscrizione contrattuale dell’attore stesso, del contratto di fornitura di energia elettrica. Pertanto era stato accertato che nulla era dovuto a detta società per la fornitura di energia elettrica e gas in favore dell’attore ed era stata pronunciata la condanna di Enel Energia S.p.a. alla restituzione di Euro 463,84 nonchè al risarcimento dei danni non patrimoniali nella misura di Euro 700,00; inoltre, erano state rigettate le domande proposte dalla stessa Enel Energia S.p.a. nei confronti del terzo chiamato in causa (Zerocorp di D.G.L.A.), quale agente di commercio responsabile della falsificazione della firma nelle scritture contenenti i contratti di fornitura di energia elettrica.
L’appellante dedusse che erroneamente il Giudice di Pace aveva rigettato l’eccezione riconvenzionale di arricchimento senza causa proposta in via subordinata avendo illegittimamente applicato l’art. 57 , comma 1, del Codice del Consumo, interpretando detta norma nel senso che, in caso di nullità del contratto, all’ente fornitore non competeva alcun compenso, nemmeno a titolo di arricchimento senza causa. Secondo l’appellante, invece, a tale ente competeva comunque l’indebito arricchimento pari al minor compenso che l’utente avrebbe continuato a corrispondere al precedente fornitore – Enel Servizio Elettrico S.p.a. – in base al preesistente contratto di fornitura con detta società. L’appellante contestò la decisione di primo grado anche nella parte in cui il Giudice di pace aveva rigettato le domande di manleva e risarcitorie avanzate nei confronti della chiamata in causa, Zerocorp di D.G.L.A., sostenendo che erroneamente quel Giudice aveva ritenuto non provata la riferibilità alla Zerocorp del modulo di adesione al contratto di fornitura che recava la falsificazione della firma, evidenziando che, invece, tale riferibilità risultava per tabulas dal contenuto del modulo contrattuale in questione, su cui era annotato il codice dell’Agenzia, che contraddistingueva solo ed esclusivamente quell’agente.
Il Tribunale di Brindisi, in accoglimento dell’appello e in totale riforma dell’impugnata sentenza, rigettò tutte le domande proposte dal consumatore in primo grado e condannò lo stesso alla rifusione, in favore di Enel Energia S.p.a., delle spese del doppio grado del giudizio di merito.
Avverso la sentenza della Corte di merito il consumatore ha proposto ricorso per cassazione, basato su quattro motivi e illustrato da memoria.
Enel Energia S.p.a. ha resistito con controricorso illustrato da memoria.
Con il primo motivo si deduce “Violazione e falsa e/o erronea applicazione di norme di diritto con riferimento al D.Lgs. n. 206 del 2005 , art. 57 , comma 1, vigente ratione temporis in relazione al concetto di “fornitura non richiesta” ed alla eccezione riconvenzionale di indebito arricchimento”.
Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto illegittima l’applicazione, da parte del Giudice di pace, del citato art. 57, con riferimento alla ritenuta mancanza di richiesta della fornitura, e ha conseguentemente accolto l’eccezione riconvenzionale di indebito arricchimento proposta in primo grado da Enel Energia S.p.a. e denuncia che il Giudice di appello abbia ritenuto “non richiesto” il nuovo fornitore ma non la fornitura, sul rilievo che il consumatore, dopo aver contestato e disconosciuto il rapporto contrattuale con Enel Energia S.p.a., aveva formulato istanza di rientro con il precedente fornitore.
Sostiene, invece, il ricorrente che l’art. 57 citato sarebbe perfettamente applicabile al caso di specie, stante la nullità o l’inesistenza del contratto con Enel Energia S.p.a. perché corredato da sottoscrizione palesemente contraffatta e per la quale era stata presentata querela.
Premesso che per fornitura non richiesta deve intendersi “quella fornitura di beni o di servizi (tra cui anche quella di energia elettrica), che comporti una controprestazione economica per la quale il consumatore non abbia preventivamente manifestato il proprio consenso e/o non ne abbia previamente ordinato l’esecuzione”, il ricorrente assume che, nel caso all’esame, sussisterebbero tutti gli elementi individuati dal legislatore per l’applicazione del già richiamato art. 57, in quanto: a) vi è una fornitura elettrica mai richiesta dal consumatore, per la quale è previsto il pagamento di un prezzo, b) trattasi di fornitura diversa da quella precedente, unica richiesta dal consumatore, che, prima del passaggio con Enel Energia S.p.a. (determinato da un contratto falso), si avvaleva della fornitura di Enel Servizio Elettrico S.p.a., diverso gestore; c) Enel Energia S.p.a., pur facendo parte del gruppo Enel, è società del tutto distinta da Enel Servizio Elettrico S.p.a., dalla quale si differenzia sia come soggetto giuridico (partita IVA, codice fiscale, intestazione, ecc.), sia in quanto opera nel cd. mercato libero dell’energia in concorrenza con le altre società elettriche laddove, invece, Enel Servizio Elettrico S.p.a. (ora Servizio Elettrico Nazionale S.p.a.) opera nel cd. mercato di maggior tutela, in regime di sostanziale monopolio, pur sempre a garanzia del consumatore; d) i contratti stipulati nei due mercati prevedono una regolamentazione del tutto diversa; e) nel caso all’esame non sarebbe configurabile nè una novazione soggettiva nè una novazione oggettiva.
Assume il ricorrente che “a non essere richiesta non è solo la fornitura da un soggetto diverso dal precedente ma proprio quella fornitura alle nuove e diverse condizioni contrattuali” e di non aver mai avuto la volontà di usufruire dei servizi contrattuali forniti da Enel Energia S.p.A., peraltro a condizioni difformi e peggiorative.
La ratio dell’art. 57, si coglierebbe ancor di più, ad avviso del ricorrente, analizzando l’art. 27 della direttiva 2011/83/UE , direttiva ora recepita dal D.Lgs. n. 21 del 2014 , che ne ha trasfuso il testo nell’art. 66-quinquies Codice del Consumo che ha sostituito il già citato art. 57; trattandosi di norme imperative, sia l’art. 57, che l’art. 66-quinquies, prevalgono su qualsiasi Delib. dell’AEEG di segno contrario. Ne consegue, secondo il ricorrente, che non può interpretarsi in alcun modo l’art. 57, nel senso che tale norma sia applicabile solo all’ipotesi di una nuova fornitura intesa come fornitura riferita ad un’utenza mai prima di allora servita da altro contratto e/o altro operatore elettrico.
Il ricorrente contesta, infine, che il quantum dovuto sia pacifico, trattandosi di dichiarazione chiaramente subordinata alla denegata ipotesi in cui non fosse stato ritenuto applicabile nel caso di specie l’art. 57 e dettata dal fine di evitare inutili e dispendiose integrazioni istruttorie (c.t.u. antieconomica, dovendo, nell’ipotesi formulata dal Tribunale, restituire all’attuale controricorrente l’importo di Euro 463,84).
Secondo gli Ermellini Il motivo è fondato in base alle considerazioni che seguono:
Il Tribunale ha ritenuto non applicabile l’art. 57 Codice di Consumo, nella formulazione ratione temporis vigente, sul rilievo che, nella specie, non sussisterebbe la fattispecie, regolata dalla predetta norma, della fornitura non richiesta dal consumatore in quanto non era la fornitura ad essere “non richiesta”, riferendosi peraltro a servizi essenziali, bensì “non richiesti” erano il nuovo fornitore e soprattutto le diverse e più gravose condizioni economiche imposte con la nuova tariffa. Afferma il Giudice di secondo grado che, dovendosi interpretare il contratto secondo buona fede, è evidente che l’interesse dell’utente non era quello di non beneficiare dei servizi in oggetto bensì quello di ricevere la fornitura dal precedente fornitore e di mantenere le condizioni contrattuali da questi accordate, tanto è vero che il consumatore non aveva chiesto l’interruzione della fornitura in questione ma aveva formulato l’istanza di tornare a ricevere la stessa dal precedente fornitore. Il Tribunale ha conseguentemente ritenuto che, pur ricorrendo la nullità dei contratti di fornitura elettrica e di gas, non si configurerebbe la fattispecie della “fornitura non richiesta” regolata dall’art. 57 citato e costituente il presupposto, ad avviso di quel Giudice, necessario per l’affermazione che nessun costo debba essere posto a carico del consumatore. Sulla base di tali considerazioni il Tribunale ha, quindi, ritenuto di accogliere l’eccezione riconvenzionale di indebito arricchimento proposta dall’attuale controricorrente, “nel senso che, stante l’inesistenza del titolo contrattuale, non può trovare giustificazione nell’ordinamento la sbilanciata pretesa da parte dell’utente del totale risparmio dei costi che egli avrebbe dovuto comunque sostenere, in base alle condizioni contrattuali di maggior favore instaurate con il precedente gestore, per i quantitativi di corrente elettrica e di gas che in concreto e di fatto gli sono stati forniti dal nuovo gestore”.
