Tipi di testamento

Patrizia Belloni

grafologa giudiziaria

Il testamento come già ricordato è l’atto reversibile con il quale una persona dispone, per quando avrà cessato di vivere, di tutte le sostanze o parte di esse, è un atto mortis causa perché la sua funzione consiste nella determinazione della sorte dei rapporti patrimoniali in conseguenza alla morte del testatore, è un atto formale ed essenzialmente unilaterale, ovvero è sufficiente un’unica manifestazione di volontà cioè quella del testatore per essere efficace.
Il testamento si suddivide in due categorie, può essere ordinario o speciale, nell’ambito della prima categoria la legge distingue il testamento olografo (cioè scritto di proprio pugno) da quello redatto per atto notarile il quale a sua volta può essere pubblico o segreto.
I testamenti speciali rappresentano invece particolari forme di testamento pubblico riconosciute soltanto per determinate situazioni o circostanze.
“Sono consapevole di escludere da ogni diritto e titolo su ogni mio bene…. In quanto si sono sempre disinteressate ad ogni mia anche piccola esigenza, in sostanza non si sono mai curate di me”
Una frase emblematica, scritta da una signora deceduta pochi mesi or sono e di cui mi sto occupando come consulente della parte convenuta, una frase che esprime tanta solitudine, ed ogni volta che leggo nei testamenti olografi questo triste passaggio fa male anche perché spesso ciò accade anche con i figli che dimenticano i propri genitori.
Si tratta di una persona colta e benestante, nubile che si è dedicata al lavoro per tutta la vita e non avendo avuto figli le sue attenzioni quasi materne sono state dedicate alle sue nipoti figlie di una sorella, la storia si ripete, finché queste nipoti erano piccole ma anche fino all’età adolescenziale questa zia era al centro delle loro attenzioni e viceversa, viaggi, gite scolastiche, le feste di compleanno… poi a mano a mano che il tempo passa e le priorità sono altre per queste due ragazze la zia quasi non esiste più.
Ha fatto bene a diseredarle? Ha compiuto un atto vendicativo e cinico?
Certamente non possiamo giudicarla, a volte la solitudine gioca un ruolo che è difficile da accettare, ci si sente traditi ed abbandonati dalle persone più care.
Però queste due ragazze si sono ricordate di questa loro zia tanto generosa e amorevole soltanto dopo la sua morte, ed avendo appreso la triste notizia – naturalmente di essere state diseredate queste hanno pensato bene di impugnare il testamento in quanto ritenuto falso, ovviamente da loro, quindi hanno dato luogo ad un procedimento civile impiantato sul nulla.
I beneficiari dell’eredità si sono rivolti a me nominandomi consulente di parte (convenuta) e sono ben felice di questo incarico dal momento che il testamento e la firma sono autentici.
La Signora C.S. (le iniziali per la privacy) circa due anni fa decide di fare testamento, alla soglia degli ottanta anni, e si è avvalsa della modalità Testamento Segreto, in cosa consiste?
Viene scritto in privato di proprio pugno perché scrivere personalmente il contenuto sembra dare al testatore l’impressione di esprimere meglio le proprie volontà, ma poi consegnato a un Notaio in una busta chiusa, con la presenza di due testimoni, a sua volta il notaio redige una dichiarazione che quel giorno in quell’ora la Signora C.S. consegna “brevi manu” le proprie ultime volontà, il tutto viene chiuso in un’altra busta insieme al testamento e naturalmente sigillata dal Notaio – Pubblico Ufficiale.
Questa modalità è un’ottima combinazione tra testamento olografo e pubblico perché da un lato soddisfa il desiderio di scrivere personalmente il proprio testamento in tutta segretezza (come l’olografo) dall’altro lato il vantaggio di garantire tramite il deposito presso un Notaio di fiducia la conservazione dell’atto e la sua certa reperibilità al momento opportuno.
Infatti gli svantaggi del testamento olografo sono svariati, può essere smarrito o distrutto ovvero sottratto per opera di terzi interessati, può essere falsificato, la sua autenticità può essere negata, allocando all’erede testamentario l’onere probatorio.

L’apocrifia della firma apposta sui moduli per il rilascio del
passaporto per il figlio minorenne

Sulla scrivania dei grafologi vengono sottoposti, con maggiore frequenza, i casi di falsificazione delle firme apposte da uno dei genitori di figli minorenni sulla modulistica per il rilascio del passaporto o della carta di identità valida per l’espatrio.

Si deve premettere che la vigente formulazione dell’art. 3 della legge n. 1185/1967 (norme sui passaporti) prevede che “non possono ottenere il passaporto” i minorenni senza l’assenso dei genitori, quali esercenti la responsabilità genitoriale, nonché i genitori che avendo “prole minore” non abbiano l’assenso dell’altro genitore ovvero, in mancanza, l’autorizzazione del Giudice tutelare.

Analogo consenso occorre per il rilascio della carta di identità valida per l’espatrio. In concreto, per il rilascio del passaporto ad un soggetto minorenne basta la presenza di uno solo dei genitori perché il consenso dell’altro genitore se “impossibilitato a presentarsi per la dichiarazione” presso gli uffici della Questura, può essere attestato allegando alla richiesta di rilascio del passaporto una fotocopia del documento del genitore assente firmato in originale (il documento deve essere firmato per il confronto delle firme) con una dichiarazione scritta di assenso all’espatrio firmata in originale ai sensi del DPR 445 del 2000 legge Bassanini.

In tale contesto si verificano i casi di falsificazione delle firme in alcuni casi apposte dall’altro genitore interessato al rilascio del documento per l’espatrio ed in altri casi ad opera dello stesso figlio minorenne che interessato alla partenza all’estero ed incaricato di raccogliere il consenso del padre o della madre provveda esso stesso ad apporre la firma sulla modulistica.

La giurisprudenza di merito ha ravvisato la fattispecie di reato della “falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico” (art. 483 c.p.) nell’ipotesi dell’apposizione della firma apocrifa dell’altro genitore nella modulistica di rilascio del passaporto. Per contrastare tali condotte illecite ed a salvaguardia dei minori, gli uffici della Questura effettuano delle verifiche apposte tra la firma presente sulla modulistica e quella del documento di identità, in tali casi viene interpellato il genitore assente presso gli uffici e firmatario allo scopo di confermare o meno la circostanza del prestato consenso. Diversamente, la falsità commessa viene alla luce con la conoscenza del viaggio all’estero mediante la pubblicazione di fotografie, il racconto da parte di amici, conoscenti ovvero in sede di rendicontazione delle spese sostenute per il figlio minore. Si può verificare anche il disconoscimento postumo e/o comunque strumentale da parte del genitore che aveva prestato il consenso ma, facendosi forza sulla propria assenza negli uffici pubblici, ritenga di rinnegare la propria sottoscrizione.

Tralasciando i tecnicismi circa le modalità per la validità di detto disconoscimento si può concludere affermando che i contrasti genitoriali fra persone non più unite dal legame sentimentale ben può richiedere il supporto del professionista grafologo anche nelle procedure che, di primo acchito, possono sembrare di routine. Senz’altro non appare opportuno ricevere la sottoscrizione dell’altro genitore per tramite del minorenne e/o di terze persone occorrendo, invece, dialogare direttamente con il firmatario della modulistica.

