La Consulenza grafologica nelle indagini difensive dell’avvocato penalista

L’art. 111 Cost. sul “giusto processo” afferma il principio della parità tra accusa e difesa.
Tale principio costituzionale mira alla formazione di una verità processuale che sia il frutto della dialettica fra le parti e che si pervenga alla sentenza di condanna “al di là di ogni ragionevole dubbio” (art. 533 c.p.p.).
Sempre l’art. 111 Cost. prevede che “Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova”.
I principi del giusto processo (art. 111 Cost.) e dell’inviolabilità del diritto di difesa (art. 24 Cost.) vedono le indagini difensive dell’avvocato come un loro importante corollario.
Difatti, il difensore dell’indagato, dell’imputato, del condannato ed anche della persona offesa dal reato può svolgere attività di ricerca della prova per un procedimento già avviato ma anche in via preventiva per un eventuale procedimento penale che potrebbe instaurarsi sulla scorta determinate circostanze (si pensi, ad esempio, ad un sinistro stradale che ha visto la presenza di feriti gravi).
La Legge n. 397 del 2000 “Disposizioni in materia di indagini difensive”, ha potenziato il ruolo del difensore nel processo penale dettando nel titolo VI-bis del Codice di Procedura la disciplina delle indagini difensive.
Pertanto, il difensore può svolgere colloqui con persone informate dei fatti, effettuare l’ispezione di luoghi o cose, effettuare in rilievi ed accertamenti tecnici ed esaminare documenti amministrativi e cose sequestrate.
Tali possibilità di “indagine difensiva” hanno bilanciato la posizione del difensore rispetto al Pubblico Ministero che, come noto, si avvale della polizia giudiziaria e dei consulenti tecnici.
L’avvocato difensore, in forza dell’art. . 327 bis c.p.p., fin dal momento dell’incarico professionale che deve risultare da atto scritto, risultante da atto scritto, ha facoltà di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito e che tali attività (di investigazione difensiva) previste possono essere svolte, su incarico del difensore, dal sostituto, da investigatori privati autorizzati e, quando sono necessarie specifiche competenze, da consulenti tecnici.
Ebbene, tra i consulenti tecnici del difensore nell’ambito delle indagini difensive emerge il grafologo giudiziario che attraverso le specifiche competenze tecniche è chiamato a fornire un ausilio tecnico-specialistico per la ricerca della verità e, comunque, di elementi utili all’attività difensiva.
La grafologia giudiziaria riveste un ruolo importante nelle indagini penali che vanno dall’individuazione dell’autore della sottoscrizione di un assegno bancario e comprendono anche le ipotesi criminose che destano maggiore allarme sociale come gli atti persecutori (c.d. stalking), la violenza domestica, il sequestro di persona, l’omicidio etc. perché l’individuazione dell’autore del manoscritto o della firma nonché la verifica dell’autenticità della stessa può tanto coincidere con l’elemento costitutivo del reato stesso quanto aiutare ad individuare l’autore di un reato quale l’omicidio.
Anche nel caso del “mostro di Firenze” sono emerse lettere anonime e sono stati conferiti incarichi peritali a grafologi. Nel 1985 venne recapitata alla redazione de “La Nazione” una lettera contente la seguente frase: “In me la notte non finisce mai”.

Numerosi altri casi, anche oggetto dell’interesse mediatico, vedono gli scritti anonimi collegati ad atroci delitti cosicché la grafologia giudiziaria, anche nelle investigazioni difensive, rappresenta un’attività di rilievo per il concreto ed effettivo esercizio del diritto di difesa e per l’attuazione dei principi costituzionali del giusto processo.

