STORIA  DEL TESTAMENTO OLOGRAFO DI UN “PADRE PADRONE”

Patrizia Belloni

grafologa giudiziaria

Poter adottare un bambino per una coppia che non può avere figli in modo naturale rappresenta una occasione veramente grande, un modo diverso per diventare genitori ma non meno importante infatti quasi sempre si crea un legame forte tra genitori- figli spesso come quello biologico.

Perché si avverte il desiderio di adottare un bambino?  Quali sono le ragioni che spingono molte coppie ad intraprendere questo cammino?

A me personalmente verrebbe da rispondere che il motivo principale è quello di dare amore ad una creatura a cui è stato negato questo diritto al momento della sua nascita, creare una famiglia, trasmettere dei valori ed aiutarlo a crescere, la percezione tangibile della continuità cioè la presa di coscienza di una realtà e non a caso spesso si dice “tramandato di padre in figlio”.

Invece purtroppo a volte capita che i bambini vengano adottati per motivi di mero opportunismo, so che nel 2022 anno in cui ci troviamo tutto ciò possa sembrare assurdo ed anacronistico, accade più spesso di quanto si possa immaginare, non è un problema dovuto alla posizione geografica, ma è il frutto dell’ignoranza e povertà che coinvolge molte persone ed è una storia vera quella che vi sto per narrare, con mio forte rammarico.

Pochi mesi fa venivo contattata telefonicamente da un certo Sig. Marcello (nome di fantasia) il quale mi chiedeva un appuntamento per sottopormi un testamento olografo scritto di proprio pugno da suo padre, “c’è qualcosa che non mi torna in quella scrittura e penso che il testamento sia falso”, sue testuali parole, una frase che purtroppo le persone mi ripetono ormai da moltissimo tempo.

Dal momento che mi occupo quasi esclusivamente di testamenti olografi accetto di buon grado l’incontro professionale con il Sig. Marcello con la speranza che la sua convinzione avesse delle reali fondamenta e che non fosse dettata soltanto dal desiderio maturato dalle proprie aspettative per avere un domani un po’ più roseo economicamente.

Ci incontriamo nel mio studio ed il Sig. Marcello mi dice di essere stato adottato quando aveva circa sei anni fine anni settanta, in un paese non molto distante da Roma, infatti pensava di aver trovato finalmente dei genitori amorevoli, una bella casa in campagna un bellissimo prato dove poter scorrazzare in libertà un fedele cagnolino inseparabile compagno di giochi da accudire invece…

Era stato adottato per necessità, i genitori putativi avevano bisogno di qualcuno che li aiutasse nei campi, accudire il bestiame ed eseguire altre mille incombenze, gli avevano permesso di ottenere a stento soltanto la licenza elementare e poi lavoro ed ancora soltanto lavoro.

Una storia che sembra tratta dal libro di Gavino Ledda “Padre Padrone”

Infatti ho riscontrato non poche analogie con quel romanzo dal quale successivamente nel 1977 fu tratto il celebre film diretto dai fratelli Taviani.

“Sono venuto a riprendermi il ragazzo, mi serve a governare le pecore e a custodirle… ho bisogno di lui in campagna il ragazzo è mio”

Questo è un passo del libro sopracitato, il “ragazzo” aveva soltanto sei anni, figlio naturale, frequentava la prima elementare ed era in classe quando il padre irruppe sotto gli occhi attòniti della maestra e dei compagni, era il 1944.

Nasce nel 1938 in provincia di Sassari, pastore analfabeta fino all’età di vent’anni, poi grazie ad un suo superiore dell’esercito durante il servizio militare consegue la licenza elementare nel 1961 e da lì la scalata verso la cultura che rende libero ogni essere umano, fino ad arrivare alla laurea in lettere intorno agli anni settanta.

Purtroppo il presentimento che avevo maturato quando il Sig. Marcello mi aveva illustrato la situazione al telefono, cioè che il testamento fosse il frutto della mente contorta di quel “padre” quindi autentico si è avverata, anche se mai come quella volta avrei voluto che il finale fosse stato diverso.

Non soltanto lo ha diseredato sciorinando tutta una serie di motivazioni valide soltanto nella sua povera mente, ma oltretutto scrivendo che siccome era stato adottato non aveva diritto a nulla di quei beni che tra l’altro il Sig. Marcello con il suo lavoro di anni ed anni aveva contribuito a costruire nel vero senso della parola.

 Una volta diventato maggiorenne e con l’aiuto di uno zio era riuscito a riprendere gli studi e a diplomarsi geometra, successivamente era stato assunto presso una società di costruzioni del suo paese ed aveva ristrutturato proprio con le sue mani la grande casa dove viveva con la sua famiglia, ormai molto datata e bisognosa di “cure”.

