Nota di Redazione a cura dell’ Avv. Valerio Di Giorgio
La sentenza in commento (Cass. civ., Sez. III, 12/01/2021, n. 261) pone in esame la controversia con cui Enel Energia S.p.a. propose appello avverso la sentenza n. 809/2011 emessa dal Giudice di Pace di Fasano, con la quale, in accoglimento delle domande proposte dal consumatore, era stata dichiarata la nullità, per mancata autenticità della sottoscrizione contrattuale dell’attore stesso, del contratto di fornitura di energia elettrica. Pertanto era stato accertato che nulla era dovuto a detta società per la fornitura di energia elettrica e gas in favore dell’attore ed era stata pronunciata la condanna di Enel Energia S.p.a. alla restituzione di Euro 463,84 nonchè al risarcimento dei danni non patrimoniali nella misura di Euro 700,00; inoltre, erano state rigettate le domande proposte dalla stessa Enel Energia S.p.a. nei confronti del terzo chiamato in causa (Zerocorp di D.G.L.A.), quale agente di commercio responsabile della falsificazione della firma nelle scritture contenenti i contratti di fornitura di energia elettrica.
L’appellante dedusse che erroneamente il Giudice di Pace aveva rigettato l’eccezione riconvenzionale di arricchimento senza causa proposta in via subordinata avendo illegittimamente applicato l’art. 57 , comma 1, del Codice del Consumo, interpretando detta norma nel senso che, in caso di nullità del contratto, all’ente fornitore non competeva alcun compenso, nemmeno a titolo di arricchimento senza causa. Secondo l’appellante, invece, a tale ente competeva comunque l’indebito arricchimento pari al minor compenso che l’utente avrebbe continuato a corrispondere al precedente fornitore – Enel Servizio Elettrico S.p.a. – in base al preesistente contratto di fornitura con detta società. L’appellante contestò la decisione di primo grado anche nella parte in cui il Giudice di pace aveva rigettato le domande di manleva e risarcitorie avanzate nei confronti della chiamata in causa, Zerocorp di D.G.L.A., sostenendo che erroneamente quel Giudice aveva ritenuto non provata la riferibilità alla Zerocorp del modulo di adesione al contratto di fornitura che recava la falsificazione della firma, evidenziando che, invece, tale riferibilità risultava per tabulas dal contenuto del modulo contrattuale in questione, su cui era annotato il codice dell’Agenzia, che contraddistingueva solo ed esclusivamente quell’agente.
Il Tribunale di Brindisi, in accoglimento dell’appello e in totale riforma dell’impugnata sentenza, rigettò tutte le domande proposte dal consumatore in primo grado e condannò lo stesso alla rifusione, in favore di Enel Energia S.p.a., delle spese del doppio grado del giudizio di merito.
Avverso la sentenza della Corte di merito il consumatore ha proposto ricorso per cassazione, basato su quattro motivi e illustrato da memoria.
Enel Energia S.p.a. ha resistito con controricorso illustrato da memoria.
Con il primo motivo si deduce “Violazione e falsa e/o erronea applicazione di norme di diritto con riferimento al D.Lgs. n. 206 del 2005 , art. 57 , comma 1, vigente ratione temporis in relazione al concetto di “fornitura non richiesta” ed alla eccezione riconvenzionale di indebito arricchimento”.
Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto illegittima l’applicazione, da parte del Giudice di pace, del citato art. 57, con riferimento alla ritenuta mancanza di richiesta della fornitura, e ha conseguentemente accolto l’eccezione riconvenzionale di indebito arricchimento proposta in primo grado da Enel Energia S.p.a. e denuncia che il Giudice di appello abbia ritenuto “non richiesto” il nuovo fornitore ma non la fornitura, sul rilievo che il consumatore, dopo aver contestato e disconosciuto il rapporto contrattuale con Enel Energia S.p.a., aveva formulato istanza di rientro con il precedente fornitore.
Sostiene, invece, il ricorrente che l’art. 57 citato sarebbe perfettamente applicabile al caso di specie, stante la nullità o l’inesistenza del contratto con Enel Energia S.p.a. perché corredato da sottoscrizione palesemente contraffatta e per la quale era stata presentata querela.