Così decidendo il Tribunale è incorso in un vizio di sussunzione correttamente veicolato dal ricorrente con l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare condivisibilmente che “quando il giudice di merito, dopo avere ricostruito la quaestio facti secondo le allegazioni e le prove offerte dalle parti individua i termini della c.d. fattispecie concreta e, quindi, riconduce quest’ultima ad una fattispecie giuridica astratta piuttosto che ad un’altra cui sarebbe in realtà riconducibile oppure si rifiuta di ricondurla ad una certa fattispecie giuridica astratta cui sarebbe riconducibile o a qualunque fattispecie giuridica astratta, mentre ve ne sarebbe una cui potrebbe essere ricondotta, la valutazione così effettuata e la relativa motivazione, non inerendo più all’attività di ricostruzione e, dunque, di apprezzamento dei fatti storici, bensì all’attività di qualificazione in iure di essi e, dunque, ad un giudizio normativo, è controllabile e deve essere controllata dalla Corte di Cassazione nell’ambito del paradigma del n. 3 dell’art. 360 c.p.c..
In tal caso, infatti, fa parte del sindacato di legittimità (alla stregua del) detto paradigma secondo la specie cui il legislatore allude con la nozione di “falsa applicazione di norme di diritto”, il controllare se la fattispecie concreta (assunta così come ricostruita dal giudice di merito e, dunque, senza che si debba procedere ad una valutazione diretta a verificarne l’esattezza e meno che mai ad una diversa valutazione e ricostruzione o apprezzamento ricostruttivo), è stata ricondotta a ragione o a torto alla fattispecie giuridica astratta individuata dal giudice di merito come idonea a dettarne la disciplina oppure al contrario doveva essere ricondotta ad altra fattispecie giuridica oppure ancora era irriconducibile ad una fattispecie giuridica astratta, sì da non rilevare in iure, oppure ancora non è stata erroneamente ricondotta ad una certa fattispecie giuridica cui invece doveva esserlo, essendosi il giudice di merito rifiutato expressis verbis di farlo (c.d. vizio di sussunzione o di rifiuto di sussunzione)” (Cass. 31/05/2018, n. 13747).
Nel caso all’esame, infatti, deve ritenersi che la fattispecie concreta, come accertata dal Giudice del merito, deve essere ricondotta alla fattispecie giuridica disciplinata dall’art. 57 del Codice di consumo, rubricato “Fornitura non richiesta”, nella versione applicabile ratione temporis secondo cui:
“1. Il consumatore non è tenuto ad alcuna prestazione corrispettiva in caso di fornitura non richiesta. In ogni caso l’assenza di risposta non implica consenso del consumatore.
2. Salve le sanzioni previste dall’art. 62, ogni fornitura non richiesta di cui al presente articolo costituisce pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 21, 22, 23, 24, 25 e 26″.
Nella specie risulta evidente che si è in presenza di “fornitura non richiesta”, nei termini indicati dalla norma richiamata, trattandosi di fornitura erogata da soggetto diverso in base ad un contratto pacificamente non sottoscritto dal consumatore e recante firma falsa, nè rileva la circostanza che l’esecuzione materiale della fornitura, per esigenze tecniche, non possa che essere la stessa e che trattasi di servizi essenziali, rimarcandosi che il consumatore, che è venuto a conoscenza di siffatto contratto dalle fatture, non poteva restituire o impedire la fornitura non richiesta (se non, a tale ultimo riguardo, come in effetti fatto, denunciando, una volta resosene conto, la contraffazione della sottoscrizione e chiedendo di ricevere la medesima fornitura dal precedente gestore).
Se dunque, la norma applicabile nella specie è quella di cui all’art. 57 citato, occorre stabilire se tale normativa, oltre ad escludere qualsiasi prestazione corrispettiva a carico del consumatore, escluda ogni sorta di “ripetibilità”, da parte del fornitore, della “prestazione” resa sine causa, perfino nel caso in cui quest’ultimo faccia valere l’arricchimento senza causa, ai sensi dell’art. 2041, sia in via d’azione che – come nel caso all’esame – di eccezione riconvenzionale, proposta al solo scopo di paralizzare la domanda dell’attore.
Ritiene il Collegio che la questione vada risolta tenendo conto della ratio della norma di cui all’art. 57, già più volte citato, che è chiaramente norma volta a tutelare il consumatore e ad esonerarlo da oneri conseguenti a pratiche commerciali scorrette, anche alla luce delle direttive CE sulle pratiche sleali e ingannevoli (v. direttive 1997/7/CE , 2002/65/CE e 2005/29/CE) e della disciplina, non applicabile direttamente al caso di specie ratione temporis (essendo applicabile ai contratti conclusi dopo il 13 giugno 2014, come disposto dal D.Lgs. 21 febbraio 2014, n. 21 , art. 2 , comma 1) ma a cui può farsi riferimento ai fini meramente interpretativi, dell’art. 66-quinquies Codice di consumo, norma inserita con il D.Lgs., appena indicato e volto a dare attuazione della direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori.
In tale prospettiva, l’espressione “Il consumatore non è tenuto ad alcuna prestazione corrispettiva in caso di fornitura non richiesta” contenuto nell’art. 57 citato, ad avviso del Collegio, deve essere intesa come comprendente anche le obbligazioni restitutorie e indennitarie da indebiti solutio e/o da ingiustificato arricchimento rivendicate.
Se è pur vero che il consumatore abbia comunque tratto vantaggio dalla fornitura non richiesta o – come nel caso all’esame – addirittura imposta, tenuto conto delle peculiari modalità di erogazione della fornitura in questione, in base ad un contratto con sottoscrizione falsificata, tuttavia deve ritenersi che il legislatore abbia inteso far prevalere gli interessi della parte debole del contratto a discapito di soggetto che abbia scelto unilateralmente e illecitamente di procedere alla fornitura, di tal chè sul fornitore debbono ricadere, in ogni caso, le conseguenze derivanti da tale comportamento.
Ben potendosi riconoscere, per quanto sopra esplicitato, all’art. 57 citato anche una valenza latamente sanzionatoria, nell’ambito delle “prestazioni corrispettive”, da intendersi richiamate dal legislatore in senso atecnico, ritiene il Collegio debba rientrare anche l’indennizzo di cui all’art. 2041 c.c..
Pertanto, risultando il contratto illecito in questione ascrivibile comunque ad Enel Energia S.p.a. ed alla luce della interpretazione data dell’art. 57 citato, ritiene il Collegio che all’appena indicata società non spetti alcunchè per la fornitura in parola, neppure a titolo di indebito arricchimento ex art. 2041 c.c., non avendo il consumatore prestato alcun consenso al riguardo, il che è pacifico.
La Corte pertanto accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa al Tribunale di Brindisi, in persona di diverso magistrato, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Falsità del testamento olografo. Sospetti e rimedi.