Nel frattempo la sua mamma adottiva era deceduta e suo padre ritenne opportuno risposarsi con una donna molto più giovane di lui, una ragazza dell’est che dapprima venne assunta come badante e da lì a poco divenne la padrona di casa e non soltanto.

Il testamento come ho anticipato era autentico, scritto di pugno del Sig. Giovanni, il Sig. Marcello mi ha consegnato molto materiale sul quale poter lavorare, infatti anche se suo padre, persona rozza e quasi per nulla scolarizzata era solito lasciare per casa ogni mattina tanti foglietti scritti a mano sui quali erano specificati i vari lavori che ciascuno dei componenti della famiglia doveva sbrigare.

Non ho ritenuto accettare l’incarico perché non vi erano i presupposti, il testamento olografo è stato scritto interamente dal Sig. Giovanni, scrittura elementare ma libera da costrizioni, un testamento scritto nella assoluta consapevolezza di ciò che stava affermando. Fortunatamente non tutto è risultato vano perché anche i figli adottivi riconosciuti hanno diritto alla quota di eredità legittima, la stessa che spetta ai figli naturali di una coppia, pertanto il Sig. Marcello avrà la soddisfazione di avere un adeguato riconoscimento ai sensi dell’art. 536 c.c. che equipara i figli adottivi a quelli naturali e legittimi.

FIRMA SU TESTAMENTO OLOGRAFO SCRITTO IN STAMPATELLO

A cura di Patrizia Belloni

grafologa giudiziaria

Cosa spinge un uomo di circa sessant’anni che gode di ottima salute ed instancabile lavoratore a scrivere un testamento olografo in stampatello pochi giorni prima della sua morte e lasciare tutti i suoi beni alla seconda moglie e alle due figlie nate da quella unione, escludendo totalmente dall’asse ereditario il figlio avuto dal primo matrimonio, forse il presentimento che da lì a poco sarebbe venuto a mancare?

Il Sig. Mario (nome di fantasia) aveva una azienda di trasporti e a  volte lui stesso era alla guida di un camion che spesso lo portava a viaggiare, magari per sopperire alla mancanza di personale ed è  morto in modo accidentale senza un perché, l’ennesima vittima della strada, non è più  tornato dalla sua famiglia con l’unica responsabilità di essere sceso dal mezzo su cui viaggiava in una notte di pioggia per aiutare un automobilista in difficoltà ed essere travolto da un camion  guidato da un suo collega  che probabilmente non lo aveva visto tra la stanchezza delle tante ore forse troppe alla guida ed al maltempo.

Il suddetto quesito che mi è stato posto poco tempo fa da un uomo, un quarantenne  figlio della vittima nato dal primo matrimonio e da ciò che mi ha riferito, suo padre  aveva avuto una vita piuttosto movimentata sotto svariati punti di vista,  si era sposato molto giovane poco più che ventenne con una sua coetanea rimasta incinta quindi dopo le nozze riparatrici e la nascita di questo figlio, il Sig. Mario aveva “messo su” con l’aiuto dei suoi genitori questa piccola azienda di trasporti cresciuta via via nel corso degli anni.

Il lavoro certo non mancava ma i turni di lavoro massacranti lo rendevano un marito ed un padre “latitante”, a tal punto che la giovane moglie dopo pochi anni dal loro matrimonio e con questo bambino ancora in tenera età tornò a vivere nella casa genitoriale chiedendo la separazione dal Sig. Mario.

Dopo qualche anno l’incontro con una nuova donna che da lì a poco lo renderà ancora padre per ben altre due volte ed ottenuta la separazione dalla prima moglie convolerà di nuovo a nozze.

Ovviamente come ho già detto svariate volte la perizia giudiziaria si basa su prove oggettive ed il grafologo tenendo sempre bene a mente la deontologia professionale deve attenersi scrupolosamente a prove reali e tangibili, oggettive  ovvero scritti o firme come in questo caso , in quantità sufficiente per una adeguata e scrupolosa comparazione con la firma contestata e soprattutto se si tratta di fotocopie che siano chiare e leggibili, per poter appurare l’esistenza o meno di una  significativa variabilità grafica  e per fare ciò occorrono scritture e firme diluite nel tempo ma ovviamente non troppo distanti dalla data del testamento, pertanto non lasciarsi influenzare dai racconti di vita, storie assolutamente reali che alle volte potrebbero in qualche modo deviare il giudizio.

 

In questo specifico caso, dal momento che il Sig. Mario persona semplice non era solito scrivere, mi sono potuta avvalere soltanto delle sue firme “certe” apposte nel corso degli anni su svariati documenti, atti notori, specimen bancario ecc. ovviamente quelle apposte prima del suo decesso perché il testamento olografo, apparentemente scritto dal Sig. Mario aveva una data molto vicina alla sua morte, soltanto di pochi giorni prima e tra l’altro, leggendo il testamento la motivazione principale come “giustificazione” del fatto che avrebbe escluso il figlio negandogli la quota legittima prevista dalla legge è che lo avrebbe aiutato elargendo di tanto in tanto delle somme (esigue) di danaro, che il Sig. Mario ovviamente mentre scriveva il suo testamento avrebbe quantificato.

