Stalking attraverso manoscritti


Quando si parla di violenza contro le donne viene in rilievo, nell’ambito dei reati del c.d. “Codice Rosso”, lo stalking ossia il delitto di “atti persecutori” previsto e punito dall’art. 612-bis c.p. che punisce severamente “chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita..”.
Trattando delle molteplici applicazioni della grafologia non si può trascurare che il manoscritto costituisce una delle modalità “tipiche”, secondo le cronache giudiziarie, di attuazione delle molestie in danno della persona offesa.
Spesso si tratta di lettere o biglietti che vengono recapitati dopo che la vittima ha provveduto a bloccare il numero di telefono ed i contatti del persecutore sui social network.
Ma può anche trattarsi di lettere anonime rispetto alle quali è necessario individuare l’autore/l’autrice.
Tra i fatti di cronaca sull’argomento è indicativo un caso di qualche anno fa, accaduto in provincia de L’Aquila, specificamente solo grazie ad una perizia grafologica è stato possibile arrestare per “stalking” un uomo di 53 anni che aveva terrorizzato un Paese con lettere anonime e sms volgari.
Ulteriore esempio: il 3 ottobre 2024 l’Agenzia ANSA intitolava così un articolo: “Lo stalking con lettere anonime, arrestato ‘il Pescatore’” raccontando che il soggetto attinto dalla misura cautelare, secondo gli inquirenti, inviava lettere minatorie alle donne prese di mira (finora risultate essere quattro, di cui tre già a lui legate da un vincolo sentimentale) firmandosi come ‘il Pescatore’ o ‘Fischermann’. Ebbene, nelle notizie di stampa si legge che le lettere ricevute dalle diverse donne sono risultate provenienti dalla stessa mano perché caratterizzate dalla “stessa grafia”.
Nel caso degli atti persecutori l’autore degli scritti anonimi mira a creare un danno alla vittima, a lederne la serenità provocandogli uno stato d’ansia ovvero il cambiamento delle proprie abitudini di vita.
Poiché la scrittura è espressione della personalità non sembra anomalo che il persecutore scriva di suo pugno le frasi moleste.
Corre l’obbligo di evidenziare che il contenuto delle lettere o dei biglietti, affinché sussista la condotta punita dall’art. 612 bis c.p., non deve essere necessariamente offensivo o volgare perché anche l’invio ripetuto di biglietti con scritte del tipo “mi manchi”, “ti amo”, “ti aspetto”, “ti prego prendiamoci un caffè”, se provoca ansia nel destinatario integra il delitto in parola. Occorre senz’altro guardare al contesto dei fatti ed al rapporto autore-destinatario affinché possa parlarsi di “molestia” e valutare gli effetti sulla vittima.

Gabriele Colasanti

Avvocato del foro di Roma – Giornalista-pubblicista

Il grafologo giudiziario come consulente della persona offesa dal reato

La grafologia giudiziaria viene in ausilio della difesa tecnica della persona offesa dal reato.
Si deve premettere che la persona offesa dal reato coincide con il titolare dell’interesse giuridico protetto, anche in modo non prevalente dalla norma incriminatrice che si assume sia stata violata dal reato (Tonini, Manuale di procedura penale).

In particolare, ai sensi dell’art. 90 del Codice di Procedura Penale (Diritti e facoltà della persona offesa dal reato), la persona offesa, in ogni stato e grado del procedimento può presentare memorie e, con esclusione del giudizio dinanzi la Corte di Cassazione, indicare elementi di prova.
In tale contesto, il difensore della persona offesa, in forza di quanto previsto dall’art. 327-bis c.p.p. può compiere investigazioni difensive al fine di ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito.
Appare utile considerare che le investigazioni difensive servono anche a vagliare la sussistenza del reato prima ancora della presentazione della denuncia e della querela, nel primo caso per comunicare all’Autorità Giudiziaria la notizia di un reato perseguibile d’ufficio che abbia leso i propri interessi e, nel secondo caso, per chiedere all’Autorità Giudiziaria di procedere e perseguire penalmente per un fatto-reato non perseguibile d’ufficio rispetto al quale la querela costituisce condizione di procedibilità in mancanza della quale non può essere esercitata l’azione penale.
Nel corso delle indagini preliminari, invece, la persona offesa può fornire al Pubblico Ministero il proprio contributo investigativo comunicando elementi idonei ad agevolare l’individuazione del colpevole o, comunque, utili delineare il fatto storico oggetto dell’indagine nonché per sostenere l’accusa in giudizio nei confronti dell’indagato.
Nel nostro ordinamento la persona offesa è tenuta a rappresentare fatti veritieri perché diversamente è imputabile per i delitti di calunnia, simulazione di reato, false informazioni al pubblico ministero e falsa testimonianza.
La grafologia giudiziaria viene in rilievo, certamente, allorquando lo scritto sia l’elemento costitutivo del reato, basti pensare alle fattispecie di:

  •  Falsità in testamento olografo, cambiale o titoli di credito (Art. 491 C.P.);
  •  Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in copie autentiche di atti pubblici o privati e in attestati del contenuto di atti (art. 478 C.P.);
  •  Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici (Art. 478 C.P.);
  •  Sostituzione di persona (art. 494 c.p.).

Inoltre, la grafologia entra a far parte del procedimento penale anche quando il manoscritto falso o apocrifo e la firma apocrifa rappresentano uno degli elementi costitutivi del reato come nel caso, a titolo esemplificativo e non esaustivo, della truffa (Art. 640 c.p.), della diffamazione (art. 595 c.p.), degli atti persecutori (c.d. stalking – art. 612 bis c.p.), dell’istigazione al suicidio (art. 580 c.p.).
Il gesto grafico, poi, può costituire elemento di prova di crimini efferati come l’omicidio, il sequestro di persona e dei c.d. “crimini seriali”.
Pertanto, nell’ambito giuridico sinteticamente descritto, l’avvocato difensore della persona offesa può nominare come consulente tecnico il grafologo giudiziario il quale, attraverso le specifiche competenze tecniche, viene chiamato a fornire un ausilio tecnico-specialistico per la ricerca di elementi utili all’attività difensiva nell’ottica del perseguimento dell’interesse punitivo e risarcitorio del soggetto privato che è, appunto, la persona offesa dal reato.
In questo caso, il grafologo giudiziario è un libero-professionista che nel rispetto delle norme e della deontologia affianca la persona offesa ed il suo difensore e può essere da questi liberamente scelto nell’ambito degli esperti della materia.
In conclusione, vista la complessità delle fattispecie valutate in sede penale, è consigliabile interpellare un esperto in materia grafologica, un grafologo giudiziario, quando manoscritti e/o firme siano di interesse per il procedimento penale; anche in via preventiva per individuare il reo ovvero escludere talune persone o circoscrivere il novero dei possibili responsabili del delitto.

Gabriele Colasanti

Avvocato del foro di Roma – Giornalista-pubblicista

Falsificazione della firma per far espatriare la figlia minore senza il consenso dell’altro genitore

Considerazioni sulla scorta di un caso giudiziario e di cronaca di interesse grafologico in tema di tutela del minore.

Recentemente, a metà dicembre di quest’anno, è stata diffusa la notizia della sentenza di condanna ad otto mesi di reclusione pronunciata dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nei confronti di una madre che aveva falsificato la firma del marito per ottenere il rilascio del documento valido per l’espatrio per la figlia minore e ciò al fine trasferirsi all’estero interrompendo i rapporti padre-figlia.

I fatti  risalgono al 2016 ma la tematica è di estrema attualità  perché la disgregazione della coppia genitoriale sovente sfocia nella condotta ostativa dell’uno verso l’altro genitore ed il trasferimento del figlio all’estero, quand’anche circoscritto ad un limitato arco temporale, rappresenta  la fattispecie che, in via di fatto,  recide il rapporto genitoriale con conseguenze gravi per il minore, basti pensare all’impatto nella sfera psicologica conseguente alla repentina interruzione dei contatti con uno dei genitori.

 A ben vedere,  la normativa italiana mira ad evitare tali accadimenti essendo necessario il consenso di entrambi i genitori  ai fini del rilascio  al minore del documento valido per l’espatrio, in quanto l’art. 3 della Legge n. 1185/1967 (norme sui passaporti) prevede che “non possono ottenere il passaporto” i minorenni senza l’assenso dei genitori quali esercenti la responsabilità genitoriale.

Nel caso sopra richiamato, del quale non si conoscono i dettagli processuali, evidentemente la madre della bambina è stata ritenuta responsabile di aver  falsificato la firma dell’altro genitore al fine di manifestare la sussistenza proprio di quel consenso richiesto dalla normativa in tema di documenti validi per l’espatrio che, giova evidenziarlo, è posta  a tutela dei minori.