Gli ultimi dati statistici disponibili sul numero dei testamenti pubblicati in Italia provenienti dall’Ufficio Centrale degli archivi notarili risalgono all’anno 2018 e confermano la tendenza degli anni precedenti e cioè che gli italiani sono scarsamente inclini a lasciare disposizioni scritte in merito alle proprie ultime volontà.

I dati parlano chiaro a livello nazionale solo il 12,26% delle successioni ereditarie sono state regolate in base ad un testamento, in particolare è stata registrata una maggiore riluttanza per i residenti delle regioni del centro Italia con il 10,12% e di converso una più favorevole propensione per i residenti delle regioni Sicilia e Sardegna con un dato che si attesta al 15,38%.

Tra i pochi che hanno deciso di fare testamento prevale la forma del testamento olografo pari al 77,74% dei testamenti pubblicati il che significa che solo un italiano su dieci decide di disporre delle proprie ultime volontà ricorrendo al testamento olografo.

Da questa premessa si comprende come il testamento olografo rappresentando una scelta poco praticata tra la popolazione, spesso ingeneri a torto o ragione sospetti in coloro che ne risultino penalizzati.

Il testamento olografo è in grado di produrre i suoi effetti dal momento della sua pubblicazione dal notaio ed è proprio dal quel momento che diviene oggetto di esame soprattutto se le disposizioni ivi contenute regolino la successione diversamente da quanto previsto dalla legge sia per quanto concerne il rispetto delle quote di legittima vuoi per l’inserimento di soggetti estranei alla cerchia dei parenti entro il 6° grado.

Tali sospetti possono acuirsi allorché il de cuius era persona poco incline alla scrittura di proprio pugno in considerazione della sua ridotta scolarizzazione ovvero a causa dell’insorgere di disturbi nelle articolazioni della mano o di altre patologie in grado di influire sul gesto scrittorio oppure semplicemente in conseguenza della deseutudine alla scrittura amanuense sostituita dalla scrittura al computer, tablet e smartphone.

Anche le circostanze del trapasso possono contribuire ad alimentare ulteriormente i sospetti, infatti solitamente coloro che decidono di fare testamento sono in età avanzata o di fronte ad una diagnosi medica infausta a breve termine. Ecco quindi che una morte accidentale o imprevista di una persona tra i 40 ed i 70 anni, in buono stato di salute con l’esistenza di un testamento appare fuori dall’ordinario.

Ma i sospetti servono solo a porsi delle domande non certo a fornire delle risposte, le scarne considerazioni sopra indicate associate ad altre specifiche informazioni relative al caso oggetto d’esame possono però fornire la spinta a ricercare gli elementi essenziali per giungere all’accertamento di falsità della scheda testamentaria.

Qualsiasi azione si vorrà intraprendere per accertare e far dichiarare la falsità di un testamento olografo non potrà prescindere dall’essersi procurati manoscritti e firme attribuiti con certezza alla mano del “de cuius” .

Questo aspetto è tutt’altro che trascurabile perché la mancanza assoluta di scritture e firme per la comparazione con quelle del testamento rende quasi impossibile provare la falsità della scheda testamentaria che in ragione di altri indizi extragrafici è fortemente sospettata di falsità.

In questi casi il grafologo giudiziario dovrà concentrarsi sull’eventuale presenza nel testamento olografo di più mani cioè sul fatto che il manoscritto non sia riconducibile tutto alla mano della stessa persona.

Sul punto il primo comma dell’art. 602 del codice civile non lascia spazio a dubbi interpretativi il testamento olografo “deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore”. In conclusione se il sospetto è quello di trovarsi di fronte ad un testamento olografo non autentico in tutto o in parte occorre procurarsi quante più scritture possibili del testatore con particolare riguardo a quelle coeve o altrimenti confidare nell’abilità del grafologo nel riuscire ad individuare scritture aliene nel manoscritto o la marcata incompatibilità tra il testo della scheda e la firma di sottoscrizione.

Roberto Colasanti

Il giusto approccio alla consulenza grafologica giudiziaria

A cura di Patrizia Belloni

“Avrei bisogno di conoscere se le firme apposte dal “de cuius…” su alcuni atti notarili che le ho allegato, possono essere compatibili o francamente dissimili al proposito, qualora vi sia una reale differenza (se ovviamente ne valga la pena richiedere una perizia), desidererei conoscere i tempi per la redazione della perizia e i relativi costi”. 

Questo è uno stralcio di una e – mail ricevuta il 7 Settembre 2021, ma è soltanto l’ultima in ordine cronologico di una lunga serie ma soprattutto sono le testuali parole dello scrivente. 

In “primis” prima di inviare al professionista grafologo atti notarili con relative firme (che ovviamente non ho visionato) sarebbe stato opportuno un incontro professionale telefonico durante il quale avrei spiegato al Dott. Sempronio che soltanto dopo aver effettuato una attenta analisi sulle firme (studio sul materiale prodotto) in questione ed altre certe anche precedenti, diluite nel tempo quindi vergate dal “de cuius” in tempi non sospetti al fine di poter valutare la variabilità grafica fisiologica di ciascun soggetto. 

La necessità di avere quanto più materiale possibile su cui lavorare nasce proprio dal fatto che essendo una seria e scrupolosa professionista non voglio trovarmi nella sgradevole condizione di dovermi arrampicare sugli specchi a maggior ragione se sono la CTP della “parte attrice” – ovvero di chi promuove la causa – un domani che il Giudice dovesse decidere di disporre una Consulenza Tecnica di Ufficio e quindi anche con il CTP di controparte.

La perizia delle firme assume un’importanza particolare dal momento che seppur autografa – ovvero scritta dalla stessa persona – a volte si esegue in modo frettoloso, spesso si possono notare omissioni di alcune lettere, altre volte invece si nota una particolare meticolosità ed addirittura arricchita  spesso abbellita da svolazzi e paraffi sicuramente superflui che potrebbero condurre fuori strada se il grafologo si limitasse ad una analisi empirica affidandosi esclusivamente al “colpo d’occhio”.

Talvolta lo stesso autore usa due firme: una ufficiale ed una per uso privato, quindi c’è una lunga serie di esami preliminari da effettuare come la valutazione del “ductus” i rapporti dimensionali, l’inclinazione, la velocità, la continuità ed infine la pressione ed il tratto poiché è la “traccia” (elemento fondamentale) che si lascia sul foglio, ed anche se la forma di suddetta traccia  a volte può apparentemente presentarsi con alcune differenze, ci sono degli idiotismi o gesti fuggitivi, involontari che ricorrono in entrambe le firme, come ad esempio lo spazio che intercorre tra il nome ed il cognome, oppure i puntini sulle “i”, ma anche le barre delle “t” o le doppie… in parole semplici quei gesti grafici che si compiono senza pensare su come eseguirli ma ciò non si verifica  sempre anzi… a volte la firma viene “creata” studiata a tavolino per essere utilizzata in alcune circostanze ed è per questo che lo studio è sempre indispensabile, anche per capire  se la scrittura della firma è naturale e spontanea oppure no  a seconda se corrisponda o meno alla personalità emersa dallo studio grafologico, per questo è importante affidarsi ad un consulente con la qualifica di Grafologo Giudiziario e non di un perito calligrafo.