Variabilità grafica

Valutare la variabilità grafica di una firma è molto importante dal punto di vista peritale soprattutto per quanto riguarda quella sui testamenti significa “monitorare” la scrittura nel corso degli anni di un individuo e le eventuali modifiche che potrebbero palesarsi in un breve percorso grafico quale la firma ma – spesso anche no – fermo restando che le specie grafiche più importanti che ci informano sui tratti caratteriologici di una persona restano tali nel tempo.

Infatti ciò che mi ha fatto decidere per “apocrifia”, quindi di una firma non autentica apposta sul testamento olografo vergato interamente in stampatello, e di conseguenza accettare l’incarico di consulente di parte, è stato che il Sig. Mario in moltissime firme che mi ha prodotto il figlio,  all’incirca più di dieci diluite nel tempo, anche su documenti originali, ho riscontrato una coerenza grafica ineccepibile, sempre la stessa inclinazione, dimensione, ovvero il calibro delle singole lettere, la loro formazione e  la modalità di legarle tra di loro, identica distanza tra il nome ed il cognome, la fluidità e scorrevolezza, frutto di un gesto libero, conteneva sempre quei segni particolari caratteristici, peculiarità esclusive dello scrivente che definiamo “idiotismi grafici”, mentre la firma apposta sul testamento era del tutto difforme, soste e riprese che sono il chiaro sintomo di incertezza, ripassi per “aggiustare” le lettere, lentezza nell’esecuzione ed una fisionomia grafica distorta.

 Per maggiore chiarezza esplicativa posso aggiungere che per quanto riguarda la firma dal punto di vista neuropsicologico ha un percorso diverso dalla scrittura, infatti mentre una lesione cerebrale vascolare può danneggiare la qualità della scrittura è molto probabile, invece, che rimanga intatta l’abilità nel firmare, in quanto le due attività hanno percorsi nervosi assolutamente diversi.

Quando si scrive il testo qualunque esso sia dal semplice biglietto di auguri che accompagna un regalo, alla stesura  di un testamento olografo viene prodotto uno sforzo diverso da quando si firma, il testo anche se breve comunque viene pensato viceversa  apporre il proprio nome e cognome rappresenta la massima sintesi di velocità non dobbiamo pensare a ciò che scriviamo perché la firma è il gesto automatico per eccellenza, pertanto è un test attendibile ma quando in perizia giudiziaria si analizza una firma contestata e si confronta con altre firme certe di una persona deve necessariamente innanzi tutto possedere i requisiti fondamentali di spontaneità e naturalezza.

A corredo di quanto illustrato risulta opportuno evidenziare che il codice civile tutela i “legittimari” ossia quei soggetti che non possono essere estromessi dalla successione del de cuius in quanto la legge gli riserva una quota di legittima. Infatti. l’art. 536 Cod. Civ. dispone quanto segue: “…Le persone a favore delle quali la legge riserva una quota di eredità o altri diritti nella successione sono: il coniuge, i figli, gli ascendenti. Ai figli sono equiparati gli adottivi…”.

ILLEGITTIMO INCASSO ASSEGNO BANCARIO – MANCATA VERIFICA IDENTITA’ DEL BENEFICIARIO – CULPA IN VIGILANDO 

Giurisprudenza in materia di firma apocrifa per l’incasso di assegni bancari

Cass. civ., Sez. VI 01/02/2022, Sent. n. 3078 –

a cura dell’Avv. Valerio di Giorgio

Con un recente sentenza la Corte di Cassazione affronta la responsabilità dell’istituto di credito per la mancata verifica dell’identità del beneficiario dell’assegno bancario, ipotesi che vede coinvolta la grafologia poiché, nella maggior parte dei casi, trattasi di assegni portati all’incasso mediante l’apposizione di firma apocrifa