Premesso che per fornitura non richiesta deve intendersi “quella fornitura di beni o di servizi (tra cui anche quella di energia elettrica), che comporti una controprestazione economica per la quale il consumatore non abbia preventivamente manifestato il proprio consenso e/o non ne abbia previamente ordinato l’esecuzione”, il ricorrente assume che, nel caso all’esame, sussisterebbero tutti gli elementi individuati dal legislatore per l’applicazione del già richiamato art. 57, in quanto: a) vi è una fornitura elettrica mai richiesta dal consumatore, per la quale è previsto il pagamento di un prezzo, b) trattasi di fornitura diversa da quella precedente, unica richiesta dal consumatore, che, prima del passaggio con Enel Energia S.p.a. (determinato da un contratto falso), si avvaleva della fornitura di Enel Servizio Elettrico S.p.a., diverso gestore; c) Enel Energia S.p.a., pur facendo parte del gruppo Enel, è società del tutto distinta da Enel Servizio Elettrico S.p.a., dalla quale si differenzia sia come soggetto giuridico (partita IVA, codice fiscale, intestazione, ecc.), sia in quanto opera nel cd. mercato libero dell’energia in concorrenza con le altre società elettriche laddove, invece, Enel Servizio Elettrico S.p.a. (ora Servizio Elettrico Nazionale S.p.a.) opera nel cd. mercato di maggior tutela, in regime di sostanziale monopolio, pur sempre a garanzia del consumatore; d) i contratti stipulati nei due mercati prevedono una regolamentazione del tutto diversa; e) nel caso all’esame non sarebbe configurabile nè una novazione soggettiva nè una novazione oggettiva.
Assume il ricorrente che “a non essere richiesta non è solo la fornitura da un soggetto diverso dal precedente ma proprio quella fornitura alle nuove e diverse condizioni contrattuali” e di non aver mai avuto la volontà di usufruire dei servizi contrattuali forniti da Enel Energia S.p.A., peraltro a condizioni difformi e peggiorative.
La ratio dell’art. 57, si coglierebbe ancor di più, ad avviso del ricorrente, analizzando l’art. 27 della direttiva 2011/83/UE , direttiva ora recepita dal D.Lgs. n. 21 del 2014 , che ne ha trasfuso il testo nell’art. 66-quinquies Codice del Consumo che ha sostituito il già citato art. 57; trattandosi di norme imperative, sia l’art. 57, che l’art. 66-quinquies, prevalgono su qualsiasi Delib. dell’AEEG di segno contrario. Ne consegue, secondo il ricorrente, che non può interpretarsi in alcun modo l’art. 57, nel senso che tale norma sia applicabile solo all’ipotesi di una nuova fornitura intesa come fornitura riferita ad un’utenza mai prima di allora servita da altro contratto e/o altro operatore elettrico.
Il ricorrente contesta, infine, che il quantum dovuto sia pacifico, trattandosi di dichiarazione chiaramente subordinata alla denegata ipotesi in cui non fosse stato ritenuto applicabile nel caso di specie l’art. 57 e dettata dal fine di evitare inutili e dispendiose integrazioni istruttorie (c.t.u. antieconomica, dovendo, nell’ipotesi formulata dal Tribunale, restituire all’attuale controricorrente l’importo di Euro 463,84).