La firma ha un’origine e una struttura ben diverse dal testo manoscritto poiché nasce in epoca evolutiva conseguente rispetto all’apprendimento della scrittura, pertanto la firma per quanto concerne l’analisi grafo – tecnica è idonea se possiede evidenti contrassegni qualitativi in quanto la sua brevità non permetterebbe di cogliere elementi quantitativi che garantiscano adeguatezza di confronto con verosimile certezza scientifica.

Ma per arrivare ad una conclusione seria ed affidabile il grafologo giudiziario deve necessariamente effettuare uno studio sulle firme in verifica con quelle comparative certe, vale a dire apposte su documenti di identità oppure atti notarili materiale fornito da chi si rivolge al consulente.

Lo studio ha un costo in quanto per eseguirlo il professionista sarà impegnato in una specifica attività professionale, per chi richiede un parere il suddetto studio sarà propedeutico al fine di un buon esito.

Per quanto mi concerne dopo uno studio se non ci sono i presupposti, le condizioni a procedere ad un parere pro – veritate o consulenza lo dico molto apertamente.

Il tale che mi ha inviato la mail che ho pubblicato in parte, quando dice: se ovviamente ne valga la pena richiedere una perizia”  ma per sapere  se ne valga la pena oppure no devo necessariamente condurre una attenta ed accurata analisi  come dicevo prima su tutte le firme, eseguire una anamnesi il che vuole dire: La persona che ha apposto le firme era nel pieno della propria volontà? Ovvero senza condizionamenti sia esterni (pressione da persone terze) che interni (sensi di colpa), se assumeva farmaci, quanto tempo è trascorso tra alcune firme e le altre ma soprattutto se in quel lasso di tempo si sono verificati eventi traumatici come lutti, depressione oppure cure farmacologiche…

Forse il Dott. Sempronio (nome ovviamente di fantasia) sottovaluta il lavoro e la professionalità altrui e ciò mi sgomenta in quanto trattasi di un professionista e “dovrebbe” essere a conoscenza di questo tipo di tematica.

“Desidererei conoscere i tempi per la redazione della perizia e i relativi costi”.

Premesso che inizialmente non si tratta di “perizia” ma di parere o consulenza, ovvio che la perizia ha costi maggiori ma parliamo di un lavoro che viene eseguito come ultimo atto di una vicenda, quindi prima uno studio su un testo manoscritto oppure firme da verificare con relative scritture o firme di comparazione, poi la mediazione con i rispettivi Avvocati (previsto per legge ai sensi del D.Lgs. 28/2010) di fronte ad un organismo preposto, e se non si raggiunge un accordo tra le parti  si instaura un contenzioso in sede giudiziaria ove  – sia la parte attrice (chi ha promosso la causa) sia la parte convenuta (chi in qualche modo deve difendersi dalla accusa di aver prodotto un falso)  vengono coinvolte nelle operazioni peritali fissate dal Giudice ed una volta  fotografati i documenti originali di fronte ad un CTU(nominato dal Giudice) ed il consulente di controparte si procede con la perizia dove si inseriscono le foto di documenti originali, altre scritture ecc.  

Il messaggio che ritengo sia utile divulgare attraverso il mio giornale è che prima di imbattersi in cause lunghe ed estenuanti oltre che molto costose dal punto di vista legale e non soltanto, è di fidarsi ed affidarsi ad un grafologo esperto che saprà consigliare nel migliore dei modi. 

  È vero che lo studio ha un costo (piuttosto irrisorio a fronte di una avventata azione legale) ma eviterà inutili battaglie molto spesso intraprese con familiari stretti. 

Risposta lapidaria da parte del Dott. “sempronio” dopo poco: “Grazie mi consulto con il mio Avvocato”. 

Fa bene a consultare il proprio Avvocato ma di sicuro avrebbe dovuto farlo sin da subito, decidere insieme al Legale di fiducia quale percorso intraprendere è la soluzione migliore, anche perché in relazione alla strategia che si intende seguire l’Avvocato può consigliare al proprio assistito se indirizzarlo verso un parere – pro veritate che sicuramente ha il suo costo in quanto si tratta di un lavoro molto dettagliato oppure  ad una consulenza più semplice o addirittura una relazione di una pagina scritta dal consulente che ha costi ancora minori.

Patrizia Belloni – grafologa giudiziaria

Il grafologo consulente tecnico nelle indagini difensive

Nel corso di programmi televisivi ci siamo abituati a sentire il parere di esperti in merito a fatti di cronaca giudiziaria e, pertanto, il pubblico ha “familiarizzato” con le ricostruzioni della scena del crimine, profili psicologici del possibile autore del crimine e, per quanto concerne la grafologia, con l’analisi di scritti anonimi relativi ad una scomparsa, ad un delitto particolarmente atroce, etc.
Nel nostro ordinamento, tuttavia, il c.d. “processo mediatico” costituisce un mero corollario del diritto di cronaca, della libertà di opinione ed anche una delle moderne forme di pubblicità del processo penale atteso che, com’è noto, la legge è amministrata “in nome del popolo italiano”.
Tralasciando, quindi, l’analisi dei possibili risvolti negativi della “spettacolarizzazione” dei fatti di cronaca nera, va precisato che nel sistema processuale italiano, guardando a quello penale, è prevista la possibilità di far intervenire degli esperti, tra i quali i grafologi giudiziari, nella veste di consulenti tecnici. Detta facoltà di avvalersi di consulenti tecnici riguarda anche le “indagini difensive” dell’avvocato.
Invero, la Legge 397 del 2000 «Disposizioni in materia di indagini difensive» ha introdotto nel nostro ordinamento le «indagini difensive» estendendo il concetto di «diritto di difesa» e trovando fondamento e legittimazione nell’art. 24, comma 2, Cost. ove è stabilito che «La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento».
Pertanto, la possibilità per il difensore di svolgere attività di investigazione ha ridotto il divario esistente fra diritti dell’accusa e quelli della difesa, dando voce al principio della parità delle parti (art. 111 co. 2 Cost.) ed al principio del contraddittorio nella formazione della prova (art. 111 co. 4 Cost.).
L’art. 327 bis c.p.p. prevede che fin dal momento dell’incarico professionale, risultante da atto scritto, il difensore ha facoltà di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito e che tali attività (di investigazione difensiva) previste possono essere svolte, su incarico del difensore, dal sostituto, da investigatori privati autorizzati e, quando sono necessarie specifiche competenze, da consulenti tecnici .
Nel caso dell’art. 327 bis c.p.p. ricorre la figura del consulente tecnico di parte, il difensore munito di procura con atto scritto è il “responsabile” delle investigazioni difensive.
In tale contesto, il consulente tecnico è quel soggetto munito di particolari competenze tecniche che fornisce ausilio al il difensore nella ricerca di prove ed elementi di prova favorevoli al proprio assistito; nella valutazione degli elementi di prova già raccolti nonché nell’ individuazione delle strategie difensive.
Orbene, la consulenza grafologica (grafologia giudiziaria) rappresenta una delle materie oggetto della consulenza tecnica nell’ambito delle investigazioni difensive tanto per l’indagato quanto nell’interesse della persona offesa.
Numerosi sono i campi di applicazione della grafologia nel corso delle investigazioni potendo riguardare, ad esempio, una richiesta estorsiva, una ipotesi di diffamazione, la circonvenzione di incapace, la segnalazione di una persona scomparsa, etc.
Possiamo affermare che la consulenza tecnica grafologica nelle investigazioni difensive spesso riguarda l’analisi degli scritti anonimi c.d. «anonimografia» che si esprime attraverso diversi canali (biglietto o lettera anonima, murales, volantino, etc)
In conclusione, il consulente tecnico nelle indagini difensive svolge un’attività di fondamentale importanza per l’esercizio del diritto di difesa e per l’attuazione dei principi costituzionali del giusto processo.
Il grafologo giudiziario costituisce una figura professionale di riferimento talvolta indispensabile per l’esatta ricostruzione della fattispecie al vaglio dell’Autorità Giudiziaria.