Gabriele Colasanti

Avvocato del Foro di Roma

La consulenza tecnica d’ufficio grafologica nel processo civile

Nel processo civile, la grafologia, nella fattispecie grafologia giudiziaria o forense, rappresenta una materia specialistica, connotata di peculiarità tecniche oltre che di stampo umanistico, utile a dirimere il contenzioso insorto fra le parti e rimesso all’autorità giudiziaria. Sono molteplici le controversie aventi ad oggetto l’apocrifia di una sottoscrizione o di un testo in particolare nell’ambito delle obbligazioni e dei contratti e nelle cause successorie che vede come “protagonista” il testamento olografo (art. 602 Cod. Civ.). Sembrano delineare l’importanza della grafologia in ambito giudiziario – civilistico – le disposizioni di cui agli artt. 214 c.p.c. e ss. (disconoscimento della scrittura privata). L’art. 216 c.p.c. (istanza di verificazione) prevede che “la parte che intende valersi della scrittura disconosciuta deve chiederne la verificazione, …indicando le scritture che possono servire di comparazione…”.
Ciò premesso, va precisato che il Giudice ove debba decidere su questioni che implichino l’impiego di conoscenze specialistiche e/o tecniche può avvalersi di un consulente tecnico d’ufficio (C.T.U.) che assume la qualifica di ausiliario del giudice allo scopo di rispondere ai quesiti formulati dal Giudice (oggetto dell’incarico peritale) che in ambito civilistico vengono determinati sulla scorta delle domande e delle eccezioni delle parti sulle quali grava l’onere della prova. Pertanto, il Giudice può individuare un consulente tecnico al quale assegnare la risposta ad uno o più quesiti circa i fatti controversi fra le parti in causa (ad esempio: “accerti il C.T.U. se la firma apparentemente apposta da Tizio sul contratto di locazione sia apocrifa” oppure “accerti il C.T.U. se il testamento olografo pubblicato in data x dal notaio Sempronio sia stato interamente redatto per mano del defunto Mevio e dallo stesso sottoscritto”).
Laddove venga nominato un consulente tecnico d’ufficio le parti in causa hanno diritto di nominare un consulente tecnico di parte (C.T.P.) che assista alle operazioni peritali ai sensi dell’art. 194 c.p.c., presenti eventuali osservazioni ed istanze nonché sia parte del contraddittorio che conduce il C.T.U. ad elaborare la relazione di consulenza tecnica d’ufficio sa sottoporre al giudice.
Sotto il profilo processuale le operazioni peritali si debbono svolgere nel rispetto del principio del contraddittorio, alla stregua di quanto dispongono l’art. 194, comma 2°, c.p.c., e l’art. 90 disp. att. c.p.c., che presidiano il diritto delle parti di intervenire, nel contraddittorio tra di loro, alle operazioni peritali (di persona o a mezzo dei propri consulenti e difensori) e di presentare al consulente – per iscritto o financo a voce – osservazioni ed istanze.
L’art. 195, comma 2°, c.p.c. prescrive, altresì, di inviare la bozza di consulenza alle parti, al fine di raccoglierne le osservazioni, prima del deposito formale della perizia.
Pertanto, gli aspetti sinteticamente sopra illustrati debbono essere considerati da coloro che intendano promuovere o resistere in giudizio sia per evitare azioni ovvero eccezioni non idonee a superare il vaglio tecnico in contraddittorio sia per esaminare la possibilità di farsi assistere da un consulente tecnico di parte.

Gabriele Colasanti
Avvocato del Foro di Roma

Titoli di credito – assegni di traenza – contestuale apertura libretto di risparmio –
illegittimo incasso con firma apocrifa – concorso di colpa

Nota alla sentenza del Tribunale Roma, Sez. XVII, Sent., 04/11/2021, n. 17121 – A cura dell’Avv. Valerio Di Giorgio