Secondo gli Ermellini Il motivo è fondato in base alle considerazioni che seguono:
Il Tribunale ha ritenuto non applicabile l’art. 57 Codice di Consumo, nella formulazione ratione temporis vigente, sul rilievo che, nella specie, non sussisterebbe la fattispecie, regolata dalla predetta norma, della fornitura non richiesta dal consumatore in quanto non era la fornitura ad essere “non richiesta”, riferendosi peraltro a servizi essenziali, bensì “non richiesti” erano il nuovo fornitore e soprattutto le diverse e più gravose condizioni economiche imposte con la nuova tariffa. Afferma il Giudice di secondo grado che, dovendosi interpretare il contratto secondo buona fede, è evidente che l’interesse dell’utente non era quello di non beneficiare dei servizi in oggetto bensì quello di ricevere la fornitura dal precedente fornitore e di mantenere le condizioni contrattuali da questi accordate, tanto è vero che il consumatore non aveva chiesto l’interruzione della fornitura in questione ma aveva formulato l’istanza di tornare a ricevere la stessa dal precedente fornitore. Il Tribunale ha conseguentemente ritenuto che, pur ricorrendo la nullità dei contratti di fornitura elettrica e di gas, non si configurerebbe la fattispecie della “fornitura non richiesta” regolata dall’art. 57 citato e costituente il presupposto, ad avviso di quel Giudice, necessario per l’affermazione che nessun costo debba essere posto a carico del consumatore. Sulla base di tali considerazioni il Tribunale ha, quindi, ritenuto di accogliere l’eccezione riconvenzionale di indebito arricchimento proposta dall’attuale controricorrente, “nel senso che, stante l’inesistenza del titolo contrattuale, non può trovare giustificazione nell’ordinamento la sbilanciata pretesa da parte dell’utente del totale risparmio dei costi che egli avrebbe dovuto comunque sostenere, in base alle condizioni contrattuali di maggior favore instaurate con il precedente gestore, per i quantitativi di corrente elettrica e di gas che in concreto e di fatto gli sono stati forniti dal nuovo gestore”.
Così decidendo il Tribunale è incorso in un vizio di sussunzione correttamente veicolato dal ricorrente con l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare condivisibilmente che “quando il giudice di merito, dopo avere ricostruito la quaestio facti secondo le allegazioni e le prove offerte dalle parti individua i termini della c.d. fattispecie concreta e, quindi, riconduce quest’ultima ad una fattispecie giuridica astratta piuttosto che ad un’altra cui sarebbe in realtà riconducibile oppure si rifiuta di ricondurla ad una certa fattispecie giuridica astratta cui sarebbe riconducibile o a qualunque fattispecie giuridica astratta, mentre ve ne sarebbe una cui potrebbe essere ricondotta, la valutazione così effettuata e la relativa motivazione, non inerendo più all’attività di ricostruzione e, dunque, di apprezzamento dei fatti storici, bensì all’attività di qualificazione in iure di essi e, dunque, ad un giudizio normativo, è controllabile e deve essere controllata dalla Corte di Cassazione nell’ambito del paradigma del n. 3 dell’art. 360 c.p.c..
In tal caso, infatti, fa parte del sindacato di legittimità (alla stregua del) detto paradigma secondo la specie cui il legislatore allude con la nozione di “falsa applicazione di norme di diritto”, il controllare se la fattispecie concreta (assunta così come ricostruita dal giudice di merito e, dunque, senza che si debba procedere ad una valutazione diretta a verificarne l’esattezza e meno che mai ad una diversa valutazione e ricostruzione o apprezzamento ricostruttivo), è stata ricondotta a ragione o a torto alla fattispecie giuridica astratta individuata dal giudice di merito come idonea a dettarne la disciplina oppure al contrario doveva essere ricondotta ad altra fattispecie giuridica oppure ancora era irriconducibile ad una fattispecie giuridica astratta, sì da non rilevare in iure, oppure ancora non è stata erroneamente ricondotta ad una certa fattispecie giuridica cui invece doveva esserlo, essendosi il giudice di merito rifiutato expressis verbis di farlo (c.d. vizio di sussunzione o di rifiuto di sussunzione)” (Cass. 31/05/2018, n. 13747).
Nel caso all’esame, infatti, deve ritenersi che la fattispecie concreta, come accertata dal Giudice del merito, deve essere ricondotta alla fattispecie giuridica disciplinata dall’art. 57 del Codice di consumo, rubricato “Fornitura non richiesta”, nella versione applicabile ratione temporis secondo cui:
“1. Il consumatore non è tenuto ad alcuna prestazione corrispettiva in caso di fornitura non richiesta. In ogni caso l’assenza di risposta non implica consenso del consumatore.
2. Salve le sanzioni previste dall’art. 62, ogni fornitura non richiesta di cui al presente articolo costituisce pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 21, 22, 23, 24, 25 e 26″.