Gabriele Colasanti
Avvocato
Giornalista pubblicista

La scrittura dei Gemelli

Considerazioni ed un caso pratico.

La scrittura dei fratelli gemelli, in particolare monozigoti, sotto il profilo grafologico pone il problema dell’individuazione dei tratti distintivi della scrittura in soggetti che appaiono “identici”.
Robert Saudek (1880- 1935), figura di spicco della grafologia in Inghilterra, secondo il quale la scrittura deve essere valutata secondo criteri di base quali la spontaneità dell’atto grafico, l’uso dello spazio ed il grado di originalità nella forma delle lettere, all’esito dell’esame di scritture di fratelli gemelli monozigoti non riuscì a trovare difformità grafiche così significative da poter distinguere i due manoscritti.
Tuttavia ritengo non si possa generalizzare ci sono delle coppie di gemelli che nel corso della loro vita sono alla ricerca di una propria individualità, spesso stanchi di essere “scambiati” quindi, talvolta chiamati con il nome del fratello o della sorella, si assiste alla personalizzazione del loro modo di vestire, differenziazione delle scelte scolastiche e/o professionali e sovente i gemelli trovano così la propria libertà di espressione anche attraverso la grafia.
Ci sono invece, coppie di gemelli talmente uniti che continuano a vivere in modo simbiotico anche da adulti – stessi amici, stesso stile nell’abbigliamento, scrittura molto simile – che trovano invece, maggiore forza per affrontare le controversie della vita, l’essere così simili li fa sentire più forti, e questa uguaglianza non viene vissuta come uno svantaggio, tutt’altro.
In alcuni casi, per non separarsi fisicamente, hanno rinunciato anche a sposarsi, a creare un nucleo familiare proprio, mi viene in mente una celebre coppia di gemelle monozigoti, nel mondo dello spettacolo, praticamente identiche, hanno scelto la stessa carriera professionale come ballerine, non si sono mai sposate, ed ancora oggi, molto anziane vivono insieme.
In proposito, ho affrontato la tematica lo scorso anno.
Nel Maggio 2019 sono stata contattata da una signora per esaminare un testamento olografo scritto apparentemente da suo marito, defunto prematuramente, all’età di quarant’anni, ci incontrammo nel mio studio, come avviene di solito, la Signora Marina mi produsse la copia del testamento olografo da verificare, il testo “incriminato”, e scritture di comparazione certe, il contratto di acquisto della loro casa, firme su documenti di identità, specimen bancario, una poesia dedicata alla moglie dopo la nascita del loro bambino, un verbale di assemblea dove il marito svolgeva la mansione di segretario, brevi pensieri scritti a mano per il compleanno, altre firme su documenti raccolti in modo ordinato in una cartella.
Ho iniziato così ad esaminare prima il testamento in verifica, non presentava alcuna anomalia, si trattava di un manoscritto non breve dodici righe compresa data e firma.
Dopo una prima valutazione, orientata sulla osservazione della naturalezza e spontaneità, avevo riscontrato entrambe, scrittura sciolta, alcun tremore, non c’erano “soste” i classici bottoni di ripresa nelle parole – giustapposizioni in termine tecnico – anche se non avevo colto, in quello scritto, alcuna emozione, bensì un tracciato grafico spedito, oserei dire freddo, senza emozione.
Ho osservato il testo nel suo insieme, e svolto come di consueto uno studio seguendo la metodologia di rito, nulla faceva pensare ad un falso, anche se mancava un aspetto saliente, ovvero una spiegazione, la motivazione per aver preso una decisione notevole, che avrebbe potuto cambiare il corso della vita alla Signora Marina, ma probabilmente non c’era.
Comunque avevo modo di notare un discreto equilibrio tra movimento e forma, la firma in basso a destra, omogenea al testo, però confrontando con le altre scritture del Sig. Marco, riscontravo la differente distanza tra le parole, la dimensione delle lettere, era più grande rispetto alle altre scritture, anche se molto spesso, chi scrive le ultime volontà, aumenta la dimensione – alcuni scrivono in stampatello – proprio per il timore di non essere compresi, il testatore spesso, scrive in modo molto più chiaro e leggibile, però anche il modo di legare alcune lettere, mi faceva pensare.
Man mano che visionavo tutto il materiale per la comparazione, notavo molte analogie tra il testamento ed il verbale dell’assemblea, scritto dal Sig. Marco, qualche lieve differenza con gli altri manoscritti, che avevo attribuito alla normale variabilità grafica, alle volte la scrittura cambia anche a seconda di come ci sentiamo fisicamente e moralmente, insomma… qualcosa di diverso dalle altre scritture, ma compatibili.
Dopo tre giorni di lavoro sul testamento in verifica e le scritture comparative, non avevo elementi sufficienti per arrivare alla conclusione che fosse un testamento falso, così ho pensato di chiamare subito la Signora Marina, per dirle che non avevo riscontrato difformità tanto gravi da far pensare ad un documento falso, quindi decisa a non redigere un parere pro-veritate, come richiesto, per dimostrare che si trattava di un testamento non scritto dalla mano di suo marito.
Ci incontrammo nuovamente per restituire alla Signora Marina il materiale che mi aveva prodotto, e quando le dissi che secondo me non c’erano i presupposti per impugnare il testamento, anche sulla base del verbale di assemblea, un manoscritto molto esteso del Sig. Marco, a quel punto tutto cambiò, la signora mi disse che non era stato scritto da suo marito, in quanto si trovava in ospedale per accertamenti, ma da suo fratello gemello Leonardo, erano praticamente identici, a volte anche gli amici più cari li confondevano.
Se non avessi avuto l’opportunità di mettere a confronto il testamento con il verbale, quindi facendo riferimento esclusivamente agli altri scritti del Sig. Marco, avrei sicuramente concluso che era autografo; dopo anni si era presentata l’occasione di verificare la scrittura di due fratelli gemelli monozigoti, certo, non sono in grado di poter affermare che tutti i gemelli scrivono in modo da poter confondere le due scritture, ma certamente, avendo lo stesso DNA sono avvantaggiati se vogliono falsificare lo scritto del loro fratello o sorella perché riesce più facile imitare la grafia del proprio consanguineo, anche tra genitori e figli.
Ho fornito un parere alla signora Marina, sulla base esclusivamente delle scritture certe del marito, ho dovuto rivedere un po’ tutto il lavoro, avevo fatto affidamento sul verbale di assemblea, in quanto si trattava di un manoscritto molto esteso, in più abbastanza vicino alla data del testamento, inconsapevole che era stato scritto dal cognato.
Non so come siano andate le cose, se la Signora Marina abbia intrapreso un percorso legale volto all’impugnazione del testamento, oppure se, forse, sono giunti ad un accordo, cosa che succede abbastanza di frequente, quando vi è un patrimonio piuttosto modesto da ereditare, come in questo caso, anche se di tutto rispetto, si trattava infatti, dell’appartamento in cui la Signora Marina viveva con il suo bambino, e di un modesto conto in banca.