Gabriele Colasanti
Avvocato
Giornalista pubblicista
e-mail: avv.gabrielecolasanti@gmail.com

ILLEGITTIMO INCASSO ASSEGNO BANCARIO – MANCATA VERIFICA IDENTITA’ DEL BENEFICIARIO – CULPA IN VIGILANDO 

Giurisprudenza in materia di firma apocrifa per l’incasso di assegni bancari

Cass. civ., Sez. VI 01/02/2022, Sent. n. 3078 –

a cura dell’Avv. Valerio di Giorgio

Con un recente sentenza la Corte di Cassazione affronta la responsabilità dell’istituto di credito per la mancata verifica dell’identità del beneficiario dell’assegno bancario, ipotesi che vede coinvolta la grafologia poiché, nella maggior parte dei casi, trattasi di assegni portati all’incasso mediante l’apposizione di firma apocrifa

Ripercorrendo la vicenda giudiziaria, nel caso esaminato dalla Suprema Corte, la Milano Assicurazioni s.p.a. convenne innanzi al Tribunale di Venezia la Poste Italiane s.p.a., chiedendone la condanna al pagamento della somma di Euro 4800,00 a titolo risarcitorio, allegando che un assegno di traenza, emesso a nome di una persona fisica, era stato portato all’incasso presso uno sportello di Poste Italiane da soggetto diverso da quello indicato nel titolo di pagamento, e che l’effettivo beneficiario aveva sporto denuncia per il mancato ricevimento del titolo (tanto che l’attrice aveva effettuato a favore di quest’ultimo un nuovo pagamento). Pertanto, l’attrice, dolendosi della mancata diligenza delle Poste nell’accertamento dell’identità del soggetto il quale aveva presentato l’assegno all’incasso, chiedeva il risarcimento del danno.
La convenuta eccepiva l’infondatezza della domanda.
Il Tribunale rigettò la domanda; avverso tale pronuncia la Milano Assicurazioni s.p.a. propose appello che, con sentenza del 2.9.19, la Corte territoriale ha respinto, osservando che: non era stata dimostrata la responsabilità della convenuta poichè, a fronte della coincidenza del nominativo del beneficiario dell’assegno con quello del soggetto che ne aveva chiesto l’accredito sul libretto postale di risparmio, non era esigibile alcun altro accertamento da parte di Poste Italiane s.p.a., considerato che lo stesso titolo non presentava alterazioni che ne ponessero in dubbio l’autenticità.
Unipol Sai s.p.a.- quale incorporante la Milano Assicurazioni s.p.a.- ricorre in cassazione con unico motivo. Resiste con controricorso Poste Italiane s.p.a..
L’unico motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 43 L. assegni, art. 1176 c.c., comma 2, e art. 1218 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, per aver la Corte d’appello escluso la responsabilità contrattuale della convenuta, la quale non aveva fornito la prova liberatoria dell’illegittimo incasso dell’assegno, considerando altresì che il titolo non era stato contraffatto, ma trafugato e girato con firma apocrifa, essendo falsificato anche il documento di riconoscimento del soggetto che aveva presentato il titolo all’incasso, la cui autenticità non era stata verificata da Poste Italiane s.p.a.
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile.
Le questioni affrontate nel presente giudizio riguardano un assegno di traenza per indennizzo assicurativo emesso su disposizione della società assicurativa (Milano Assicurazioni) dalla banca trattaria (Banca SAI) ed inviato da questa al beneficiario a mezzo posta ordinaria. L’assegno veniva pagato dalla negoziatrice Poste Italiane, previa identificazione, ad un soggetto che successivamente risultava non essere l’effettivo beneficiario del titolo, di guisa che la società assicuratrice, attrice nel giudizio risarcitorio, aveva dovuto emettere altro assegno a favore dell’assicurato.