Difatti, con la riforma di cui alla Legge n. 219/12 ed al successivo D.lgs. n. 154/13 il legislatore, includendo espressamente tra “le decisioni di maggiore interesse per i figli” anche quella riguardante l’individuazione della residenza abituale del minore, ha  stabilito che la scelta sia assunta da entrambi i genitori e che solo nei casi di insanabile disaccordo tra quest’ultimi la stessa sia rimessa al giudice (artt. 316 e 337 ter c.c.).

Anche in caso di collocamento “prevalente” del minore presso uno dei genitori, o di  affidamento esclusivo, la scelta relativa alla sua  residenza deve essere, comunque, assunta da entrambi i genitori.

D’altronde anche il diritto alla libera circolazione di cui all’art. 16 Cost. che attribuisce a ciascun cittadino il diritto di  “uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge” trova delle limitazioni a salvaguardia dei figli, nell’alveo dei principi di cui agli artt. 30 e 31 Cost. e del principio del best interest of the child  che  trova la sua prima manifestazione nella Dichiarazione Universale dei diritti del fanciullo del 1959.

La recente condanna, quindi, comporta delle riflessioni in merito all’ampia portata di  una condotta criminosa che non  solo lede  il soggetto di cui viene falsificata la firma ma anche quelli del minore coinvolto.

In tale ambito, il professionista grafologo costituisce un valido ausilio per evidenziare e portare alla luce eventuali condotte illecite di falsificazione delle firme e di sostituzione di persona.

Gabriele Colasanti

Avvocato del Foro di Roma

L’apocrifia della firma apposta sui moduli per il rilascio del
passaporto per il figlio minorenne

Sulla scrivania dei grafologi vengono sottoposti, con maggiore frequenza, i casi di falsificazione delle firme apposte da uno dei genitori di figli minorenni sulla modulistica per il rilascio del passaporto o della carta di identità valida per l’espatrio.

Si deve premettere che la vigente formulazione dell’art. 3 della legge n. 1185/1967 (norme sui passaporti) prevede che “non possono ottenere il passaporto” i minorenni senza l’assenso dei genitori, quali esercenti la responsabilità genitoriale, nonché i genitori che avendo “prole minore” non abbiano l’assenso dell’altro genitore ovvero, in mancanza, l’autorizzazione del Giudice tutelare.

Analogo consenso occorre per il rilascio della carta di identità valida per l’espatrio. In concreto, per il rilascio del passaporto ad un soggetto minorenne basta la presenza di uno solo dei genitori perché il consenso dell’altro genitore se “impossibilitato a presentarsi per la dichiarazione” presso gli uffici della Questura, può essere attestato allegando alla richiesta di rilascio del passaporto una fotocopia del documento del genitore assente firmato in originale (il documento deve essere firmato per il confronto delle firme) con una dichiarazione scritta di assenso all’espatrio firmata in originale ai sensi del DPR 445 del 2000 legge Bassanini.

In tale contesto si verificano i casi di falsificazione delle firme in alcuni casi apposte dall’altro genitore interessato al rilascio del documento per l’espatrio ed in altri casi ad opera dello stesso figlio minorenne che interessato alla partenza all’estero ed incaricato di raccogliere il consenso del padre o della madre provveda esso stesso ad apporre la firma sulla modulistica.

La giurisprudenza di merito ha ravvisato la fattispecie di reato della “falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico” (art. 483 c.p.) nell’ipotesi dell’apposizione della firma apocrifa dell’altro genitore nella modulistica di rilascio del passaporto. Per contrastare tali condotte illecite ed a salvaguardia dei minori, gli uffici della Questura effettuano delle verifiche apposte tra la firma presente sulla modulistica e quella del documento di identità, in tali casi viene interpellato il genitore assente presso gli uffici e firmatario allo scopo di confermare o meno la circostanza del prestato consenso. Diversamente, la falsità commessa viene alla luce con la conoscenza del viaggio all’estero mediante la pubblicazione di fotografie, il racconto da parte di amici, conoscenti ovvero in sede di rendicontazione delle spese sostenute per il figlio minore. Si può verificare anche il disconoscimento postumo e/o comunque strumentale da parte del genitore che aveva prestato il consenso ma, facendosi forza sulla propria assenza negli uffici pubblici, ritenga di rinnegare la propria sottoscrizione.