Tutto ciò potrà evitare un lungo percorso, molto dispendioso e a volte  frustrante, nel mondo della perizia.

Patrizia Belloni
Grafologa giudiziaria

La consulenza tecnica grafologica nelle indagini difensive

La grafologia giudiziaria trova applicazione anche in ambito penale.
Difatti, non solo vi sono fattispecie criminose strettamente correlate alla grafologia come nell’ipotesi della formazione di un falso testamento olografo, di una cambiale o di un altro titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore (art. 491 c.p.), ma sussistono anche reati come, ad esempio, la truffa (art. 640 c.p.) e la diffamazione (art. 595 c.p.), ove l’apocrifia dello scritto può costituirne uno degli elementi oggettivi (si pensi all’artifizio nella truffa).
In questo contesto, il grafologo può assumere il ruolo di consulente tecnico nell’ambito delle indagini difensive dell’avvocato.
Si deve premettere che le indagini difensive sono state introdotte nel nostro ordinamento dalla Legge 397 del 2000 «Disposizioni in materia di indagini difensive» che ha indubbiamente esteso il concetto di «diritto di difesa» di cui all’art. 24 Cost. con l’obiettivo di dare attuazione concreta ai principi costituzionali della parità delle parti (art. 111 co. 2 Cost.) e del contraddittorio nella formazione della prova (art. 111 co. 4 Cost.).
Si deve precisare, inoltre, che la facoltà è riconosciuta non solo al difensore dell’indagato ma anche al difensore della vittima di un reato che può introdurre nel procedimento elementi rilevanti per la ricostruzione dei fatti e l’individuazione del responsabile dell’illecito.
Pertanto, l’art. 327 bis c.p. prevede che “Fin dal momento dell’incarico professionale, risultante da atto scritto, il difensore ha facoltà di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito (…)” precisando che ove siano necessarie specifiche competenze gli elementi di prova possono essere ricercati, su incarico scritto dell’avvocato difensore, da consulenti tecnici.
Nelle indagini difensive, quindi, il consulente tecnico è quel soggetto munito di particolari competenze tecniche che coadiuva il difensore:
– nella ricerca di elementi a favore del proprio assistito;
– nella valutazione degli elementi di prova già raccolti;
– nell’individuazione delle strategie difensive.
Anche la consulenza grafologica (grafologia giudiziaria) rappresenta una delle materie oggetto della consulenza tecnica del difensore in quanto appare ragionevole ritenere che l’analisi grafologica di uno scritto, e non la mera valutazione calligrafica, possa costituire un ausilio per la valutazione dei fatti sottoposti al vaglio dell’autorità giudiziaria.
Si ritiene opportuno fare riferimento a dei casi pratici.
Nell’ipotesi di testamento scritto con “mano guidata” la consulenza grafologica risulta necessaria per l’attività difensiva, ciò si può desumere anche dalla giurisprudenza.
Invero, la Suprema Corte di Cassazione (Cass. pen., sez. V, sentenza n. 51709 del 2014) ha statuito che integra il delitto di falso materiale in testamento olografo (art. 476 e 491 c.p.) la redazione di un documento – apparentemente scritto di proprio pugno dal testatore – con l’aiuto materiale di altro soggetto (che gli guidi la mano), in quanto, in tal caso, il documento non è formato, come prescritto dalla legge, esclusivamente dal de cuius e, quindi, non può essere considerato olografo.
In tale pronuncia i giudici di legittimità hanno affrontato il tema della c.d. “mano guidata” che si verifica allorquando “una persona non ha intenzione di scrivere un testamento e, allora, subentra qualcuno che le guida la mano, obbligando lo scrivente a fare qualcosa contro la propria volontà. Le due energie entrano in collisione, si contrastano, quindi creano delle interferenze, producendo movimenti squilibrati, con forme goffe e deformi, spesso parole incompiute” (Patrizia Belloni, Grafologia Magazine, Roma, agosto 2018).
In tale contesto la consulenza tecnica grafologica risulta necessaria per l’individuazione delle scritture di comparazione certamente spontanee ed autentiche nonché per l’analisi di quelle eventualmente acquisite dall’autorità giudiziaria.
Difatti, l’avvocato ben può avvalersi del grafologo giudiziario per valutare le scritture di comparazione acquisite dall’autorità giudiziaria sia ai fini dell’eventuale opposizione all’archiviazione formulata dal pubblico ministero ovvero, dal punto di vista dell’indagato, a seguito della comunicazione di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415 bis c.p.p. prodromica all’esercizio dell’azione penale.
Si può formulare un’altra ipotesi di applicazione della consulenza tecnica grafologica con riferimento all’analisi degli scritti anonimi c.d. “anonimografia” che si esprime attraverso diversi canali tra i quali il biglietto anonimo; il murales ed il volantino.
Generalmente, si perviene all’individuazione dell’anonimo guardando ai soggetti portatori di motivi di risentimento, di spirito vendicativo o persecutorio nei confronti della persona offesa.
Tale metodologia, se non suffragata da una seria e rigorosa analisi grafologica, può condurre ad errori.
Facendo un’ipotesi può esserci qualcuno intenzionato a ledere la persona offesa, ad esempio un collega di lavoro che non ha ottenuto una promozione, un vicino di casa rancoroso per le frequenti liti condominiali, il titolare di un’azienda concorrente, un parente in lite per ragioni di divisione ereditaria che conosce (anche personalmente) dell’esistenza di un ex coniuge che non ha accettato la fine del matrimonio e che nella redazione dell’anonimo offensivo o comunque lesivo dissimuli la scrittura di quest’ultimo.
In buona sostanza, l’autore dell’anonimo può cercare di dissimulare la propria scrittura affinché lo scritto illecito venga attribuito ad altro soggetto.
Ne consegue che la dissimulazione può portare all’iscrizione nel registro degli indagati e perfino all’esercizio dell’azione penale nei confronti del soggetto sbagliato (innocente).
L’attività difensiva, quindi, non può basarsi unicamente su elementi giuridici ma deve essere suffragata da una consulenza tecnica che come poc’anzi illustrato deve aiutare nella ricerca di elementi a favore del proprio assistito e nella valutazione degli elementi di prova già raccolti.
Alla luce delle pregresse considerazioni risulta evidente che la grafologia giudiziaria deve essere annoverata, con un ruolo di primaria importanza, nell’alveo delle consulenze tecniche di cui avvalersi nell’ambito dell’attività difensiva.

Gabriele Colasanti
avvocato

Orientarsi nel mondo della perizia grafologica – giudiziaria

Attraverso “grafologia magazine”, giornale on-line in rete da cinque anni, svariati professionisti – Avvocati, Medici, Criminologi, Grafologi- mettono a disposizione del lettore, su questa testata giornalistica, una vasta gamma di consigli e suggerimenti.

Mi occupo, prevalentemente, della perizia su testamenti olografi ma, in generale, ho accumulato negli anni tanta esperienza nel campo della scrittura nelle sue più svariate forme.