Tale vicenda si inscrive nel tema concernente la natura della responsabilità della banca negoziatrice di assegno non trasferibile, affrontato nelle sentenze n. 12477 e 12478/2018 delle Sezioni Unite.
Queste ultime, risolvendo il contrasto giurisprudenziale formatosi tra l’indirizzo che riconosceva alla disposizione della L. n. 1736 del 1933, art. 43, comma 2 – applicabile anche all’assegno circolare in virtù del richiamo contenuto nel successivo art. 86 della stessa legge e per cui colui che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore o dal banchiere giratario per l’incasso risponde del pagamento carattere derogatorio sia alla disciplina di circolazione del titolo di credito a legittimazione variabile, sia alla disciplina ordinaria della responsabilità per inadempimento ex art. 1189 c.c., nel caso di pagamento al creditore apparente (cfr. Corte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3133 del 07/10/1958; id. Sez. 1, Sentenza n. 1098 del 09/02/1999; id. Sez. 1, Sentenza n. 3654 del 12/03/2003; id. Sez. 1, Sentenza n. 18543 del 25/08/2006; id. Sez. 1, Sentenza n. 7949 del 31/03/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 22816 del 10/11/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 18183 del 25/08/2014 ed id. Sez. 1, Sentenza n. 3405 del 22/02/2016; Id. Sez. 1, Sentenza n. 14777 del 19/07/2016; id. Corte Sez. 63, Ordinanza n. 4381 del 21/02/2017) ed il diverso filone giurisprudenziale, secondo cui la disciplina della responsabilità per l’inadempimento della banca negoziatrice o girataria per l’incasso non diverge da quella comune ex artt. 1176 , 1189 e 1218 c.c. (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2360 del 09/07/1968; id. Sez. 1, Sentenza n. 3317 del 05/07/1978; id. Sez. 1, Sentenza n. 686 del 25/01/1983; id. Sez. 1, Sentenza n. 9888 del 11/10/1997) hanno affermato il seguente principio: ” Ai sensi del R.D. n. 1736 del 1933 , art. 43 , comma 2, (c.d. legge assegni), la banca negoziatrice chiamata a rispondere del danno derivato – per errore nell’identificazione del legittimo portatore del titolo – dal pagamento dell’assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola non trasferibilità a persona diversa dall’effettivo beneficiario, è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176 c.c., comma 2″. In particolare, le Sezioni Unite hanno chiarito che la responsabilità della banca negoziatrice ex art. 43 L. assegni è di natura contrattuale “da contatto”, in ragione dell’obbligo professionale di protezione operante nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine dell’operazione; ne hanno tratto la conseguenza che la responsabilità della banca negoziatrice da contatto qualificato – inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c. e dal quale derivano i doveri di correttezza e buona fede enucleati dagli artt. 1175 e 1375 c.c. – non è oggettiva e cioè non ricorre “a prescindere dalla sussistenza dell’elemento della colpa nell’errore sull’identificazione del prenditore”. Su tale premessa, le Sezioni Unite hanno ricordato infatti che – come da principio consolidato di legittimità – in detta ipotesi si applica il regime probatorio di cui all’art. 1218 c.c.: è perciò consentito all’obbligato di fornire la prova liberatoria che il dedotto inadempimento non gli è imputabile, ovvero non è dovuto a suo fatto e colpa, con la precisazione che la banca negoziatrice essendo tenuta ad osservare nell’adempimento la diligenza di cui all’art. 1176 c.c., comma 2, in