Con la sentenza in esame si riporta all’attenzione del lettore la doglianza con cui il legale rappresentante di una Compagnia di Assicurazioni conveniva in giudizio Poste Italiane Spa (odierna convenuta) chiedendo, come precisato nella prima memoria ex art. 183 , VI comma, c.p.c., previa ogni più opportuna declaratoria in ordine alla responsabilità della convenuta, di condannarla al pagamento, in favore di essa attrice della somma complessiva di Euro 8.738,42, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dal dovuto al saldo.
Oggetto del procedimento è la negoziazione di numero tre assegni di traenza non trasferibili:
Dalla documentazione allegata è emerso che:
-rispettivamente in data 22.6.2006, 17.1.2006 e 24.11.2005 detti assegni erano negoziati all’Ufficio Postale; in particolare, i soggetti che negoziavano detti assegni aprivano, in pari data, un libretto di risparmio postale e, successivamente negoziavano gli assegni in questione.
-i soggetti erano identificati mediante documento di identità e codice fiscale e, come emerge dalla documentazione relativa alla pratica di apertura dei libretti di risparmio, detti soggetti fornivano la medesima identità dei beneficiari dei titoli di credito con dati anagrafici -luogo, data di nascita e strada di residenza- diversi da quelli dell’effettivo destinatario dell’assegno (come risultanti dai dati riportati nelle denunce rispettivamente presentate);
-nel frattempo gli effettivi destinatari degli assegni in questione, presentavano denuncia rappresentando l’avvenuto incasso di detto assegno con firma apocrifa.
Nel merito, va premesso che nel caso di specie, il dedotto inadempimento imputato alla Posta non concerne la fattispecie relativa al mancato rispetto dell’obbligo di pagamento dei titoli di credito, muniti della clausola di non trasferibilità, al beneficiario indicato, essendo oggetto nel caso di specie, la diversa ipotesi di pagamento di assegno apparentemente pagato al legittimo beneficiario, cioè a colui che era espressamente indicato quale unico beneficiario del titolo.
Nel caso in esame, i titoli di credito in oggetto sono assegni tratti per conto terzi la cui peculiarità è che non contiene la sottoscrizione del soggetto emittente, ma è sottoscritto direttamente dal beneficiario con girata in favore di se stesso; detti titoli, per come visto, sono stati pagati agli apparenti beneficiari degli assegni, a seguito della probabile contraffazione dei documenti identificativi.
In casi simili, si ritiene (come nell’analogo caso di firma apocrifa dell’assegno -cfr. Cass. Sez. III, sent. n. 20292/2011) che la società negoziatrice dell’assegno possa essere ritenuta responsabile non a fronte della mera fraudolenta sostituzione di un soggetto al reale destinatario e beneficiario del titolo di credito, ma solo nei casi in cui una tale sostituzione sia rilevabile in base alla diligenza media dell’operatore nell’effettuazione della negoziazione in questione.
Va evidenziata anche la recente giurisprudenza della Suprema Corte (Sez. Un., sent. n. 12477/2018) che ritiene, comunque, che “Ai sensi dell’art. 43 , comma 2, del R.D. n. 1736 del 1933 (c.d. legge assegni), la banca negoziatrice chiamata a rispondere del danno derivato – per errore nell’identificazione del legittimo portatore del titolo – dal pagamento dell’assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola non trasferibilità a persona diversa dall’effettivo beneficiario, è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176 , comma 2, c.c.”.
Ciò premesso, si ritiene, nel caso di specie, sussistere una condotta negligente della società convenuta la quale, tramite un semplice e rapido controllo dell’esattezza dei codici fiscali, in via telematica, poteva verificare la validità di detti codici (l’invalidità di detti codici fiscali è documentata dalla parte attrice in sede di memoria istruttoria).
Tale condotta doveva ritenersi esigibile nel caso in esame, in base alla media diligenza che deve essere propria dei professionisti addetti alla negoziazione di titoli, considerato che per il tipo di titolo in questione non era possibile un confronto con uno “specimen” di firma e considerata la circostanza che i soggetti, non conosciuti quali abituali cliente della società convenuta, avevano acceso solo in pari data alla negoziazione dell’assegno un libretto di risparmio, fatto che avrebbe dovuto sollecitare maggiore cautela e attenzione nel controllo circa l’identificazione dei soggetti -i quali, inoltre, non risiedevano nel luogo ove erano rispettivamente incassati gli assegni, previa apertura del libretto di risparmio-.
In ordine al danno, poi, questo consegue all’incasso dei titoli di credito da parte dei soggetti diversi dai reali destinatari dei titoli medesimi, con conseguente perdita ingiustificata di quella somma da parte del soggetto emittente gli assegni, il quale ne aveva costituito la provvista; nel caso di specie è stato comunque documentato, per i primi due assegni, il nuovo pagamento effettuato dalla parte attrice, nei confronti dei reali beneficiari, degli assegni in questione.
In relazione alla contestazione del concorso di colpa, ex art.1227 c.c., avanzata dalla parte convenuta, in relazione alla condotta della parte attrice che si era avvalsa, in accordo con gli istituti di credito trattari, per la trasmissione dei titoli di credito in argomento, della posta ordinaria, va evidenziata la recente pronuncia delle Sezioni Unite (sent. n.9769/2020) sul punto.
In detta pronuncia era, innanzitutto, ribadita la natura contrattuale della responsabilità dell’istituto che negozia l’assegno trattandosi di “un’ipotesi di responsabilità contrattuale c.d. da contatto sociale”, fondata sull’obbligo professionale di protezione” nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine della sottostante operazione, ed era evidenziato che, al fine di sottrarsi alla responsabilità, l’istituto che negozia l’assegno è tenuto a provare di aver assolto alla propria obbligazione con la diligenza dovuta, che è quella nascente, ai sensi dell’art. 1176 , secondo comma, cod. civ., dalla sua qualità di operatore professionale, tenuto a rispondere anche in ipotesi di colpa lieve.
Era evidenziato che lo scopo della clausola di intrasferibilità consisteva non solo nell’assicurare all’effettivo prenditore il conseguimento della prestazione dovuta, ma anche e soprattutto nell’impedire la circolazione del titolo.
Riguardo al nesso causale, richiamati gli articolo 40 e 41 cod. pen. ed i principi della “condicio sine qua non” e della “causalità adeguata” sottolineava come “il rigore del principio dell’equivalenza delle cause, posto dall’art. 40 cod. pen., in virtù del quale deve riconoscersi a ciascuna di esse efficienza causale, trova il suo temperamento nel principio di causalità efficiente, desumibile dal secondo comma dell’art. 41 cod. pen., in base al quale l’evento dannoso può essere attribuito esclusivamente all’autore della condotta sopravvenuta soltanto se questa condotta risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale già in atto”
Rilevava che l’interruzione del nesso causale poteva essere anche l’effetto del comportamento dello stesso danneggiato e che detta condotta -anteriore, coeva o successiva alla commissione del fatto illecito- poteva essere tale da interrompere il nesso causale dell’evento dannoso con le condotte precedentemente poste in essere ovvero essere idonea solo a concorrere alla produzione del danno, applicandosi, in quest’ultimo caso, “l’art. 1227 , primo comma, cod. civ., il quale afferma il principio secondo cui il danno che taluno arreca a sé medesimo non può essere posto a carico dell’autore della causa concorrente.
Evidenziava, quindi, la Suprema Corte che “in caso di sottrazione di un assegno non trasferibile non consegnato direttamente al prenditore, le modalità prescelte per la trasmissione del titolo possano spiegare un’efficienza causale ai fini della riscossione del relativo importo da parte di un soggetto non legittimato” in quanto ai fini della negoziazione dell’assegno oltre ad essere necessaria una compiuta identificazione del prenditore dell’assegno e indispensabile anche la materiale disponibilità del titolo da porre all’incasso; sottolineava, invero, che “il possesso del documento rappresenta infatti una condizione essenziale per l’esercizio del diritto in esso incorporato, allo stesso modo della qualità di prenditore di colui che presenta il titolo all’incasso”.
Riteneva, quindi, la Cassazione che qualora “la sottrazione sia stata cagionata o comunque agevolata dall’adozione di modalità di trasmissione inidonee a garantire, per quanto possibile, che l’assegno pervenga al destinatario, non può dubitarsi che la scelta delle predette modalità costituisca, al pari dell’errore nell’identificazione del presentatore, un antecedente necessario dell’evento dannoso, che rispetto ad esso non si presenta come una conseguenza affatto inverosimile o imprevedibile.
Proseguiva rilevando:
che “il rischio che l’assegno possa cadere in mani diverse da quelle del destinatario, e sia presentato all’incasso da un soggetto diverso dallo effettivo prenditore non può ritenersi “scongiurato né dalla clausola d’intrasferibilità, la cui funzione precipua non consiste, come si è detto, nell’evitare il predetto evento, ma nell’impedire la circolazione del titolo, né dall’imposizione a carico della banca dell’obbligo di procedere all’identificazione del presentatore, dal momento che il puntuale adempimento di tale obbligo è reso sempre più difficoltoso dallo sviluppo di perfezionate tecniche di contraffazione dei documenti”;
che “in tale contesto, la scelta di avvalersi della posta ordinaria per la trasmissione dell’assegno al beneficiario, pur in presenza di altre forme di spedizione (posta raccomandata o assicurata) o di strumenti di pagamento ben più moderni e sicuri (quali il bonifico bancario o il pagamento elettronico), si traduce nella consapevole assunzione di un rischio da parte del mittente, che non può non costituire oggetto di valutazione ai fini dell’individuazione della causa dell’evento dannoso: quest’ultima, infatti, non è identificabile esclusivamente con il segmento terminale del processo che ha condotto al verificarsi dell’evento, ma dev’essere individuata tenendo conto dell’intera sequenza dei fatti che lo hanno determinato, escludendo ovviamente quelli che non hanno spiegato alcuna incidenza su di esso, per essere stati superati da altri fatti successivi di per sé soli sufficienti a cagionarlo;
che il riconoscimento del concorso di colpa del danneggiato può ritenersi integrato non solo quando vi sia una condotta tenuta in violazione di precise norme giuridiche, ma anche quando quella condotta comporta “l’esposizione volontaria o comunque consapevole ad un rischio che, secondo regole di prudenza comportamentale avvertite come vincolanti dalla comunità, si ponga al di sopra della soglia della normalità, dal momento che in tal caso il comportamento tenuto dal danneggiato si inserisce nel processo eziologico che conduce all’evento dannoso, divenendo un segmento della catena causale”:
Sulla base di dette argomentazioni, la Cassazione, dopo aver premesso che non sussistono norme giuridiche che escludano l’utilizzo dell’assegno per effettuare pagamenti a distanza e ritenuta l’impossibilità di attribuire efficacia giuridicamente vincolante alle norme che disciplinano il servizio postale, partendo dall’esame delle modalità di prestazione del servizio postale, evidenziava le particolari cautele apprestate dalla normativa per la spedizione, la trasmissione e la consegna della posta raccomandata ed assicurata, rispetto alle corrispondenti modalità previste per la posta ordinaria.
Conseguentemente, riteneva che l’assunzione del rischio di sottrazione del titolo di credito a seguito del mancato utilizzo di forme di corrispondenza più sicure era condotta idonea anche ad accrescere la probabilità di pagamenti a soggetti non legittimati, comportando un aggravamento della posizione della banca trattaria o negoziatrice e la violazione del dovere di agire in modo da preservare gl’interessi di tutti i soggetti coinvolti nella vicenda, ove ciò non comporti un apprezzabile sacrificio a proprio carico, “in ossequio al principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost., che a livello di legislazione ordinaria trova espressione proprio nella regola di cui all’art. 1227 cod. civ., operante sia in materia extracontrattuale, in virtù nell’espresso richiamo di tale disposizione da parte dell’art. 2056 cod. civ., sia in materia contrattuale, come riflesso dell’obbligo di comportarsi secondo correttezza e buona fede, previsto dall’art. 1175 cod. civ. in riferimento sia alla formazione che all’interpretazione e all’esecuzione del contratto”.
Pertanto, la Corte, in base alle suddette condivisibili considerazioni indicava il seguente principio:
“La spedizione per posta ordinaria di un assegno, ancorché munito di clausola d’intrasferibilità, costituisce, in caso di sottrazione del titolo e riscossione da parte di un soggetto non legittimato, condotta idonea a giustificare l’affermazione del concorso di colpa del mittente, comportando, in relazione alle modalità di trasmissione e consegna previste dalla disciplina del servizio postale, l’esposizione volontaria del mittente ad un rischio superiore a quello consentito dal rispetto delle regole di comune prudenza e del dovere di agire per preservare gl’interessi degli altri soggetti coinvolti nella vicenda, e configurandosi dunque come un antecedente necessario dell’evento dannoso, concorrente con il comportamento colposo eventualmente tenuto dalla banca nell’identificazione del presentatore”.
Pertanto, il Tribunale ritenuta, per quanto già detto, la sussistenza di un comportamento colposo della parte convenuta nell’identificazione del presentatore dell’assegno in questione, ritiene anche sussistere, ex art.1227 c.c., una condotta negligente della società attrice nel non aver adottato o fatto adottare, per l’invio dell’assegno, uno strumento più sicuro di quello della posta ordinaria, ponendo in essere un concorrente comportamento colposo, anch’esso antecedente necessario dell’effetto dannoso contestato.
Ritenuto, quindi, che le condotte negligenti poste in essere dalle parti siano antecedenti necessari dell’evento lesivo, si ritiene prevalente la responsabilità delle P.I., in considerazione della maggiore gravità della condotta negligente tenuto dall’ufficio postale rispetto alle verifiche da effettuare in relazione ad una situazione “anomala”, quale l’incasso di un assegno di traenza contestualmente all’apertura di un libretto postale da parte di soggetto non avente, fino a quel momento, depositi o conti presso P., rispetto alla condotta tenuta dalla parte attrice, che rappresenta solo il soggetto che ha partecipato con la modalità di innesto della catena causale – consistito nella superficialità di aver effettuato la spedizione degli assegni tramite l’utilizzo dei normali servizi postali privi di tracciabilità e insidiati da più elevato pericolo di sottrazione, pur potendo con un minimo sforzo rendere più sicura la trasmissione e consegna del plico.
Conseguentemente, si ritiene imputabile il concorso di colpa della parte attrice nella misura di un terzo.
Pertanto, la società convenuta è stata condannata, a titolo di risarcimento del danno, al pagamento, in favore della parte attrice, dei due terzi dell’importo complessivo degli assegni in oggetto, oltre la rivalutazione annuale secondo gli indici I.S.T.A.T., trattandosi di debito di valore, dalla data di negoziazione degli assegni (data dell’evento lesivo) al saldo, nonché gli interessi, nella misura del tasso legale, sulla somma annualmente rivalutata dalla domanda al saldo.