Infatti, il mio compito, come quello di tanti altri colleghi grafologi, è molto ampio, e non si limita, in modo restrittivo, alla conclusione: appartiene alla mano del testatore oppure no”.

La sostanziale differenza, infatti, tra grafologo giudiziario e perito  calligrafo è proprio questa: nel primo caso, ci si occupa essenzialmente dell’indagine di manoscritti, e si arriva, spesso, alla giusta conclusione, attraverso lo studio denominato “psicologia della scrittura”.
Mediante il suddetto studio, sono in grado di rilevare le varie anomalie all’interno di uno scritto o testamento olografo, ovvero, se l’apparente autore del testo in verifica, in quel momento, era consapevole di ciò che stava scrivendo o, perfino, se vi è la mano guidata, inerme o parziale, in quel percorso grafico.
Oppure, come accade sovente, specialmente nel caso si tratti di persone  molto anziane, se il testamento è stato scritto sotto dettatura, o ancora…se il testatore, in quel momento, era vittima di pressioni, ricatti morali.

Insomma, tante sono le varianti che possono invalidare un testamento, e tutto ciò è riconducibile, ma non soltanto, alla mancanza di naturalezza e spontaneità nella scheda testamentaria.
Il grafologo, deve essere in grado di saper valutare tutti gli aspetti di una scrittura, anche i disagi che possono essere la causa di una scrittura  tremolante, incerta, come ad esempio la dipendenza da farmaci oppure  alcool.
La figura professionale del grafologo, infatti, deve attenersi esclusivamente all’analisi di ciò che è stato stilato, e, qualora ci fosse anche una delle tante anomalie sopra citate all’interno di una scheda testamentaria, occorre l’aiuto, l’analisi, di uno specialista del settore, ovvero, di un medico-neurologo, che, unitamente alla perizia del grafologo, darà il proprio contributo attraverso una perizia medico-legale dello scritto in questione.
Il compito del perito calligrafo, invece, si fonda essenzialmente sul criterio del confronto, valuta la morfologia delle lettere, sull’osservazione, di tal che, se presentano anche una lieve rassomiglianza formale, spesso conclude per l’autografia. E’ pur vero che la forma delle lettere è un segno distintivo, ma non deve essere esaminata come prodotto statico, i gesti e i movimenti non possono essere esaminati e valutati isolatamente, ma nel loro insieme dinamico.
Spesso, il consulente calligrafo enumera le lettere che presentano analogie e quelle discordanti, emettendo il suo giudizio a seconda che il numero è maggiore o minore nelle prime o nelle seconde.
Il calligrafico è il metodo più antico, ma nello stesso tempo il meno sicuro.
Quanto affermato dalla sottoscritta consulente trova conferma nella giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione che ha stabilito come: “la perizia grafica eseguita con il solo metodo calligrafico non può considerarsi attendibile” (Cassazione, Sent. N. 1582 del 1990, in Riv. Pen., 1991, 871).

In epoca più risalente la Suprema Corte di Cassazione statuiva che “Una perizia grafica prevalentemente basata sul metodo  dell’interpretazione calligrafica è generalmente insufficiente senza il contributo di una attenta interpretazione grafologica a dirimere il pericolo di errore nel responso offerto al magistrato (sentenza del 29 dicembre 1959,   cit. pag. 79 La Perizia in Tribunale, AA.VV.,  Milano, 2011). 

Recentemente ho avuto a che fare con un “caso” piuttosto particolare, e lo narro, in sommi capi, perché, potrebbe essere utile, in futuro, a qualche altra persona, magari ad uno dei miei tanti lettori o lettrici.

Se ci si rivolge al grafologo – in questo caso specifico-,  il professionista, una volta presa visione delle scritture (che il cliente ha inviato oppure prodotto personalmente) in verifica e di comparazione, dovrà necessariamente svolgere uno studio, che comporta un certo impegno in termini di tempo, e, quindi, ciò corrisponde ad un onere economico da parte del richiedente, indipendentemente dal risultato più o meno gradito. Del resto, se ci rechiamo dal medico specialista, per una visita privata, che sia un cardiologo oppure oculista, o qualsiasi altro, anche se la diagnosi non è quella sperata, lo si deve pagare ugualmente.
Noi grafologi, attraverso l’analisi accurata di tutte le scritture, sia di quelle in verifica che di comparazione, possiamo ponderare, valutare, se ci sono i presupposti per procedere con una perizia, al fine di intraprendere un percorso giudiziario oppure no, ma ciò richiede tempo e impegno.

Purtroppo, spesso, accade che la persona che si rivolge al grafologo abbia delle aspettative superiori alla realtà. Frequentemente, mi sento dire, dalle persone che mi contattano, che già sanno che la scrittura è falsa, e vogliono “soltanto” una conferma, che il più delle volte non posso avvalorare.

Ma se dopo la “diagnosi” il risultato non è quello sperato dal cliente? 
Capita che molte persone abbiano difficoltà a comprendere e accettare il risultato, a loro giudizio negativo, soprattutto se avevano delle sicure aspettative, certezze, dovute in gran parte alla necessità di crederci per superare un momento difficile.
Il lavoro del consulente di parte non è sempre facile. Di frequente, l’ipotetico cliente tenta di influenzare il grafologo con racconti tristi, ma, i propri convincimenti devono derivare soltanto dallo studio delle scritture. Preferisco rinunciare ad una consulenza, che sostenere, senza esserne convinta, una causa soltanto per soddisfare le richieste di un eventuale assistito.
Il messaggio che voglio comunicare a chi ci segue è il seguente: 
Prima di intraprendere una qualsiasi azione legale, che sia per disconoscere un testamento, oppure una firma apposta su contratti, ecc. consiglio di rivolgervi ad un esperto in materia, il consulente, che attraverso uno studio accurato potrà valutare e accertare se ci sono le giuste condizioni oppure no.

Tutto ciò potrà evitare un lungo percorso, molto dispendioso e a volte  frustrante, nel mondo della perizia.

Patrizia Belloni
Grafologa giudiziaria

Firme di fantasia

Una modalità finalizzata al disconoscimento della propria firma

Per portare a termine una perizia grafologica, che sia su un testamento olografo, quindi manoscritto, oppure su firme, non basta conoscere i singoli segni, le specie grafiche, ma si devono acquisire certezze attraverso la pratica, esercitare l’occhio che permetterà di cogliere i sintomi grafici, avere la giusta sensibilità per arrivare ad una conclusione ottimale, ovvero alla diagnosi esatta.
Spesso, tali “sintomi”, nascono dalle più svariate combinazioni, saperle distinguere, l’una dall’altra, al fine di essere in grado di riconoscere quelle particolarità che emergono dalla falsificazione, non è un compito semplice.
Come di consueto, una breve premessa al riguardo. Infatti, il tema che voglio trattare in questo articolo – spero chiaro ed esaustivo – è quello del disconoscimento delle firme.
Ho già affrontato l’argomento “disconoscimento” tempo fa; ho parlato delle diverse modalità, ovvero firmare in modo genuino, convinti di quello che si sta compiendo, lungi dal pensiero di doverle disconoscere un domani, quindi apposte consapevolmente.
Poi, alle volte, la necessità, un momento di difficile, l’impossibilità oggettiva di onorare un impegno preso, spesso, conduce verso la strada più semplice, apparentemente, quella del disconoscimento.
In questo caso un percorso in salita, una causa persa, dal momento che si devono produrre firme comparative su documenti certi e, ovviamente, se non c’è premeditazione, la firma sarà più o meno uguale. Quindi, in questo caso consiglio sempre di avvalersi del diritto di recesso ove previsto.
Poi, c’è il caso di chi firma in modo diverso dal solito, intenzionalmente, in quanto già prevede un disconoscimento futuro. Ovviamente ci si prepara psicologicamente, e la firma “appare diversa”, ma, come affermano i “grandi” della perizia forense, “non esiste un falsario tanto bravo da riuscire a nascondere la propria natura, i gesti innati emergono sempre”.
Personalmente non mi occupo spesso di questo argomento, è assai spinoso e presenta delle difficoltà non indifferenti, specialmente quando si tratta di firme cosiddette “di fantasia”.
Ormai, chi mi segue da tempo, sa che la mia modalità di comunicazione, è quella di narrare esperienze professionali vissute.