ragione della sua qualità di operatore professionale – risponde del danno anche in ipotesi di “colpa lieve”, ove non abbia fornito la prova liberatoria di avere assolto la propria obbligazione con la diligenza dovuta. Inoltre, le Sezioni Unite hanno evidenziato la specificità della previsione di cui all’art. 43 L. assegni, comma 2, giacchè la clausola di intrasferibilità ha la funzione, oltre che di assicurare il pagamento del beneficiario, di impedire la circolazione del titolo, di guisa che la sanzione di responsabilità cartolare (conseguente al pagamento a soggetto non legittimato) non va confusa con la responsabilità civile derivante dall’errata identificazione dell’effettivo prenditore, osservando che in questi sensi l’art. 43 si pone in rapporto di specialità rispetto alle norme di diritto comune sia in tema di obbligazioni – art. 1189 c.c., comma 1, (pagamento al creditore apparente) -, sia rispetto a quella riferita ai titoli a legittimazione variabile – art. 1992 c.c., comma 2, (adempimento della prestazione) che circoscrivono entrambe detta responsabilità alle ipotesi di dolo o colpa grave.
Tanto rilevato, va osservato che la ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto che Poste Italiane s.p.a. avesse dimostrato- fornendo la prova liberatoria ex art. 1218 c.c.- di aver agito con la dovuta diligenza, ex art. 1176 c.c. in ordine alla vicenda della presentazione dell’assegno di traenza all’incasso da parte di soggetto munito di documento di riconoscimento, le cui generalità corrispondevano al prenditore del titolo. Al riguardo, la ricorrente tende al riesame dei fatti inerenti alla questione della prospettata responsabilità di Poste Italiane s.p.a.; invero, la sentenza impugnata non merita censure in punto di diritto, sulla questione dell’omessa verifica della falsità del documento esibito dal possessore del titolo, avendo essa effettuato una corretta ricognizione delle norme invocate dalla ricorrente, in conformità dei suddetti principi fissati dalle SU, non essendo richiesta alla banca negoziatrice un livello di diligenza implicante ulteriori controlli all’atto dell’incasso (cfr. SU, n. 14712/07 e 12477/18). Peraltro, giova altresì rilevare che dagli atti è emerso che l’accensione del conto da parte del soggetto che ha presentato il titolo all’incasso era avvenuta anteriormente alla denuncia del furto del documento d’identità da parte del soggetto legittimo beneficiario dell’assegno di traenza.
Inoltre, nel caso di specie non può essere riconosciuta alcuna natura precettiva ovvero cogente (come tale idonea ad integrare la “parte mobile” della clausola generale normativa) ad un “regolamento”-ABI (che raccomandava la verifica di documento di riconoscimento munito di foto) che non introduce, in realtà, alcuna prescrizione per gli associati, ma si limita solo a “segnalare l’opportunità” a quest’ultimi di adottare prassi operative virtuose dirette a scongiurare il rischio di essere convenuti in giudizio in eventuali contenziosi risarcitori, e ciò peraltro con riferimento ad un richiamato mutamento giurisprudenziale in punto di interpretazione dell’art. 43 L. assegni, da ritenersi – come sopra evidenziato – ormai superato, proprio grazie all’ultima pronuncia resa in sede nomofilattica da questa Corte (cfr. sent. n. 34108/19).
Nè sono emerse nella fattispecie altre circostanze anomale espressive di mancata diligenza della banca negoziatrice nel pagamento del titolo, oggetto di specifica allegazione nel ricorso.
Pertanto la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio.