Tralasciando i tecnicismi circa le modalità per la validità di detto disconoscimento si può concludere affermando che i contrasti genitoriali fra persone non più unite dal legame sentimentale ben può richiedere il supporto del professionista grafologo anche nelle procedure che, di primo acchito, possono sembrare di routine. Senz’altro non appare opportuno ricevere la sottoscrizione dell’altro genitore per tramite del minorenne e/o di terze persone occorrendo, invece, dialogare direttamente con il firmatario della modulistica.

Gabriele Colasanti

Avvocato del Foro di Roma

La consulenza tecnica d’ufficio grafologica nel processo civile

Nel processo civile, la grafologia, nella fattispecie grafologia giudiziaria o forense, rappresenta una materia specialistica, connotata di peculiarità tecniche oltre che di stampo umanistico, utile a dirimere il contenzioso insorto fra le parti e rimesso all’autorità giudiziaria. Sono molteplici le controversie aventi ad oggetto l’apocrifia di una sottoscrizione o di un testo in particolare nell’ambito delle obbligazioni e dei contratti e nelle cause successorie che vede come “protagonista” il testamento olografo (art. 602 Cod. Civ.). Sembrano delineare l’importanza della grafologia in ambito giudiziario – civilistico – le disposizioni di cui agli artt. 214 c.p.c. e ss. (disconoscimento della scrittura privata). L’art. 216 c.p.c. (istanza di verificazione) prevede che “la parte che intende valersi della scrittura disconosciuta deve chiederne la verificazione, …indicando le scritture che possono servire di comparazione…”.
Ciò premesso, va precisato che il Giudice ove debba decidere su questioni che implichino l’impiego di conoscenze specialistiche e/o tecniche può avvalersi di un consulente tecnico d’ufficio (C.T.U.) che assume la qualifica di ausiliario del giudice allo scopo di rispondere ai quesiti formulati dal Giudice (oggetto dell’incarico peritale) che in ambito civilistico vengono determinati sulla scorta delle domande e delle eccezioni delle parti sulle quali grava l’onere della prova. Pertanto, il Giudice può individuare un consulente tecnico al quale assegnare la risposta ad uno o più quesiti circa i fatti controversi fra le parti in causa (ad esempio: “accerti il C.T.U. se la firma apparentemente apposta da Tizio sul contratto di locazione sia apocrifa” oppure “accerti il C.T.U. se il testamento olografo pubblicato in data x dal notaio Sempronio sia stato interamente redatto per mano del defunto Mevio e dallo stesso sottoscritto”).
Laddove venga nominato un consulente tecnico d’ufficio le parti in causa hanno diritto di nominare un consulente tecnico di parte (C.T.P.) che assista alle operazioni peritali ai sensi dell’art. 194 c.p.c., presenti eventuali osservazioni ed istanze nonché sia parte del contraddittorio che conduce il C.T.U. ad elaborare la relazione di consulenza tecnica d’ufficio sa sottoporre al giudice.
Sotto il profilo processuale le operazioni peritali si debbono svolgere nel rispetto del principio del contraddittorio, alla stregua di quanto dispongono l’art. 194, comma 2°, c.p.c., e l’art. 90 disp. att. c.p.c., che presidiano il diritto delle parti di intervenire, nel contraddittorio tra di loro, alle operazioni peritali (di persona o a mezzo dei propri consulenti e difensori) e di presentare al consulente – per iscritto o financo a voce – osservazioni ed istanze.
L’art. 195, comma 2°, c.p.c. prescrive, altresì, di inviare la bozza di consulenza alle parti, al fine di raccoglierne le osservazioni, prima del deposito formale della perizia.
Pertanto, gli aspetti sinteticamente sopra illustrati debbono essere considerati da coloro che intendano promuovere o resistere in giudizio sia per evitare azioni ovvero eccezioni non idonee a superare il vaglio tecnico in contraddittorio sia per esaminare la possibilità di farsi assistere da un consulente tecnico di parte.

Gabriele Colasanti
Avvocato del Foro di Roma

Testamento olografo: l’erronea indicazione della data non comporta la nullità del testamento

L’art. 602 Cod. Civ. disciplina il testamento olografo, stabilendo, fra l’altro, che “…Il testamento olografo deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore…La data deve contenere l’indicazione del giorno, mese e anno…”.

