I delitti contro la fede pubblica sono disciplinati nel titolo VII del libro secondo del Codice Penale e s’incentrano sulla nozione di falso.
Alcune fattispecie sono state oggetto di modifica da parte del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7 recante disposizione in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, in particolare, in tema di falsità documentali, tale decreto ha disposto l’abrogazione di alcune fattispecie di reato nonché la modifica di alcune dele successive disposizioni.
Ma cosa succede se firmo per un’altra persona? Cosa rischia chi falsifica la firma di un’altra persona?
Per falsità deve intendersi tutto ciò che non è vero e ciò che è in grado di indurre in inganno la generalità delle persone, facendo credere alla genuinità, alla veridicità dell’oggetto, del segno, della dichiarazione non genuino o veritiero.
Firmare al posto di un’altra persona potrebbe configurare reato.
Falsificare una firma può comportare, infatti, la realizzazione di molteplici fattispecie di reato.
Se la firma viene apposta su un atto pubblico si potrà parlare di falso in atto pubblico, viceversa falsificare un atto privato (ad es. un contratto) non è più considerato dalla legge un reato ma permane comunque il rischio di sanzioni pecuniarie. Residuano tre casi distinti di firma falsa in atti privati:
1. se la firma è falsificata con il consenso del suo titolare non c’è reato a meno che non ci sia il disconoscimento della firma;
2. se la firma viene apposta senza consenso, l’autore della firma falsa rischia l’imputazione per truffa, e quindi sia sanzioni pecuniarie sia la detenzione. La parte offesa disconosce la firma, e la controparte deve dimostrarne l’autenticità con il controllo di un grafologo;
3. se la firma è falsa ma il titolare ha mostrato la chiara volontà di dare esecuzione a quanto scritto sul documento il disconoscimento della firma non è più possibile.
La situazione è del tutto diversa per quanto riguarda gli atti pubblici, ovvero sottoscritti in presenza di un pubblico ufficiale, o rivolti ad enti pubblici.
Le conseguenze comunque non sono sempre le stesse. Se a compiere il reato è un pubblico ufficiale è prevista una pena di reclusione fino a 10 anni. Come sottolinea l’art. 476 c.p., infatti, “il pubblico ufficiale, che, nell’esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero, è punito con la reclusione da uno a sei anni. Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso la reclusione è da tre a dieci anni”; se, invece, il fatto è commesso da un cittadino privato, l’art. 482 c.p. prevede che “se alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 476, 477 e 478 è commesso da un privato, ovvero da un pubblico ufficiale fuori dell’esercizio delle sue funzioni, si applicano rispettivamente le pene stabilite nei detti articoli, ridotte di un terzo”. La reclusione può andare, quindi, da tre mesi fino a due anni.
Da ultimo mettere una firma falsa, se si vuole far credere di essere un’altra persona, può integrare il reato di sostituzione di persona. Sostituirsi ad una persona è, infatti, un reato di falso previsto dall’art 494 c.p.
Tale norma punisce chiunque al fine di procurare a sé o ad un’altra persona un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici.
Il reato di sostituzione di persona tutela la fede pubblica nonché gli interessi del privato vittima del reato. Per questo motivo si tratta di un reato accostabile per quanto concerne i beni giuridici tutelati ai reati di falso.
Invero, come stabilito dalla Giurisprudenza di Legittimità, il delitto di sostituzione di persona è sussidiario rispetto ad ogni altro reato contro la fede pubblica, come si evince dall’inciso “se il fatto non costituisce altro delitto contro la fede pubblica” contenuto nella norma incriminatrice; esso, tuttavia, intanto può ritenersi assorbito in altra figura criminosa in quanto ci si trovi in presenza di un fatto unico, riconducibile contemporaneamente sia alla previsione dell’art. 494 c.p. sia a quella di altra norma posta a tutela della fede pubblica; viceversa, quando ci si trovi in presenza di una pluralità di fatti e quindi di azioni diverse e separate, si ha concorso materiale di reati (Cass. Pen. Sez. V, sentenza n. 33531 del 29.7.2015).
Concludendo, quindi, il legislatore sembra sia giunto a consolidare un orientamento che ha visto la sua origine negli anni ’70 quando la Corte di Cassazione, con pronuncia n. 878 del 17.10.1973 iniziava timidamente ad affermare che “in tema di falso, se talvolta, nella pratica quotidiana si presentano situazioni caratterizzate dalla fiducia, più che volontaria o pattizia, naturale e necessaria, che bene possono spiegare e giustificare l’ uso del nome altrui nella sottoscrizione di un documento (cosiddetto falso consentito), detto principio non può peraltro mai trovare applicazione nei confronti di quei documenti (nella specie, assegno bancario) cui e connessa o attribuita tale forza probante da indurre il legislatore a equipararli, nel grado della tutela, agli Atti pubblici; e la punibilità del falso in titoli di credito nella stessa misura del falso in atto pubblico, a norma dell’art 491 cod. pen., e appunto un indice sintomatico della forza probante conferita dalla legge a detti documenti, in cui non può essere, quindi, in nessun caso, lecita la sottoscrizione o, comunque, l’apposizione di un nome per opera di un terzo”.
Avv. Antonio Nucera
penalista del Foro di Roma