FALSITA’ IN ATTI – SOTTOSCRIZIONE APOCRIFA CONTRATTO DI LOCAZIONE – RILEVANZA
PROBATORIA CTU

Nel nostro ordinamento è previsto il reato di “falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico” (art. 483 c.p.) che punisce “Chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità…”.
Tale ipotesi di reato coinvolge anche i grafologi in quanto la Suprema Corte di Cassazione ha incluso nella condotta incriminata dall’art. 483 c.p. anche la falsità della sottoscrizione nel modulo e nella delega per la richiesta di registrazione del contratto di locazione (Cassazione, Sez. V penale, Sent. n. 37880 del 21/10/2021).

Con la predetta sentenza i giudici di legittimità hanno confermato la condanna della Corte di Appello di Napoli nei confronti delle due imputate responsabili di aver apposto sulla richiesta di registrazione di un contratto di locazione, una sottoscrizione apocrifa di una terza persona, al tempo gravemente malata, nella qualità di delegante e proprietaria dell’immobile oggetto del contratto di locazione.

Sembra opportuno evidenziare che nella fattispecie in esame la Corte di merito era pervenuta alla condanna sulla scorta di una consulenza tecnica d’ufficio grafologica che era pervenuta alla conclusione di ritenere false le firme sul contratto di locazione e quelle sui moduli per la registrazione dello stesso poiché non riconducibili alla mano della dell’anziana signora (presunta delegante poiché gravemente malata). Negli stessi termini la consulenza grafologica aveva escluso che il contratto ed i moduli compilati per la registrazione fossero stati firmati dalla stessa mano.
Appare utile evidenziare che la conoscenza da parte dell’intestatario del contratto dell’apposizione di una firma falsa da parte di un terzo è stata ritenuta irrilevante posto che la circostanza non incide sulla falsità delle sue sottoscrizioni e, dunque, sulla rilevanza penale del fatto attribuito ai sensi dell’art. 483 c.p.
Con la recente sentenza la Cassazione (Sent. n. 37880/2021) ha rigettato le censure mosse dalle imputate che avevano dedotto vizi di motivazione con riferimento al giudizio di attendibilità della consulenza grafologica posta alla base della condanna.
La sottoscrizione apocrifa sul contratto di locazione rientra nell’ipotesi di reato in discussione perché, secondo il consolidato insegnamento della Cassazione, il concetto di atto pubblico è, agli effetti della tutela penale, più ampio di quello desumibile dall’art. 2699 c.c., rientrandovi non soltanto il documento redatto dal pubblico ufficiale, ma anche quelli aventi l’attitudine ad assumere rilevanza giuridica e/o valore probatorio interno alla pubblica amministrazione. (ex multis Cass. Sez. V, Sentenza n. 9358 del 24/04/1998; Cass. Sez. V, Sentenza n. 15901 del 15/02/2021). Rientrano, quindi, nella suddetta nozione anche gli atti preparatori di una fattispecie documentale complessa, come gli atti di impulso (domande, richieste ecc.) di procedure amministrative che presentino un tale contenuto attestativo a prescindere che il loro contenuto venga integralmente trasfuso nell’atto finale del pubblico ufficiale o ne venga a costituire solo presupposto implicito necessario.
Nel caso di specie, difatti, il falso commesso dalle imputate è stato ritenuto rilevante ai sensi dell’art. 483 c.p., in quanto contenuto in un atto propedeutico alla formazione di un atto pubblico, ma, come esattamente contestato e ritenuto, è caduto sui documenti descritti nel capo d’imputazione.
Secondo la Corte di Cassazione la sentenza di condanna aveva considerato in modo coerente e logico le conclusioni della CTU grafologica la quale, aveva chiarito in sede dibattimentale come gli elementi attributivi delle firme all’imputata fossero quantitativamente e qualitativamente significativi, spiegando le marginali discrasie registrate in ragione della limitata consistenza dei campioni autografi acquisiti.
Da tali assunti la Corte territoriale ha dunque logicamente desunto la sicura paternità delle firme sul modello e sulla delega per la registrazione del contratto in capo ad una delle imputate, riconoscendone dunque la penale responsabilità.
In conclusione, nel novero degli atti che possono formare l’oggetto della consulenza grafologica vi rientrano anche le scritture private assoggettate a registrazione (tra le quali il contratto di locazione), le modulistiche dell’Agenzia delle Entrate, in genere, le istanze ed le dichiarazioni rivolte a pubblici uffici.
In tale ambito, la consulenza grafologica risulta strumentale con riferimento agli effetti giuridici prettamente civilistici ma anche sotto il profilo della responsabilità penale del “falsario”.

Avv. Gabriele Colasanti con la collaborazione dell’ avvocato V.D.G.

Testamento olografo: l’erronea indicazione della data non comporta la nullità del testamento

L’art. 602 Cod. Civ. disciplina il testamento olografo, stabilendo, fra l’altro, che “…Il testamento olografo deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore…La data deve contenere l’indicazione del giorno, mese e anno…”.

In concreto, però, l’atto di ultima volontà può  presentare una data errata oppure addirittura impossibile, come ad esempio il 30 febbraio, il 31 novembre, etc. Per tali ipotesi si pone il problema della nullità del testamento olografo perché, secondo una interpretazione rigidamente formale, dovrebbe ravvisarsi l’assenza di uno degli elementi essenziali previsti dall’art. 602 Cod. Civ. Difatti, la data assume peculiare importanza anche ai fini dell’individuazione dell’ultima volontà espressa dal de cuius  laddove esistano altri testamenti nonché per la  valutazione della capacità del testatore.

>Sull’argomento,  la giurisprudenza di legittimità ha configurato, sulla scorta del combinato disposto degli artt. 602 e 606 c.c., che oltre alla mancanza della data, costituisce causa di annullamento del testamento olografo anche l’incompletezza e/o l’impossibilità della stessa.

Si deve precisare che l’indicazione della data impossibile conduce all’annullabilità del testamento solamente ove sia riconducibile alla volontà del testatore e non ad un mero errore materiale (Cass. n. 10613/2016; Cass. 5 giugno 1964, n. 1374).