FIRMA SU TESTAMENTO OLOGRAFO SCRITTO IN STAMPATELLO

A cura di Patrizia Belloni

grafologa giudiziaria

Cosa spinge un uomo di circa sessant’anni che gode di ottima salute ed instancabile lavoratore a scrivere un testamento olografo in stampatello pochi giorni prima della sua morte e lasciare tutti i suoi beni alla seconda moglie e alle due figlie nate da quella unione, escludendo totalmente dall’asse ereditario il figlio avuto dal primo matrimonio, forse il presentimento che da lì a poco sarebbe venuto a mancare?

Il Sig. Mario (nome di fantasia) aveva una azienda di trasporti e a  volte lui stesso era alla guida di un camion che spesso lo portava a viaggiare, magari per sopperire alla mancanza di personale ed è  morto in modo accidentale senza un perché, l’ennesima vittima della strada, non è più  tornato dalla sua famiglia con l’unica responsabilità di essere sceso dal mezzo su cui viaggiava in una notte di pioggia per aiutare un automobilista in difficoltà ed essere travolto da un camion  guidato da un suo collega  che probabilmente non lo aveva visto tra la stanchezza delle tante ore forse troppe alla guida ed al maltempo.

Il suddetto quesito che mi è stato posto poco tempo fa da un uomo, un quarantenne  figlio della vittima nato dal primo matrimonio e da ciò che mi ha riferito, suo padre  aveva avuto una vita piuttosto movimentata sotto svariati punti di vista,  si era sposato molto giovane poco più che ventenne con una sua coetanea rimasta incinta quindi dopo le nozze riparatrici e la nascita di questo figlio, il Sig. Mario aveva “messo su” con l’aiuto dei suoi genitori questa piccola azienda di trasporti cresciuta via via nel corso degli anni.

Il lavoro certo non mancava ma i turni di lavoro massacranti lo rendevano un marito ed un padre “latitante”, a tal punto che la giovane moglie dopo pochi anni dal loro matrimonio e con questo bambino ancora in tenera età tornò a vivere nella casa genitoriale chiedendo la separazione dal Sig. Mario.

Dopo qualche anno l’incontro con una nuova donna che da lì a poco lo renderà ancora padre per ben altre due volte ed ottenuta la separazione dalla prima moglie convolerà di nuovo a nozze.

Ovviamente come ho già detto svariate volte la perizia giudiziaria si basa su prove oggettive ed il grafologo tenendo sempre bene a mente la deontologia professionale deve attenersi scrupolosamente a prove reali e tangibili, oggettive  ovvero scritti o firme come in questo caso , in quantità sufficiente per una adeguata e scrupolosa comparazione con la firma contestata e soprattutto se si tratta di fotocopie che siano chiare e leggibili, per poter appurare l’esistenza o meno di una  significativa variabilità grafica  e per fare ciò occorrono scritture e firme diluite nel tempo ma ovviamente non troppo distanti dalla data del testamento, pertanto non lasciarsi influenzare dai racconti di vita, storie assolutamente reali che alle volte potrebbero in qualche modo deviare il giudizio.

 

In questo specifico caso, dal momento che il Sig. Mario persona semplice non era solito scrivere, mi sono potuta avvalere soltanto delle sue firme “certe” apposte nel corso degli anni su svariati documenti, atti notori, specimen bancario ecc. ovviamente quelle apposte prima del suo decesso perché il testamento olografo, apparentemente scritto dal Sig. Mario aveva una data molto vicina alla sua morte, soltanto di pochi giorni prima e tra l’altro, leggendo il testamento la motivazione principale come “giustificazione” del fatto che avrebbe escluso il figlio negandogli la quota legittima prevista dalla legge è che lo avrebbe aiutato elargendo di tanto in tanto delle somme (esigue) di danaro, che il Sig. Mario ovviamente mentre scriveva il suo testamento avrebbe quantificato.

Variabilità grafica

Valutare la variabilità grafica di una firma è molto importante dal punto di vista peritale soprattutto per quanto riguarda quella sui testamenti significa “monitorare” la scrittura nel corso degli anni di un individuo e le eventuali modifiche che potrebbero palesarsi in un breve percorso grafico quale la firma ma – spesso anche no – fermo restando che le specie grafiche più importanti che ci informano sui tratti caratteriologici di una persona restano tali nel tempo.

Infatti ciò che mi ha fatto decidere per “apocrifia”, quindi di una firma non autentica apposta sul testamento olografo vergato interamente in stampatello, e di conseguenza accettare l’incarico di consulente di parte, è stato che il Sig. Mario in moltissime firme che mi ha prodotto il figlio,  all’incirca più di dieci diluite nel tempo, anche su documenti originali, ho riscontrato una coerenza grafica ineccepibile, sempre la stessa inclinazione, dimensione, ovvero il calibro delle singole lettere, la loro formazione e  la modalità di legarle tra di loro, identica distanza tra il nome ed il cognome, la fluidità e scorrevolezza, frutto di un gesto libero, conteneva sempre quei segni particolari caratteristici, peculiarità esclusive dello scrivente che definiamo “idiotismi grafici”, mentre la firma apposta sul testamento era del tutto difforme, soste e riprese che sono il chiaro sintomo di incertezza, ripassi per “aggiustare” le lettere, lentezza nell’esecuzione ed una fisionomia grafica distorta.

 Per maggiore chiarezza esplicativa posso aggiungere che per quanto riguarda la firma dal punto di vista neuropsicologico ha un percorso diverso dalla scrittura, infatti mentre una lesione cerebrale vascolare può danneggiare la qualità della scrittura è molto probabile, invece, che rimanga intatta l’abilità nel firmare, in quanto le due attività hanno percorsi nervosi assolutamente diversi.

Quando si scrive il testo qualunque esso sia dal semplice biglietto di auguri che accompagna un regalo, alla stesura  di un testamento olografo viene prodotto uno sforzo diverso da quando si firma, il testo anche se breve comunque viene pensato viceversa  apporre il proprio nome e cognome rappresenta la massima sintesi di velocità non dobbiamo pensare a ciò che scriviamo perché la firma è il gesto automatico per eccellenza, pertanto è un test attendibile ma quando in perizia giudiziaria si analizza una firma contestata e si confronta con altre firme certe di una persona deve necessariamente innanzi tutto possedere i requisiti fondamentali di spontaneità e naturalezza.

A corredo di quanto illustrato risulta opportuno evidenziare che il codice civile tutela i “legittimari” ossia quei soggetti che non possono essere estromessi dalla successione del de cuius in quanto la legge gli riserva una quota di legittima. Infatti. l’art. 536 Cod. Civ. dispone quanto segue: “…Le persone a favore delle quali la legge riserva una quota di eredità o altri diritti nella successione sono: il coniuge, i figli, gli ascendenti. Ai figli sono equiparati gli adottivi…”.

FALSITA’ IN ATTI – SOTTOSCRIZIONE APOCRIFA CONTRATTO DI LOCAZIONE – RILEVANZA
PROBATORIA CTU

Nel nostro ordinamento è previsto il reato di “falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico” (art. 483 c.p.) che punisce “Chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità…”.
Tale ipotesi di reato coinvolge anche i grafologi in quanto la Suprema Corte di Cassazione ha incluso nella condotta incriminata dall’art. 483 c.p. anche la falsità della sottoscrizione nel modulo e nella delega per la richiesta di registrazione del contratto di locazione (Cassazione, Sez. V penale, Sent. n. 37880 del 21/10/2021).