In concreto, però, l’atto di ultima volontà può  presentare una data errata oppure addirittura impossibile, come ad esempio il 30 febbraio, il 31 novembre, etc. Per tali ipotesi si pone il problema della nullità del testamento olografo perché, secondo una interpretazione rigidamente formale, dovrebbe ravvisarsi l’assenza di uno degli elementi essenziali previsti dall’art. 602 Cod. Civ. Difatti, la data assume peculiare importanza anche ai fini dell’individuazione dell’ultima volontà espressa dal de cuius  laddove esistano altri testamenti nonché per la  valutazione della capacità del testatore.

>Sull’argomento,  la giurisprudenza di legittimità ha configurato, sulla scorta del combinato disposto degli artt. 602 e 606 c.c., che oltre alla mancanza della data, costituisce causa di annullamento del testamento olografo anche l’incompletezza e/o l’impossibilità della stessa.

Si deve precisare che l’indicazione della data impossibile conduce all’annullabilità del testamento solamente ove sia riconducibile alla volontà del testatore e non ad un mero errore materiale (Cass. n. 10613/2016; Cass. 5 giugno 1964, n. 1374).

Recentemente, nell’ambito della giurisprudenza di merito (Corte d’Appello Cagliari, sent. N. 381 del 10/09/2021) è stato affermato che l’indicazione erronea della data nel testamento olografo, dovuta ad errore materiale del testatore (per distrazione, ignoranza od altra causa), anche se concretantesi in una data impossibile, non voluta, però, come tale, dal testatore, può essere rettificata dal giudice, avvalendosi di altri elementi intrinseci della scheda testamentaria, così da rispettare il requisito essenziale dell’autografia dell’atto. Nel caso affrontato dai giudici d’appello in presenza dell’errore nell’indicazione della data la CTU grafologica ha avuto ad oggetto l’individuazione della data. Pertanto, secondo il tenore letterale della predetta sentenza, i giudici sono pervenuti all’accertamento della data del testamento avvalendosi di una consulenza tecnica secondo la metodologia grafologica  particolarmente finalizzata alla comprensione della singolarità del gesto che è presente in ogni soggetto scrivente, intendendo per Grafologia lo studio del movimento scrittorio, come dimostrato da eminenti autori stranieri e italiani.

La Corte di Appello di Cagliari ha richiamato quanto già statuito, per una fattispecie analoga, dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 10613/2016) che ha affermato quanto segue: “l’indicazione erronea della data nel testamento olografo, dovuta, cioè ad errore materiale del testatore (per distrazione, ignoranza od altra causa), anche se concretantesi in una data impossibile, non voluta, però, come tale, dal testatore, può essere rettificata dal giudice, avvalendosi di altri elementi intrinseci della scheda testamentaria, così da rispettare il requisito essenziale dell’autografia dell’atto (Cass. 5 giugno 1964, n. 1374).

La valutazione della ragione dell’errore risulta rimessa all’apprezzamento del giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità ove sorretta da idonea motivazione.

Risulta opportuno, quindi, valutare mediante una consulenza grafologica di parte  la possibile rettifica della data presente nel testamento perché l’azione giudiziaria basata sulla mera irregolarità del testamento potrebbe essere contrastata sulla scorta dei principi giurisprudenziali sopra richiamati.