Recentemente, nell’ambito della giurisprudenza di merito (Corte d’Appello Cagliari, sent. N. 381 del 10/09/2021) è stato affermato che l’indicazione erronea della data nel testamento olografo, dovuta ad errore materiale del testatore (per distrazione, ignoranza od altra causa), anche se concretantesi in una data impossibile, non voluta, però, come tale, dal testatore, può essere rettificata dal giudice, avvalendosi di altri elementi intrinseci della scheda testamentaria, così da rispettare il requisito essenziale dell’autografia dell’atto. Nel caso affrontato dai giudici d’appello in presenza dell’errore nell’indicazione della data la CTU grafologica ha avuto ad oggetto l’individuazione della data. Pertanto, secondo il tenore letterale della predetta sentenza, i giudici sono pervenuti all’accertamento della data del testamento avvalendosi di una consulenza tecnica secondo la metodologia grafologica  particolarmente finalizzata alla comprensione della singolarità del gesto che è presente in ogni soggetto scrivente, intendendo per Grafologia lo studio del movimento scrittorio, come dimostrato da eminenti autori stranieri e italiani.

La Corte di Appello di Cagliari ha richiamato quanto già statuito, per una fattispecie analoga, dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 10613/2016) che ha affermato quanto segue: “l’indicazione erronea della data nel testamento olografo, dovuta, cioè ad errore materiale del testatore (per distrazione, ignoranza od altra causa), anche se concretantesi in una data impossibile, non voluta, però, come tale, dal testatore, può essere rettificata dal giudice, avvalendosi di altri elementi intrinseci della scheda testamentaria, così da rispettare il requisito essenziale dell’autografia dell’atto (Cass. 5 giugno 1964, n. 1374).

La valutazione della ragione dell’errore risulta rimessa all’apprezzamento del giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità ove sorretta da idonea motivazione.

Risulta opportuno, quindi, valutare mediante una consulenza grafologica di parte  la possibile rettifica della data presente nel testamento perché l’azione giudiziaria basata sulla mera irregolarità del testamento potrebbe essere contrastata sulla scorta dei principi giurisprudenziali sopra richiamati.