Con la predetta sentenza i giudici di legittimità hanno confermato la condanna della Corte di Appello di Napoli nei confronti delle due imputate responsabili di aver apposto sulla richiesta di registrazione di un contratto di locazione, una sottoscrizione apocrifa di una terza persona, al tempo gravemente malata, nella qualità di delegante e proprietaria dell’immobile oggetto del contratto di locazione.

Sembra opportuno evidenziare che nella fattispecie in esame la Corte di merito era pervenuta alla condanna sulla scorta di una consulenza tecnica d’ufficio grafologica che era pervenuta alla conclusione di ritenere false le firme sul contratto di locazione e quelle sui moduli per la registrazione dello stesso poiché non riconducibili alla mano della dell’anziana signora (presunta delegante poiché gravemente malata). Negli stessi termini la consulenza grafologica aveva escluso che il contratto ed i moduli compilati per la registrazione fossero stati firmati dalla stessa mano.
Appare utile evidenziare che la conoscenza da parte dell’intestatario del contratto dell’apposizione di una firma falsa da parte di un terzo è stata ritenuta irrilevante posto che la circostanza non incide sulla falsità delle sue sottoscrizioni e, dunque, sulla rilevanza penale del fatto attribuito ai sensi dell’art. 483 c.p.
Con la recente sentenza la Cassazione (Sent. n. 37880/2021) ha rigettato le censure mosse dalle imputate che avevano dedotto vizi di motivazione con riferimento al giudizio di attendibilità della consulenza grafologica posta alla base della condanna.
La sottoscrizione apocrifa sul contratto di locazione rientra nell’ipotesi di reato in discussione perché, secondo il consolidato insegnamento della Cassazione, il concetto di atto pubblico è, agli effetti della tutela penale, più ampio di quello desumibile dall’art. 2699 c.c., rientrandovi non soltanto il documento redatto dal pubblico ufficiale, ma anche quelli aventi l’attitudine ad assumere rilevanza giuridica e/o valore probatorio interno alla pubblica amministrazione. (ex multis Cass. Sez. V, Sentenza n. 9358 del 24/04/1998; Cass. Sez. V, Sentenza n. 15901 del 15/02/2021). Rientrano, quindi, nella suddetta nozione anche gli atti preparatori di una fattispecie documentale complessa, come gli atti di impulso (domande, richieste ecc.) di procedure amministrative che presentino un tale contenuto attestativo a prescindere che il loro contenuto venga integralmente trasfuso nell’atto finale del pubblico ufficiale o ne venga a costituire solo presupposto implicito necessario.
Nel caso di specie, difatti, il falso commesso dalle imputate è stato ritenuto rilevante ai sensi dell’art. 483 c.p., in quanto contenuto in un atto propedeutico alla formazione di un atto pubblico, ma, come esattamente contestato e ritenuto, è caduto sui documenti descritti nel capo d’imputazione.
Secondo la Corte di Cassazione la sentenza di condanna aveva considerato in modo coerente e logico le conclusioni della CTU grafologica la quale, aveva chiarito in sede dibattimentale come gli elementi attributivi delle firme all’imputata fossero quantitativamente e qualitativamente significativi, spiegando le marginali discrasie registrate in ragione della limitata consistenza dei campioni autografi acquisiti.
Da tali assunti la Corte territoriale ha dunque logicamente desunto la sicura paternità delle firme sul modello e sulla delega per la registrazione del contratto in capo ad una delle imputate, riconoscendone dunque la penale responsabilità.
In conclusione, nel novero degli atti che possono formare l’oggetto della consulenza grafologica vi rientrano anche le scritture private assoggettate a registrazione (tra le quali il contratto di locazione), le modulistiche dell’Agenzia delle Entrate, in genere, le istanze ed le dichiarazioni rivolte a pubblici uffici.
In tale ambito, la consulenza grafologica risulta strumentale con riferimento agli effetti giuridici prettamente civilistici ma anche sotto il profilo della responsabilità penale del “falsario”.

Avv. Gabriele Colasanti con la collaborazione dell’ avvocato V.D.G.

Nullità contratto di fornitura energetica – Firma Falsa – arricchimento senza causa – fornitura non richiesta – art. 57 Codice del Consumo