Gabriele Colasanti
avvocato

Il grafologo consulente tecnico nelle indagini difensive

Nel corso di programmi televisivi ci siamo abituati a sentire il parere di esperti in merito a fatti di cronaca giudiziaria e, pertanto, il pubblico ha “familiarizzato” con le ricostruzioni della scena del crimine, profili psicologici del possibile autore del crimine e, per quanto concerne la grafologia, con l’analisi di scritti anonimi relativi ad una scomparsa, ad un delitto particolarmente atroce, etc.
Nel nostro ordinamento, tuttavia, il c.d. “processo mediatico” costituisce un mero corollario del diritto di cronaca, della libertà di opinione ed anche una delle moderne forme di pubblicità del processo penale atteso che, com’è noto, la legge è amministrata “in nome del popolo italiano”.
Tralasciando, quindi, l’analisi dei possibili risvolti negativi della “spettacolarizzazione” dei fatti di cronaca nera, va precisato che nel sistema processuale italiano, guardando a quello penale, è prevista la possibilità di far intervenire degli esperti, tra i quali i grafologi giudiziari, nella veste di consulenti tecnici. Detta facoltà di avvalersi di consulenti tecnici riguarda anche le “indagini difensive” dell’avvocato.
Invero, la Legge 397 del 2000 «Disposizioni in materia di indagini difensive» ha introdotto nel nostro ordinamento le «indagini difensive» estendendo il concetto di «diritto di difesa» e trovando fondamento e legittimazione nell’art. 24, comma 2, Cost. ove è stabilito che «La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento».
Pertanto, la possibilità per il difensore di svolgere attività di investigazione ha ridotto il divario esistente fra diritti dell’accusa e quelli della difesa, dando voce al principio della parità delle parti (art. 111 co. 2 Cost.) ed al principio del contraddittorio nella formazione della prova (art. 111 co. 4 Cost.).
L’art. 327 bis c.p.p. prevede che fin dal momento dell’incarico professionale, risultante da atto scritto, il difensore ha facoltà di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito e che tali attività (di investigazione difensiva) previste possono essere svolte, su incarico del difensore, dal sostituto, da investigatori privati autorizzati e, quando sono necessarie specifiche competenze, da consulenti tecnici .
Nel caso dell’art. 327 bis c.p.p. ricorre la figura del consulente tecnico di parte, il difensore munito di procura con atto scritto è il “responsabile” delle investigazioni difensive.
In tale contesto, il consulente tecnico è quel soggetto munito di particolari competenze tecniche che fornisce ausilio al il difensore nella ricerca di prove ed elementi di prova favorevoli al proprio assistito; nella valutazione degli elementi di prova già raccolti nonché nell’ individuazione delle strategie difensive.
Orbene, la consulenza grafologica (grafologia giudiziaria) rappresenta una delle materie oggetto della consulenza tecnica nell’ambito delle investigazioni difensive tanto per l’indagato quanto nell’interesse della persona offesa.
Numerosi sono i campi di applicazione della grafologia nel corso delle investigazioni potendo riguardare, ad esempio, una richiesta estorsiva, una ipotesi di diffamazione, la circonvenzione di incapace, la segnalazione di una persona scomparsa, etc.
Possiamo affermare che la consulenza tecnica grafologica nelle investigazioni difensive spesso riguarda l’analisi degli scritti anonimi c.d. «anonimografia» che si esprime attraverso diversi canali (biglietto o lettera anonima, murales, volantino, etc)
In conclusione, il consulente tecnico nelle indagini difensive svolge un’attività di fondamentale importanza per l’esercizio del diritto di difesa e per l’attuazione dei principi costituzionali del giusto processo.
Il grafologo giudiziario costituisce una figura professionale di riferimento talvolta indispensabile per l’esatta ricostruzione della fattispecie al vaglio dell’Autorità Giudiziaria.