Nella specie risulta evidente che si è in presenza di “fornitura non richiesta”, nei termini indicati dalla norma richiamata, trattandosi di fornitura erogata da soggetto diverso in base ad un contratto pacificamente non sottoscritto dal consumatore e recante firma falsa, nè rileva la circostanza che l’esecuzione materiale della fornitura, per esigenze tecniche, non possa che essere la stessa e che trattasi di servizi essenziali, rimarcandosi che il consumatore, che è venuto a conoscenza di siffatto contratto dalle fatture, non poteva restituire o impedire la fornitura non richiesta (se non, a tale ultimo riguardo, come in effetti fatto, denunciando, una volta resosene conto, la contraffazione della sottoscrizione e chiedendo di ricevere la medesima fornitura dal precedente gestore).
Se dunque, la norma applicabile nella specie è quella di cui all’art. 57 citato, occorre stabilire se tale normativa, oltre ad escludere qualsiasi prestazione corrispettiva a carico del consumatore, escluda ogni sorta di “ripetibilità”, da parte del fornitore, della “prestazione” resa sine causa, perfino nel caso in cui quest’ultimo faccia valere l’arricchimento senza causa, ai sensi dell’art. 2041, sia in via d’azione che – come nel caso all’esame – di eccezione riconvenzionale, proposta al solo scopo di paralizzare la domanda dell’attore.
Ritiene il Collegio che la questione vada risolta tenendo conto della ratio della norma di cui all’art. 57, già più volte citato, che è chiaramente norma volta a tutelare il consumatore e ad esonerarlo da oneri conseguenti a pratiche commerciali scorrette, anche alla luce delle direttive CE sulle pratiche sleali e ingannevoli (v. direttive 1997/7/CE , 2002/65/CE e 2005/29/CE) e della disciplina, non applicabile direttamente al caso di specie ratione temporis (essendo applicabile ai contratti conclusi dopo il 13 giugno 2014, come disposto dal D.Lgs. 21 febbraio 2014, n. 21 , art. 2 , comma 1) ma a cui può farsi riferimento ai fini meramente interpretativi, dell’art. 66-quinquies Codice di consumo, norma inserita con il D.Lgs., appena indicato e volto a dare attuazione della direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori.
In tale prospettiva, l’espressione “Il consumatore non è tenuto ad alcuna prestazione corrispettiva in caso di fornitura non richiesta” contenuto nell’art. 57 citato, ad avviso del Collegio, deve essere intesa come comprendente anche le obbligazioni restitutorie e indennitarie da indebiti solutio e/o da ingiustificato arricchimento rivendicate.
Se è pur vero che il consumatore abbia comunque tratto vantaggio dalla fornitura non richiesta o – come nel caso all’esame – addirittura imposta, tenuto conto delle peculiari modalità di erogazione della fornitura in questione, in base ad un contratto con sottoscrizione falsificata, tuttavia deve ritenersi che il legislatore abbia inteso far prevalere gli interessi della parte debole del contratto a discapito di soggetto che abbia scelto unilateralmente e illecitamente di procedere alla fornitura, di tal chè sul fornitore debbono ricadere, in ogni caso, le conseguenze derivanti da tale comportamento.
Ben potendosi riconoscere, per quanto sopra esplicitato, all’art. 57 citato anche una valenza latamente sanzionatoria, nell’ambito delle “prestazioni corrispettive”, da intendersi richiamate dal legislatore in senso atecnico, ritiene il Collegio debba rientrare anche l’indennizzo di cui all’art. 2041 c.c..
Pertanto, risultando il contratto illecito in questione ascrivibile comunque ad Enel Energia S.p.a. ed alla luce della interpretazione data dell’art. 57 citato, ritiene il Collegio che all’appena indicata società non spetti alcunchè per la fornitura in parola, neppure a titolo di indebito arricchimento ex art. 2041 c.c., non avendo il consumatore prestato alcun consenso al riguardo, il che è pacifico.
La Corte pertanto accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa al Tribunale di Brindisi, in persona di diverso magistrato, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.