Nota di Redazione a cura dell’ Avv. Valerio Di Giorgio

La sentenza in commento (Cass. civ., Sez. III, 12/01/2021, n. 261) pone in esame la controversia con cui Enel Energia S.p.a. propose appello avverso la sentenza n. 809/2011 emessa dal Giudice di Pace di Fasano, con la quale, in accoglimento delle domande proposte dal consumatore, era stata dichiarata la nullità, per mancata autenticità della sottoscrizione contrattuale dell’attore stesso, del contratto di fornitura di energia elettrica. Pertanto era stato accertato che nulla era dovuto a detta società per la fornitura di energia elettrica e gas in favore dell’attore ed era stata pronunciata la condanna di Enel Energia S.p.a. alla restituzione di Euro 463,84 nonchè al risarcimento dei danni non patrimoniali nella misura di Euro 700,00; inoltre, erano state rigettate le domande proposte dalla stessa Enel Energia S.p.a. nei confronti del terzo chiamato in causa (Zerocorp di D.G.L.A.), quale agente di commercio responsabile della falsificazione della firma nelle scritture contenenti i contratti di fornitura di energia elettrica.
L’appellante dedusse che erroneamente il Giudice di Pace aveva rigettato l’eccezione riconvenzionale di arricchimento senza causa proposta in via subordinata avendo illegittimamente applicato l’art. 57 , comma 1, del Codice del Consumo, interpretando detta norma nel senso che, in caso di nullità del contratto, all’ente fornitore non competeva alcun compenso, nemmeno a titolo di arricchimento senza causa. Secondo l’appellante, invece, a tale ente competeva comunque l’indebito arricchimento pari al minor compenso che l’utente avrebbe continuato a corrispondere al precedente fornitore – Enel Servizio Elettrico S.p.a. – in base al preesistente contratto di fornitura con detta società. L’appellante contestò la decisione di primo grado anche nella parte in cui il Giudice di pace aveva rigettato le domande di manleva e risarcitorie avanzate nei confronti della chiamata in causa, Zerocorp di D.G.L.A., sostenendo che erroneamente quel Giudice aveva ritenuto non provata la riferibilità alla Zerocorp del modulo di adesione al contratto di fornitura che recava la falsificazione della firma, evidenziando che, invece, tale riferibilità risultava per tabulas dal contenuto del modulo contrattuale in questione, su cui era annotato il codice dell’Agenzia, che contraddistingueva solo ed esclusivamente quell’agente.
Il Tribunale di Brindisi, in accoglimento dell’appello e in totale riforma dell’impugnata sentenza, rigettò tutte le domande proposte dal consumatore in primo grado e condannò lo stesso alla rifusione, in favore di Enel Energia S.p.a., delle spese del doppio grado del giudizio di merito.
Avverso la sentenza della Corte di merito il consumatore ha proposto ricorso per cassazione, basato su quattro motivi e illustrato da memoria.
Enel Energia S.p.a. ha resistito con controricorso illustrato da memoria.
Con il primo motivo si deduce “Violazione e falsa e/o erronea applicazione di norme di diritto con riferimento al D.Lgs. n. 206 del 2005 , art. 57 , comma 1, vigente ratione temporis in relazione al concetto di “fornitura non richiesta” ed alla eccezione riconvenzionale di indebito arricchimento”.
Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto illegittima l’applicazione, da parte del Giudice di pace, del citato art. 57, con riferimento alla ritenuta mancanza di richiesta della fornitura, e ha conseguentemente accolto l’eccezione riconvenzionale di indebito arricchimento proposta in primo grado da Enel Energia S.p.a. e denuncia che il Giudice di appello abbia ritenuto “non richiesto” il nuovo fornitore ma non la fornitura, sul rilievo che il consumatore, dopo aver contestato e disconosciuto il rapporto contrattuale con Enel Energia S.p.a., aveva formulato istanza di rientro con il precedente fornitore.
Sostiene, invece, il ricorrente che l’art. 57 citato sarebbe perfettamente applicabile al caso di specie, stante la nullità o l’inesistenza del contratto con Enel Energia S.p.a. perché corredato da sottoscrizione palesemente contraffatta e per la quale era stata presentata querela.
Premesso che per fornitura non richiesta deve intendersi “quella fornitura di beni o di servizi (tra cui anche quella di energia elettrica), che comporti una controprestazione economica per la quale il consumatore non abbia preventivamente manifestato il proprio consenso e/o non ne abbia previamente ordinato l’esecuzione”, il ricorrente assume che, nel caso all’esame, sussisterebbero tutti gli elementi individuati dal legislatore per l’applicazione del già richiamato art. 57, in quanto: a) vi è una fornitura elettrica mai richiesta dal consumatore, per la quale è previsto il pagamento di un prezzo, b) trattasi di fornitura diversa da quella precedente, unica richiesta dal consumatore, che, prima del passaggio con Enel Energia S.p.a. (determinato da un contratto falso), si avvaleva della fornitura di Enel Servizio Elettrico S.p.a., diverso gestore; c) Enel Energia S.p.a., pur facendo parte del gruppo Enel, è società del tutto distinta da Enel Servizio Elettrico S.p.a., dalla quale si differenzia sia come soggetto giuridico (partita IVA, codice fiscale, intestazione, ecc.), sia in quanto opera nel cd. mercato libero dell’energia in concorrenza con le altre società elettriche laddove, invece, Enel Servizio Elettrico S.p.a. (ora Servizio Elettrico Nazionale S.p.a.) opera nel cd. mercato di maggior tutela, in regime di sostanziale monopolio, pur sempre a garanzia del consumatore; d) i contratti stipulati nei due mercati prevedono una regolamentazione del tutto diversa; e) nel caso all’esame non sarebbe configurabile nè una novazione soggettiva nè una novazione oggettiva.
Assume il ricorrente che “a non essere richiesta non è solo la fornitura da un soggetto diverso dal precedente ma proprio quella fornitura alle nuove e diverse condizioni contrattuali” e di non aver mai avuto la volontà di usufruire dei servizi contrattuali forniti da Enel Energia S.p.A., peraltro a condizioni difformi e peggiorative.
La ratio dell’art. 57, si coglierebbe ancor di più, ad avviso del ricorrente, analizzando l’art. 27 della direttiva 2011/83/UE , direttiva ora recepita dal D.Lgs. n. 21 del 2014 , che ne ha trasfuso il testo nell’art. 66-quinquies Codice del Consumo che ha sostituito il già citato art. 57; trattandosi di norme imperative, sia l’art. 57, che l’art. 66-quinquies, prevalgono su qualsiasi Delib. dell’AEEG di segno contrario. Ne consegue, secondo il ricorrente, che non può interpretarsi in alcun modo l’art. 57, nel senso che tale norma sia applicabile solo all’ipotesi di una nuova fornitura intesa come fornitura riferita ad un’utenza mai prima di allora servita da altro contratto e/o altro operatore elettrico.
Il ricorrente contesta, infine, che il quantum dovuto sia pacifico, trattandosi di dichiarazione chiaramente subordinata alla denegata ipotesi in cui non fosse stato ritenuto applicabile nel caso di specie l’art. 57 e dettata dal fine di evitare inutili e dispendiose integrazioni istruttorie (c.t.u. antieconomica, dovendo, nell’ipotesi formulata dal Tribunale, restituire all’attuale controricorrente l’importo di Euro 463,84).
Secondo gli Ermellini Il motivo è fondato in base alle considerazioni che seguono:
Il Tribunale ha ritenuto non applicabile l’art. 57 Codice di Consumo, nella formulazione ratione temporis vigente, sul rilievo che, nella specie, non sussisterebbe la fattispecie, regolata dalla predetta norma, della fornitura non richiesta dal consumatore in quanto non era la fornitura ad essere “non richiesta”, riferendosi peraltro a servizi essenziali, bensì “non richiesti” erano il nuovo fornitore e soprattutto le diverse e più gravose condizioni economiche imposte con la nuova tariffa. Afferma il Giudice di secondo grado che, dovendosi interpretare il contratto secondo buona fede, è evidente che l’interesse dell’utente non era quello di non beneficiare dei servizi in oggetto bensì quello di ricevere la fornitura dal precedente fornitore e di mantenere le condizioni contrattuali da questi accordate, tanto è vero che il consumatore non aveva chiesto l’interruzione della fornitura in questione ma aveva formulato l’istanza di tornare a ricevere la stessa dal precedente fornitore. Il Tribunale ha conseguentemente ritenuto che, pur ricorrendo la nullità dei contratti di fornitura elettrica e di gas, non si configurerebbe la fattispecie della “fornitura non richiesta” regolata dall’art. 57 citato e costituente il presupposto, ad avviso di quel Giudice, necessario per l’affermazione che nessun costo debba essere posto a carico del consumatore. Sulla base di tali considerazioni il Tribunale ha, quindi, ritenuto di accogliere l’eccezione riconvenzionale di indebito arricchimento proposta dall’attuale controricorrente, “nel senso che, stante l’inesistenza del titolo contrattuale, non può trovare giustificazione nell’ordinamento la sbilanciata pretesa da parte dell’utente del totale risparmio dei costi che egli avrebbe dovuto comunque sostenere, in base alle condizioni contrattuali di maggior favore instaurate con il precedente gestore, per i quantitativi di corrente elettrica e di gas che in concreto e di fatto gli sono stati forniti dal nuovo gestore”.
Così decidendo il Tribunale è incorso in un vizio di sussunzione correttamente veicolato dal ricorrente con l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare condivisibilmente che “quando il giudice di merito, dopo avere ricostruito la quaestio facti secondo le allegazioni e le prove offerte dalle parti individua i termini della c.d. fattispecie concreta e, quindi, riconduce quest’ultima ad una fattispecie giuridica astratta piuttosto che ad un’altra cui sarebbe in realtà riconducibile oppure si rifiuta di ricondurla ad una certa fattispecie giuridica astratta cui sarebbe riconducibile o a qualunque fattispecie giuridica astratta, mentre ve ne sarebbe una cui potrebbe essere ricondotta, la valutazione così effettuata e la relativa motivazione, non inerendo più all’attività di ricostruzione e, dunque, di apprezzamento dei fatti storici, bensì all’attività di qualificazione in iure di essi e, dunque, ad un giudizio normativo, è controllabile e deve essere controllata dalla Corte di Cassazione nell’ambito del paradigma del n. 3 dell’art. 360 c.p.c..
In tal caso, infatti, fa parte del sindacato di legittimità (alla stregua del) detto paradigma secondo la specie cui il legislatore allude con la nozione di “falsa applicazione di norme di diritto”, il controllare se la fattispecie concreta (assunta così come ricostruita dal giudice di merito e, dunque, senza che si debba procedere ad una valutazione diretta a verificarne l’esattezza e meno che mai ad una diversa valutazione e ricostruzione o apprezzamento ricostruttivo), è stata ricondotta a ragione o a torto alla fattispecie giuridica astratta individuata dal giudice di merito come idonea a dettarne la disciplina oppure al contrario doveva essere ricondotta ad altra fattispecie giuridica oppure ancora era irriconducibile ad una fattispecie giuridica astratta, sì da non rilevare in iure, oppure ancora non è stata erroneamente ricondotta ad una certa fattispecie giuridica cui invece doveva esserlo, essendosi il giudice di merito rifiutato expressis verbis di farlo (c.d. vizio di sussunzione o di rifiuto di sussunzione)” (Cass. 31/05/2018, n. 13747).
Nel caso all’esame, infatti, deve ritenersi che la fattispecie concreta, come accertata dal Giudice del merito, deve essere ricondotta alla fattispecie giuridica disciplinata dall’art. 57 del Codice di consumo, rubricato “Fornitura non richiesta”, nella versione applicabile ratione temporis secondo cui:
“1. Il consumatore non è tenuto ad alcuna prestazione corrispettiva in caso di fornitura non richiesta. In ogni caso l’assenza di risposta non implica consenso del consumatore.
2. Salve le sanzioni previste dall’art. 62, ogni fornitura non richiesta di cui al presente articolo costituisce pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 21, 22, 23, 24, 25 e 26″.
Nella specie risulta evidente che si è in presenza di “fornitura non richiesta”, nei termini indicati dalla norma richiamata, trattandosi di fornitura erogata da soggetto diverso in base ad un contratto pacificamente non sottoscritto dal consumatore e recante firma falsa, nè rileva la circostanza che l’esecuzione materiale della fornitura, per esigenze tecniche, non possa che essere la stessa e che trattasi di servizi essenziali, rimarcandosi che il consumatore, che è venuto a conoscenza di siffatto contratto dalle fatture, non poteva restituire o impedire la fornitura non richiesta (se non, a tale ultimo riguardo, come in effetti fatto, denunciando, una volta resosene conto, la contraffazione della sottoscrizione e chiedendo di ricevere la medesima fornitura dal precedente gestore).
Se dunque, la norma applicabile nella specie è quella di cui all’art. 57 citato, occorre stabilire se tale normativa, oltre ad escludere qualsiasi prestazione corrispettiva a carico del consumatore, escluda ogni sorta di “ripetibilità”, da parte del fornitore, della “prestazione” resa sine causa, perfino nel caso in cui quest’ultimo faccia valere l’arricchimento senza causa, ai sensi dell’art. 2041, sia in via d’azione che – come nel caso all’esame – di eccezione riconvenzionale, proposta al solo scopo di paralizzare la domanda dell’attore.
Ritiene il Collegio che la questione vada risolta tenendo conto della ratio della norma di cui all’art. 57, già più volte citato, che è chiaramente norma volta a tutelare il consumatore e ad esonerarlo da oneri conseguenti a pratiche commerciali scorrette, anche alla luce delle direttive CE sulle pratiche sleali e ingannevoli (v. direttive 1997/7/CE , 2002/65/CE e 2005/29/CE) e della disciplina, non applicabile direttamente al caso di specie ratione temporis (essendo applicabile ai contratti conclusi dopo il 13 giugno 2014, come disposto dal D.Lgs. 21 febbraio 2014, n. 21 , art. 2 , comma 1) ma a cui può farsi riferimento ai fini meramente interpretativi, dell’art. 66-quinquies Codice di consumo, norma inserita con il D.Lgs., appena indicato e volto a dare attuazione della direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori.
In tale prospettiva, l’espressione “Il consumatore non è tenuto ad alcuna prestazione corrispettiva in caso di fornitura non richiesta” contenuto nell’art. 57 citato, ad avviso del Collegio, deve essere intesa come comprendente anche le obbligazioni restitutorie e indennitarie da indebiti solutio e/o da ingiustificato arricchimento rivendicate.
Se è pur vero che il consumatore abbia comunque tratto vantaggio dalla fornitura non richiesta o – come nel caso all’esame – addirittura imposta, tenuto conto delle peculiari modalità di erogazione della fornitura in questione, in base ad un contratto con sottoscrizione falsificata, tuttavia deve ritenersi che il legislatore abbia inteso far prevalere gli interessi della parte debole del contratto a discapito di soggetto che abbia scelto unilateralmente e illecitamente di procedere alla fornitura, di tal chè sul fornitore debbono ricadere, in ogni caso, le conseguenze derivanti da tale comportamento.
Ben potendosi riconoscere, per quanto sopra esplicitato, all’art. 57 citato anche una valenza latamente sanzionatoria, nell’ambito delle “prestazioni corrispettive”, da intendersi richiamate dal legislatore in senso atecnico, ritiene il Collegio debba rientrare anche l’indennizzo di cui all’art. 2041 c.c..
Pertanto, risultando il contratto illecito in questione ascrivibile comunque ad Enel Energia S.p.a. ed alla luce della interpretazione data dell’art. 57 citato, ritiene il Collegio che all’appena indicata società non spetti alcunchè per la fornitura in parola, neppure a titolo di indebito arricchimento ex art. 2041 c.c., non avendo il consumatore prestato alcun consenso al riguardo, il che è pacifico.
La Corte pertanto accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa al Tribunale di Brindisi, in persona di diverso magistrato, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