Gabriele Colasanti
Avvocato
Giornalista pubblicista

La consulenza tecnica grafologica nelle indagini difensive

La grafologia giudiziaria trova applicazione anche in ambito penale.
Difatti, non solo vi sono fattispecie criminose strettamente correlate alla grafologia come nell’ipotesi della formazione di un falso testamento olografo, di una cambiale o di un altro titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore (art. 491 c.p.), ma sussistono anche reati come, ad esempio, la truffa (art. 640 c.p.) e la diffamazione (art. 595 c.p.), ove l’apocrifia dello scritto può costituirne uno degli elementi oggettivi (si pensi all’artifizio nella truffa).
In questo contesto, il grafologo può assumere il ruolo di consulente tecnico nell’ambito delle indagini difensive dell’avvocato.
Si deve premettere che le indagini difensive sono state introdotte nel nostro ordinamento dalla Legge 397 del 2000 «Disposizioni in materia di indagini difensive» che ha indubbiamente esteso il concetto di «diritto di difesa» di cui all’art. 24 Cost. con l’obiettivo di dare attuazione concreta ai principi costituzionali della parità delle parti (art. 111 co. 2 Cost.) e del contraddittorio nella formazione della prova (art. 111 co. 4 Cost.).
Si deve precisare, inoltre, che la facoltà è riconosciuta non solo al difensore dell’indagato ma anche al difensore della vittima di un reato che può introdurre nel procedimento elementi rilevanti per la ricostruzione dei fatti e l’individuazione del responsabile dell’illecito.
Pertanto, l’art. 327 bis c.p. prevede che “Fin dal momento dell’incarico professionale, risultante da atto scritto, il difensore ha facoltà di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito (…)” precisando che ove siano necessarie specifiche competenze gli elementi di prova possono essere ricercati, su incarico scritto dell’avvocato difensore, da consulenti tecnici.
Nelle indagini difensive, quindi, il consulente tecnico è quel soggetto munito di particolari competenze tecniche che coadiuva il difensore:
– nella ricerca di elementi a favore del proprio assistito;
– nella valutazione degli elementi di prova già raccolti;
– nell’individuazione delle strategie difensive.
Anche la consulenza grafologica (grafologia giudiziaria) rappresenta una delle materie oggetto della consulenza tecnica del difensore in quanto appare ragionevole ritenere che l’analisi grafologica di uno scritto, e non la mera valutazione calligrafica, possa costituire un ausilio per la valutazione dei fatti sottoposti al vaglio dell’autorità giudiziaria.
Si ritiene opportuno fare riferimento a dei casi pratici.
Nell’ipotesi di testamento scritto con “mano guidata” la consulenza grafologica risulta necessaria per l’attività difensiva, ciò si può desumere anche dalla giurisprudenza.
Invero, la Suprema Corte di Cassazione (Cass. pen., sez. V, sentenza n. 51709 del 2014) ha statuito che integra il delitto di falso materiale in testamento olografo (art. 476 e 491 c.p.) la redazione di un documento – apparentemente scritto di proprio pugno dal testatore – con l’aiuto materiale di altro soggetto (che gli guidi la mano), in quanto, in tal caso, il documento non è formato, come prescritto dalla legge, esclusivamente dal de cuius e, quindi, non può essere considerato olografo.
In tale pronuncia i giudici di legittimità hanno affrontato il tema della c.d. “mano guidata” che si verifica allorquando “una persona non ha intenzione di scrivere un testamento e, allora, subentra qualcuno che le guida la mano, obbligando lo scrivente a fare qualcosa contro la propria volontà. Le due energie entrano in collisione, si contrastano, quindi creano delle interferenze, producendo movimenti squilibrati, con forme goffe e deformi, spesso parole incompiute” (Patrizia Belloni, Grafologia Magazine, Roma, agosto 2018).
In tale contesto la consulenza tecnica grafologica risulta necessaria per l’individuazione delle scritture di comparazione certamente spontanee ed autentiche nonché per l’analisi di quelle eventualmente acquisite dall’autorità giudiziaria.
Difatti, l’avvocato ben può avvalersi del grafologo giudiziario per valutare le scritture di comparazione acquisite dall’autorità giudiziaria sia ai fini dell’eventuale opposizione all’archiviazione formulata dal pubblico ministero ovvero, dal punto di vista dell’indagato, a seguito della comunicazione di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415 bis c.p.p. prodromica all’esercizio dell’azione penale.
Si può formulare un’altra ipotesi di applicazione della consulenza tecnica grafologica con riferimento all’analisi degli scritti anonimi c.d. “anonimografia” che si esprime attraverso diversi canali tra i quali il biglietto anonimo; il murales ed il volantino.
Generalmente, si perviene all’individuazione dell’anonimo guardando ai soggetti portatori di motivi di risentimento, di spirito vendicativo o persecutorio nei confronti della persona offesa.
Tale metodologia, se non suffragata da una seria e rigorosa analisi grafologica, può condurre ad errori.
Facendo un’ipotesi può esserci qualcuno intenzionato a ledere la persona offesa, ad esempio un collega di lavoro che non ha ottenuto una promozione, un vicino di casa rancoroso per le frequenti liti condominiali, il titolare di un’azienda concorrente, un parente in lite per ragioni di divisione ereditaria che conosce (anche personalmente) dell’esistenza di un ex coniuge che non ha accettato la fine del matrimonio e che nella redazione dell’anonimo offensivo o comunque lesivo dissimuli la scrittura di quest’ultimo.
In buona sostanza, l’autore dell’anonimo può cercare di dissimulare la propria scrittura affinché lo scritto illecito venga attribuito ad altro soggetto.
Ne consegue che la dissimulazione può portare all’iscrizione nel registro degli indagati e perfino all’esercizio dell’azione penale nei confronti del soggetto sbagliato (innocente).
L’attività difensiva, quindi, non può basarsi unicamente su elementi giuridici ma deve essere suffragata da una consulenza tecnica che come poc’anzi illustrato deve aiutare nella ricerca di elementi a favore del proprio assistito e nella valutazione degli elementi di prova già raccolti.
Alla luce delle pregresse considerazioni risulta evidente che la grafologia giudiziaria deve essere annoverata, con un ruolo di primaria importanza, nell’alveo delle consulenze tecniche di cui avvalersi nell’ambito dell’attività difensiva.