Gabriele Colasanti
avvocato

La consulenza tecnica grafologica nelle indagini difensive

La grafologia giudiziaria trova applicazione anche in ambito penale.
Difatti, non solo vi sono fattispecie criminose strettamente correlate alla grafologia come nell’ipotesi della formazione di un falso testamento olografo, di una cambiale o di un altro titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore (art. 491 c.p.), ma sussistono anche reati come, ad esempio, la truffa (art. 640 c.p.) e la diffamazione (art. 595 c.p.), ove l’apocrifia dello scritto può costituirne uno degli elementi oggettivi (si pensi all’artifizio nella truffa).
In questo contesto, il grafologo può assumere il ruolo di consulente tecnico nell’ambito delle indagini difensive dell’avvocato.
Si deve premettere che le indagini difensive sono state introdotte nel nostro ordinamento dalla Legge 397 del 2000 «Disposizioni in materia di indagini difensive» che ha indubbiamente esteso il concetto di «diritto di difesa» di cui all’art. 24 Cost. con l’obiettivo di dare attuazione concreta ai principi costituzionali della parità delle parti (art. 111 co. 2 Cost.) e del contraddittorio nella formazione della prova (art. 111 co. 4 Cost.).
Si deve precisare, inoltre, che la facoltà è riconosciuta non solo al difensore dell’indagato ma anche al difensore della vittima di un reato che può introdurre nel procedimento elementi rilevanti per la ricostruzione dei fatti e l’individuazione del responsabile dell’illecito.
Pertanto, l’art. 327 bis c.p. prevede che “Fin dal momento dell’incarico professionale, risultante da atto scritto, il difensore ha facoltà di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito (…)” precisando che ove siano necessarie specifiche competenze gli elementi di prova possono essere ricercati, su incarico scritto dell’avvocato difensore, da consulenti tecnici.
Nelle indagini difensive, quindi, il consulente tecnico è quel soggetto munito di particolari competenze tecniche che coadiuva il difensore:
– nella ricerca di elementi a favore del proprio assistito;
– nella valutazione degli elementi di prova già raccolti;
– nell’individuazione delle strategie difensive.
Anche la consulenza grafologica (grafologia giudiziaria) rappresenta una delle materie oggetto della consulenza tecnica del difensore in quanto appare ragionevole ritenere che l’analisi grafologica di uno scritto, e non la mera valutazione calligrafica, possa costituire un ausilio per la valutazione dei fatti sottoposti al vaglio dell’autorità giudiziaria.
Si ritiene opportuno fare riferimento a dei casi pratici.
Nell’ipotesi di testamento scritto con “mano guidata” la consulenza grafologica risulta necessaria per l’attività difensiva, ciò si può desumere anche dalla giurisprudenza.
Invero, la Suprema Corte di Cassazione (Cass. pen., sez. V, sentenza n. 51709 del 2014) ha statuito che integra il delitto di falso materiale in testamento olografo (art. 476 e 491 c.p.) la redazione di un documento – apparentemente scritto di proprio pugno dal testatore – con l’aiuto materiale di altro soggetto (che gli guidi la mano), in quanto, in tal caso, il documento non è formato, come prescritto dalla legge, esclusivamente dal de cuius e, quindi, non può essere considerato olografo.
In tale pronuncia i giudici di legittimità hanno affrontato il tema della c.d. “mano guidata” che si verifica allorquando “una persona non ha intenzione di scrivere un testamento e, allora, subentra qualcuno che le guida la mano, obbligando lo scrivente a fare qualcosa contro la propria volontà. Le due energie entrano in collisione, si contrastano, quindi creano delle interferenze, producendo movimenti squilibrati, con forme goffe e deformi, spesso parole incompiute” (Patrizia Belloni, Grafologia Magazine, Roma, agosto 2018).
In tale contesto la consulenza tecnica grafologica risulta necessaria per l’individuazione delle scritture di comparazione certamente spontanee ed autentiche nonché per l’analisi di quelle eventualmente acquisite dall’autorità giudiziaria.
Difatti, l’avvocato ben può avvalersi del grafologo giudiziario per valutare le scritture di comparazione acquisite dall’autorità giudiziaria sia ai fini dell’eventuale opposizione all’archiviazione formulata dal pubblico ministero ovvero, dal punto di vista dell’indagato, a seguito della comunicazione di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415 bis c.p.p. prodromica all’esercizio dell’azione penale.
Si può formulare un’altra ipotesi di applicazione della consulenza tecnica grafologica con riferimento all’analisi degli scritti anonimi c.d. “anonimografia” che si esprime attraverso diversi canali tra i quali il biglietto anonimo; il murales ed il volantino.
Generalmente, si perviene all’individuazione dell’anonimo guardando ai soggetti portatori di motivi di risentimento, di spirito vendicativo o persecutorio nei confronti della persona offesa.
Tale metodologia, se non suffragata da una seria e rigorosa analisi grafologica, può condurre ad errori.
Facendo un’ipotesi può esserci qualcuno intenzionato a ledere la persona offesa, ad esempio un collega di lavoro che non ha ottenuto una promozione, un vicino di casa rancoroso per le frequenti liti condominiali, il titolare di un’azienda concorrente, un parente in lite per ragioni di divisione ereditaria che conosce (anche personalmente) dell’esistenza di un ex coniuge che non ha accettato la fine del matrimonio e che nella redazione dell’anonimo offensivo o comunque lesivo dissimuli la scrittura di quest’ultimo.
In buona sostanza, l’autore dell’anonimo può cercare di dissimulare la propria scrittura affinché lo scritto illecito venga attribuito ad altro soggetto.
Ne consegue che la dissimulazione può portare all’iscrizione nel registro degli indagati e perfino all’esercizio dell’azione penale nei confronti del soggetto sbagliato (innocente).
L’attività difensiva, quindi, non può basarsi unicamente su elementi giuridici ma deve essere suffragata da una consulenza tecnica che come poc’anzi illustrato deve aiutare nella ricerca di elementi a favore del proprio assistito e nella valutazione degli elementi di prova già raccolti.
Alla luce delle pregresse considerazioni risulta evidente che la grafologia giudiziaria deve essere annoverata, con un ruolo di primaria importanza, nell’alveo delle consulenze tecniche di cui avvalersi nell’ambito dell’attività difensiva.

Gabriele Colasanti
avvocato