La scrittura dei Gemelli

Considerazioni ed un caso pratico.

La scrittura dei fratelli gemelli, in particolare monozigoti, sotto il profilo grafologico pone il problema dell’individuazione dei tratti distintivi della scrittura in soggetti che appaiono “identici”.
Robert Saudek (1880- 1935), figura di spicco della grafologia in Inghilterra, secondo il quale la scrittura deve essere valutata secondo criteri di base quali la spontaneità dell’atto grafico, l’uso dello spazio ed il grado di originalità nella forma delle lettere, all’esito dell’esame di scritture di fratelli gemelli monozigoti non riuscì a trovare difformità grafiche così significative da poter distinguere i due manoscritti.
Tuttavia ritengo non si possa generalizzare ci sono delle coppie di gemelli che nel corso della loro vita sono alla ricerca di una propria individualità, spesso stanchi di essere “scambiati” quindi, talvolta chiamati con il nome del fratello o della sorella, si assiste alla personalizzazione del loro modo di vestire, differenziazione delle scelte scolastiche e/o professionali e sovente i gemelli trovano così la propria libertà di espressione anche attraverso la grafia.
Ci sono invece, coppie di gemelli talmente uniti che continuano a vivere in modo simbiotico anche da adulti – stessi amici, stesso stile nell’abbigliamento, scrittura molto simile – che trovano invece, maggiore forza per affrontare le controversie della vita, l’essere così simili li fa sentire più forti, e questa uguaglianza non viene vissuta come uno svantaggio, tutt’altro.
In alcuni casi, per non separarsi fisicamente, hanno rinunciato anche a sposarsi, a creare un nucleo familiare proprio, mi viene in mente una celebre coppia di gemelle monozigoti, nel mondo dello spettacolo, praticamente identiche, hanno scelto la stessa carriera professionale come ballerine, non si sono mai sposate, ed ancora oggi, molto anziane vivono insieme.
In proposito, ho affrontato la tematica lo scorso anno.
Nel Maggio 2019 sono stata contattata da una signora per esaminare un testamento olografo scritto apparentemente da suo marito, defunto prematuramente, all’età di quarant’anni, ci incontrammo nel mio studio, come avviene di solito, la Signora Marina mi produsse la copia del testamento olografo da verificare, il testo “incriminato”, e scritture di comparazione certe, il contratto di acquisto della loro casa, firme su documenti di identità, specimen bancario, una poesia dedicata alla moglie dopo la nascita del loro bambino, un verbale di assemblea dove il marito svolgeva la mansione di segretario, brevi pensieri scritti a mano per il compleanno, altre firme su documenti raccolti in modo ordinato in una cartella.
Ho iniziato così ad esaminare prima il testamento in verifica, non presentava alcuna anomalia, si trattava di un manoscritto non breve dodici righe compresa data e firma.
Dopo una prima valutazione, orientata sulla osservazione della naturalezza e spontaneità, avevo riscontrato entrambe, scrittura sciolta, alcun tremore, non c’erano “soste” i classici bottoni di ripresa nelle parole – giustapposizioni in termine tecnico – anche se non avevo colto, in quello scritto, alcuna emozione, bensì un tracciato grafico spedito, oserei dire freddo, senza emozione.
Ho osservato il testo nel suo insieme, e svolto come di consueto uno studio seguendo la metodologia di rito, nulla faceva pensare ad un falso, anche se mancava un aspetto saliente, ovvero una spiegazione, la motivazione per aver preso una decisione notevole, che avrebbe potuto cambiare il corso della vita alla Signora Marina, ma probabilmente non c’era.
Comunque avevo modo di notare un discreto equilibrio tra movimento e forma, la firma in basso a destra, omogenea al testo, però confrontando con le altre scritture del Sig. Marco, riscontravo la differente distanza tra le parole, la dimensione delle lettere, era più grande rispetto alle altre scritture, anche se molto spesso, chi scrive le ultime volontà, aumenta la dimensione – alcuni scrivono in stampatello – proprio per il timore di non essere compresi, il testatore spesso, scrive in modo molto più chiaro e leggibile, però anche il modo di legare alcune lettere, mi faceva pensare.
Man mano che visionavo tutto il materiale per la comparazione, notavo molte analogie tra il testamento ed il verbale dell’assemblea, scritto dal Sig. Marco, qualche lieve differenza con gli altri manoscritti, che avevo attribuito alla normale variabilità grafica, alle volte la scrittura cambia anche a seconda di come ci sentiamo fisicamente e moralmente, insomma… qualcosa di diverso dalle altre scritture, ma compatibili.
Dopo tre giorni di lavoro sul testamento in verifica e le scritture comparative, non avevo elementi sufficienti per arrivare alla conclusione che fosse un testamento falso, così ho pensato di chiamare subito la Signora Marina, per dirle che non avevo riscontrato difformità tanto gravi da far pensare ad un documento falso, quindi decisa a non redigere un parere pro-veritate, come richiesto, per dimostrare che si trattava di un testamento non scritto dalla mano di suo marito.
Ci incontrammo nuovamente per restituire alla Signora Marina il materiale che mi aveva prodotto, e quando le dissi che secondo me non c’erano i presupposti per impugnare il testamento, anche sulla base del verbale di assemblea, un manoscritto molto esteso del Sig. Marco, a quel punto tutto cambiò, la signora mi disse che non era stato scritto da suo marito, in quanto si trovava in ospedale per accertamenti, ma da suo fratello gemello Leonardo, erano praticamente identici, a volte anche gli amici più cari li confondevano.
Se non avessi avuto l’opportunità di mettere a confronto il testamento con il verbale, quindi facendo riferimento esclusivamente agli altri scritti del Sig. Marco, avrei sicuramente concluso che era autografo; dopo anni si era presentata l’occasione di verificare la scrittura di due fratelli gemelli monozigoti, certo, non sono in grado di poter affermare che tutti i gemelli scrivono in modo da poter confondere le due scritture, ma certamente, avendo lo stesso DNA sono avvantaggiati se vogliono falsificare lo scritto del loro fratello o sorella perché riesce più facile imitare la grafia del proprio consanguineo, anche tra genitori e figli.
Ho fornito un parere alla signora Marina, sulla base esclusivamente delle scritture certe del marito, ho dovuto rivedere un po’ tutto il lavoro, avevo fatto affidamento sul verbale di assemblea, in quanto si trattava di un manoscritto molto esteso, in più abbastanza vicino alla data del testamento, inconsapevole che era stato scritto dal cognato.
Non so come siano andate le cose, se la Signora Marina abbia intrapreso un percorso legale volto all’impugnazione del testamento, oppure se, forse, sono giunti ad un accordo, cosa che succede abbastanza di frequente, quando vi è un patrimonio piuttosto modesto da ereditare, come in questo caso, anche se di tutto rispetto, si trattava infatti, dell’appartamento in cui la Signora Marina viveva con il suo bambino, e di un modesto conto in banca.