Gabriele Colasanti
avvocato

Il testamento olografo quale possibile frutto della circonvenzione del testatore

a cura di Gabriele Colasanti –  avvocato

Il testamento olografo, previsto dall’art. 602 c.c., viene sottoposto allo scrutinio del grafologo giudiziario ove sia necessario verificarne l’autenticità.
L’indagine grafologica, sovente, prende le mosse dall’anomalia del contenuto, dal periodo di sua redazione (ad esempio coincidente con patologie del testatore), dall’identità del beneficiario, etc.
Vengono in rilievo, pertanto, anche gli “elementi extragrafici” che possono essere tanto indice di falsità quanto di mancanza di spontaneità. Quest’ultima può essere indice rivelatore della costrizione.

La perizia grafologica, quindi, può costituire il presupposto di azioni legali non solo aventi ad oggetto la falsificazione del testamento ma anche l’induzione del testatore a scrivere “di proprio pugno” un testamento a vantaggio di soggetti che abbiano approfittato delle sue particolari condizioni psico-fisiche.

Ed infatti, il nostro ordinamento sanziona penalmente coloro che profittandosi dell’incapacità di una persona portino la medesima a compiere degli atti di disposizione patrimoniale e, quindi, ottengano in proprio o altrui favore un vantaggio economico.

Nel novero di detti atti vi rientra anche il testamento olografo.
Infatti, l’atto di ultima volontà scritto per intero, datato e sottoscritto di mano dal testatore ben può essere indotto mediante abuso della persona in condizione di inferiorità psico-fisica.
A tal proposito si fa riferimento all’art. 643 c.p.rubricato “Circonvenzione di persone incapaci”  che punisce la condotta di “chiunque per procurare a sé o ad altri un profitto (…) abusando dello stato d’infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso”.

La giurisprudenza di legittimità ha definito la “deficienza psichica” di cui all’art.643 c.p., ricomprendendovi qualsiasi minorazione della sfera volitiva ed intellettiva che agevoli la suggestionabilità della vittima e ne riduca i poteri di difesa contro le altrui insidie (si veda, in tal senso, Cassazione, sent. n.24192 del 2010).

Quanto, invece, al testamento olografo ne è indubbia l’idoneità pregiudizievole verso i successibili legittimi nell’ipotesi che istituisca altri soggetti quali eredi (il succitato art. 643 c.p. prevede che il pregiudizio dell’atto può riguardare tanto l’autore quanto altri).
Tuttavia, il testamento può produrre effetti dannosi anche a distanza di molti anni rispetto al momento dell’induzione alla redazione con risvolti sulla prescrizione del reato.
Sull’argomento la Suprema Corte di Cassazione (Cassazione, sent. n. 20669 del 2017) ha statuito che il reato di circonvenzione di incapace consistito nell’induzione alla redazione di un testamento olografo si consuma con la pubblicazione dell’atto e l’accettazione dell’eredità, fatti produttivi di un effetto dannoso per il soggetto passivo e da cui deriva il materiale conseguimento del profitto ingiusto.

Da tale momento deve decorrere la prescrizione.

In applicazione del suddetto principio, la Suprema Corte ha annullato la sentenza che aveva dichiarato estinto per prescrizione il reato di circonvenzione di incapace consistito nella induzione alla redazione di un testamento olografo.
Ciò detto ove il grafologo ravvisi nel testamento olografo elementi tali da evidenziare la mancanza di spontaneità ovvero la presenza in capo al testatore di patologie che si manifestano anche nella scrittura (si veda ad esempio la sindrome di Alzheimer) ed idonee a costituirne “infermità o deficienza psichica” appare consigliabile vagliare l’ipotesi della circonvenzione di incapace.
Tale ipotesi assumerà rilievo sia sotto il profilo penale (art. 643 c.p.) sia sotto il profilo civilistico (art. 591 c.c.).