LA “FIRMA DI FANTASIA”

Sussiste quando lo scrivente ha firmato inventando uno stile grafico del tutto diverso, artificiale, quindi una maschera, che non corrisponde alla sua natura. Tutto ciò allo scopo premeditato di potere disconoscere la firma successivamente.
Ovviamente tale strategia  generalmente viene messa in atto da truffatori esperti (della serie “mandrakata”) che infatti riescono a modificare la dimensione, la forma, la pressione, e tutte (o quasi) le caratteristiche principali del proprio gesto grafico.
Il quesito che mi è stato posto è: determinare se le svariate firme in calce, poste su documenti importanti, possono essere attribuite ad una persona, che però nega di esserne l’autore.
All’inizio, quando il soggetto in questione mi ha fornito le proprie firme su documenti certi (carta d’identità e documento rilasciato dalla questura per il porto d’armi) pensavo ad una totale trasparenza.
Successivamente, quando mi ha inviato più firme in verifica, una diversa dall’altra, un campanello di allarme si è acceso, ovviamente.
Le firme inventate hanno tutte la stessa modalità di esecuzione, la dimensione delle lettere cambia rispetto a quella naturale. Quindi, se si scrive abitualmente “piccolo”, nella firma di fantasia la dimensione delle lettere è molto più grande, viceversa se abitualmente si scrive “grande”, la dimensione delle lettere sarà molto più piccola.
Si riscontra sempre assenza di ritmo, ovvero la firma appare piatta, senza vita, immobile. Cambia, infatti, la velocità, perché non è scritta di getto. Verticale perché ci si concentra a camuffare. Ci sono tremori nel breve tracciato grafico, che denotano emotività. Tutto ciò desta già molti dubbi sull’autenticità, perché vergare il proprio nome e cognome è il gesto grafico più spontaneo e naturale in assoluto.
Quando la firma è autentica, questa si snoda con grande rapidità e scioltezza.
Un altro elemento molto importante che mi ha condotto alla risoluzione del problema è che, sempre queste persone, si concentrano sulle lettere maiuscole della propria firma. Il nome, ad esempio Mario, non è assolutamente riconducibile alla persona in questione (dissimulatore), ma, nel cognome, ad esempio Rossi, si iniziano a notare dei segni di cedimento, ovvero, l’attenzione diminuisce e, specialmente se ci sono le doppie, come in questo cognome di pura fantasia, emergono i famosi gesti tipo, fuggitivi, che fanno parte della spontaneità del soggetto, come ad esempio la modalità di “legare” le due esse.
Tutto ciò non sfugge all’occhio attento del grafologo, ma come ho accennato all’inizio ci vuole “mestiere”, esperienza e dedizione, ma, soprattutto non farsi condizionare dai racconti, (spesso finalizzati a fuorviare) della persona che si rivolge al professionista.

Patrizia Belloni
Grafologa giudiziaria

Il testamento olografo quale possibile frutto della circonvenzione del testatore

a cura di Gabriele Colasanti –  avvocato

Il testamento olografo, previsto dall’art. 602 c.c., viene sottoposto allo scrutinio del grafologo giudiziario ove sia necessario verificarne l’autenticità.
L’indagine grafologica, sovente, prende le mosse dall’anomalia del contenuto, dal periodo di sua redazione (ad esempio coincidente con patologie del testatore), dall’identità del beneficiario, etc.
Vengono in rilievo, pertanto, anche gli “elementi extragrafici” che possono essere tanto indice di falsità quanto di mancanza di spontaneità. Quest’ultima può essere indice rivelatore della costrizione.

La perizia grafologica, quindi, può costituire il presupposto di azioni legali non solo aventi ad oggetto la falsificazione del testamento ma anche l’induzione del testatore a scrivere “di proprio pugno” un testamento a vantaggio di soggetti che abbiano approfittato delle sue particolari condizioni psico-fisiche.

Ed infatti, il nostro ordinamento sanziona penalmente coloro che profittandosi dell’incapacità di una persona portino la medesima a compiere degli atti di disposizione patrimoniale e, quindi, ottengano in proprio o altrui favore un vantaggio economico.

Nel novero di detti atti vi rientra anche il testamento olografo.
Infatti, l’atto di ultima volontà scritto per intero, datato e sottoscritto di mano dal testatore ben può essere indotto mediante abuso della persona in condizione di inferiorità psico-fisica.
A tal proposito si fa riferimento all’art. 643 c.p.rubricato “Circonvenzione di persone incapaci”  che punisce la condotta di “chiunque per procurare a sé o ad altri un profitto (…) abusando dello stato d’infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso”.

La giurisprudenza di legittimità ha definito la “deficienza psichica” di cui all’art.643 c.p., ricomprendendovi qualsiasi minorazione della sfera volitiva ed intellettiva che agevoli la suggestionabilità della vittima e ne riduca i poteri di difesa contro le altrui insidie (si veda, in tal senso, Cassazione, sent. n.24192 del 2010).

Quanto, invece, al testamento olografo ne è indubbia l’idoneità pregiudizievole verso i successibili legittimi nell’ipotesi che istituisca altri soggetti quali eredi (il succitato art. 643 c.p. prevede che il pregiudizio dell’atto può riguardare tanto l’autore quanto altri).
Tuttavia, il testamento può produrre effetti dannosi anche a distanza di molti anni rispetto al momento dell’induzione alla redazione con risvolti sulla prescrizione del reato.
Sull’argomento la Suprema Corte di Cassazione (Cassazione, sent. n. 20669 del 2017) ha statuito che il reato di circonvenzione di incapace consistito nell’induzione alla redazione di un testamento olografo si consuma con la pubblicazione dell’atto e l’accettazione dell’eredità, fatti produttivi di un effetto dannoso per il soggetto passivo e da cui deriva il materiale conseguimento del profitto ingiusto.

Da tale momento deve decorrere la prescrizione.

In applicazione del suddetto principio, la Suprema Corte ha annullato la sentenza che aveva dichiarato estinto per prescrizione il reato di circonvenzione di incapace consistito nella induzione alla redazione di un testamento olografo.
Ciò detto ove il grafologo ravvisi nel testamento olografo elementi tali da evidenziare la mancanza di spontaneità ovvero la presenza in capo al testatore di patologie che si manifestano anche nella scrittura (si veda ad esempio la sindrome di Alzheimer) ed idonee a costituirne “infermità o deficienza psichica” appare consigliabile vagliare l’ipotesi della circonvenzione di incapace.
Tale ipotesi assumerà rilievo sia sotto il profilo penale (art. 643 c.p.) sia sotto il profilo civilistico (art. 591 c.c.).