Tutto ciò potrà evitare un lungo percorso, molto dispendioso e a volte  frustrante, nel mondo della perizia.

Patrizia Belloni
Grafologa giudiziaria

La consulenza tecnica grafologica nelle indagini difensive

La grafologia giudiziaria trova applicazione anche in ambito penale.
Difatti, non solo vi sono fattispecie criminose strettamente correlate alla grafologia come nell’ipotesi della formazione di un falso testamento olografo, di una cambiale o di un altro titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore (art. 491 c.p.), ma sussistono anche reati come, ad esempio, la truffa (art. 640 c.p.) e la diffamazione (art. 595 c.p.), ove l’apocrifia dello scritto può costituirne uno degli elementi oggettivi (si pensi all’artifizio nella truffa).
In questo contesto, il grafologo può assumere il ruolo di consulente tecnico nell’ambito delle indagini difensive dell’avvocato.
Si deve premettere che le indagini difensive sono state introdotte nel nostro ordinamento dalla Legge 397 del 2000 «Disposizioni in materia di indagini difensive» che ha indubbiamente esteso il concetto di «diritto di difesa» di cui all’art. 24 Cost. con l’obiettivo di dare attuazione concreta ai principi costituzionali della parità delle parti (art. 111 co. 2 Cost.) e del contraddittorio nella formazione della prova (art. 111 co. 4 Cost.).
Si deve precisare, inoltre, che la facoltà è riconosciuta non solo al difensore dell’indagato ma anche al difensore della vittima di un reato che può introdurre nel procedimento elementi rilevanti per la ricostruzione dei fatti e l’individuazione del responsabile dell’illecito.
Pertanto, l’art. 327 bis c.p. prevede che “Fin dal momento dell’incarico professionale, risultante da atto scritto, il difensore ha facoltà di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito (…)” precisando che ove siano necessarie specifiche competenze gli elementi di prova possono essere ricercati, su incarico scritto dell’avvocato difensore, da consulenti tecnici.
Nelle indagini difensive, quindi, il consulente tecnico è quel soggetto munito di particolari competenze tecniche che coadiuva il difensore:
– nella ricerca di elementi a favore del proprio assistito;
– nella valutazione degli elementi di prova già raccolti;
– nell’individuazione delle strategie difensive.
Anche la consulenza grafologica (grafologia giudiziaria) rappresenta una delle materie oggetto della consulenza tecnica del difensore in quanto appare ragionevole ritenere che l’analisi grafologica di uno scritto, e non la mera valutazione calligrafica, possa costituire un ausilio per la valutazione dei fatti sottoposti al vaglio dell’autorità giudiziaria.
Si ritiene opportuno fare riferimento a dei casi pratici.
Nell’ipotesi di testamento scritto con “mano guidata” la consulenza grafologica risulta necessaria per l’attività difensiva, ciò si può desumere anche dalla giurisprudenza.
Invero, la Suprema Corte di Cassazione (Cass. pen., sez. V, sentenza n. 51709 del 2014) ha statuito che integra il delitto di falso materiale in testamento olografo (art. 476 e 491 c.p.) la redazione di un documento – apparentemente scritto di proprio pugno dal testatore – con l’aiuto materiale di altro soggetto (che gli guidi la mano), in quanto, in tal caso, il documento non è formato, come prescritto dalla legge, esclusivamente dal de cuius e, quindi, non può essere considerato olografo.
In tale pronuncia i giudici di legittimità hanno affrontato il tema della c.d. “mano guidata” che si verifica allorquando “una persona non ha intenzione di scrivere un testamento e, allora, subentra qualcuno che le guida la mano, obbligando lo scrivente a fare qualcosa contro la propria volontà. Le due energie entrano in collisione, si contrastano, quindi creano delle interferenze, producendo movimenti squilibrati, con forme goffe e deformi, spesso parole incompiute” (Patrizia Belloni, Grafologia Magazine, Roma, agosto 2018).
In tale contesto la consulenza tecnica grafologica risulta necessaria per l’individuazione delle scritture di comparazione certamente spontanee ed autentiche nonché per l’analisi di quelle eventualmente acquisite dall’autorità giudiziaria.
Difatti, l’avvocato ben può avvalersi del grafologo giudiziario per valutare le scritture di comparazione acquisite dall’autorità giudiziaria sia ai fini dell’eventuale opposizione all’archiviazione formulata dal pubblico ministero ovvero, dal punto di vista dell’indagato, a seguito della comunicazione di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415 bis c.p.p. prodromica all’esercizio dell’azione penale.
Si può formulare un’altra ipotesi di applicazione della consulenza tecnica grafologica con riferimento all’analisi degli scritti anonimi c.d. “anonimografia” che si esprime attraverso diversi canali tra i quali il biglietto anonimo; il murales ed il volantino.
Generalmente, si perviene all’individuazione dell’anonimo guardando ai soggetti portatori di motivi di risentimento, di spirito vendicativo o persecutorio nei confronti della persona offesa.
Tale metodologia, se non suffragata da una seria e rigorosa analisi grafologica, può condurre ad errori.
Facendo un’ipotesi può esserci qualcuno intenzionato a ledere la persona offesa, ad esempio un collega di lavoro che non ha ottenuto una promozione, un vicino di casa rancoroso per le frequenti liti condominiali, il titolare di un’azienda concorrente, un parente in lite per ragioni di divisione ereditaria che conosce (anche personalmente) dell’esistenza di un ex coniuge che non ha accettato la fine del matrimonio e che nella redazione dell’anonimo offensivo o comunque lesivo dissimuli la scrittura di quest’ultimo.
In buona sostanza, l’autore dell’anonimo può cercare di dissimulare la propria scrittura affinché lo scritto illecito venga attribuito ad altro soggetto.
Ne consegue che la dissimulazione può portare all’iscrizione nel registro degli indagati e perfino all’esercizio dell’azione penale nei confronti del soggetto sbagliato (innocente).
L’attività difensiva, quindi, non può basarsi unicamente su elementi giuridici ma deve essere suffragata da una consulenza tecnica che come poc’anzi illustrato deve aiutare nella ricerca di elementi a favore del proprio assistito e nella valutazione degli elementi di prova già raccolti.
Alla luce delle pregresse considerazioni risulta evidente che la grafologia giudiziaria deve essere annoverata, con un ruolo di primaria importanza, nell’alveo delle consulenze tecniche di cui avvalersi nell’ambito dell’attività difensiva.

Gabriele Colasanti
avvocato