Ripercorrendo la vicenda giudiziaria, nel caso esaminato dalla Suprema Corte, la Milano Assicurazioni s.p.a. convenne innanzi al Tribunale di Venezia la Poste Italiane s.p.a., chiedendone la condanna al pagamento della somma di Euro 4800,00 a titolo risarcitorio, allegando che un assegno di traenza, emesso a nome di una persona fisica, era stato portato all’incasso presso uno sportello di Poste Italiane da soggetto diverso da quello indicato nel titolo di pagamento, e che l’effettivo beneficiario aveva sporto denuncia per il mancato ricevimento del titolo (tanto che l’attrice aveva effettuato a favore di quest’ultimo un nuovo pagamento). Pertanto, l’attrice, dolendosi della mancata diligenza delle Poste nell’accertamento dell’identità del soggetto il quale aveva presentato l’assegno all’incasso, chiedeva il risarcimento del danno.
La convenuta eccepiva l’infondatezza della domanda.
Il Tribunale rigettò la domanda; avverso tale pronuncia la Milano Assicurazioni s.p.a. propose appello che, con sentenza del 2.9.19, la Corte territoriale ha respinto, osservando che: non era stata dimostrata la responsabilità della convenuta poichè, a fronte della coincidenza del nominativo del beneficiario dell’assegno con quello del soggetto che ne aveva chiesto l’accredito sul libretto postale di risparmio, non era esigibile alcun altro accertamento da parte di Poste Italiane s.p.a., considerato che lo stesso titolo non presentava alterazioni che ne ponessero in dubbio l’autenticità.
Unipol Sai s.p.a.- quale incorporante la Milano Assicurazioni s.p.a.- ricorre in cassazione con unico motivo. Resiste con controricorso Poste Italiane s.p.a..
L’unico motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 43 L. assegni, art. 1176 c.c., comma 2, e art. 1218 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, per aver la Corte d’appello escluso la responsabilità contrattuale della convenuta, la quale non aveva fornito la prova liberatoria dell’illegittimo incasso dell’assegno, considerando altresì che il titolo non era stato contraffatto, ma trafugato e girato con firma apocrifa, essendo falsificato anche il documento di riconoscimento del soggetto che aveva presentato il titolo all’incasso, la cui autenticità non era stata verificata da Poste Italiane s.p.a.
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile.
Le questioni affrontate nel presente giudizio riguardano un assegno di traenza per indennizzo assicurativo emesso su disposizione della società assicurativa (Milano Assicurazioni) dalla banca trattaria (Banca SAI) ed inviato da questa al beneficiario a mezzo posta ordinaria. L’assegno veniva pagato dalla negoziatrice Poste Italiane, previa identificazione, ad un soggetto che successivamente risultava non essere l’effettivo beneficiario del titolo, di guisa che la società assicuratrice, attrice nel giudizio risarcitorio, aveva dovuto emettere altro assegno a favore dell’assicurato.
Tale vicenda si inscrive nel tema concernente la natura della responsabilità della banca negoziatrice di assegno non trasferibile, affrontato nelle sentenze n. 12477 e 12478/2018 delle Sezioni Unite.
Queste ultime, risolvendo il contrasto giurisprudenziale formatosi tra l’indirizzo che riconosceva alla disposizione della L. n. 1736 del 1933, art. 43, comma 2 – applicabile anche all’assegno circolare in virtù del richiamo contenuto nel successivo art. 86 della stessa legge e per cui colui che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore o dal banchiere giratario per l’incasso risponde del pagamento carattere derogatorio sia alla disciplina di circolazione del titolo di credito a legittimazione variabile, sia alla disciplina ordinaria della responsabilità per inadempimento ex art. 1189 c.c., nel caso di pagamento al creditore apparente (cfr. Corte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3133 del 07/10/1958; id. Sez. 1, Sentenza n. 1098 del 09/02/1999; id. Sez. 1, Sentenza n. 3654 del 12/03/2003; id. Sez. 1, Sentenza n. 18543 del 25/08/2006; id. Sez. 1, Sentenza n. 7949 del 31/03/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 22816 del 10/11/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 18183 del 25/08/2014 ed id. Sez. 1, Sentenza n. 3405 del 22/02/2016; Id. Sez. 1, Sentenza n. 14777 del 19/07/2016; id. Corte Sez. 63, Ordinanza n. 4381 del 21/02/2017) ed il diverso filone giurisprudenziale, secondo cui la disciplina della responsabilità per l’inadempimento della banca negoziatrice o girataria per l’incasso non diverge da quella comune ex artt. 1176 , 1189 e 1218 c.c. (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2360 del 09/07/1968; id. Sez. 1, Sentenza n. 3317 del 05/07/1978; id. Sez. 1, Sentenza n. 686 del 25/01/1983; id. Sez. 1, Sentenza n. 9888 del 11/10/1997) hanno affermato il seguente principio: ” Ai sensi del R.D. n. 1736 del 1933 , art. 43 , comma 2, (c.d. legge assegni), la banca negoziatrice chiamata a rispondere del danno derivato – per errore nell’identificazione del legittimo portatore del titolo – dal pagamento dell’assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola non trasferibilità a persona diversa dall’effettivo beneficiario, è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176 c.c., comma 2″. In particolare, le Sezioni Unite hanno chiarito che la responsabilità della banca negoziatrice ex art. 43 L. assegni è di natura contrattuale “da contatto”, in ragione dell’obbligo professionale di protezione operante nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine dell’operazione; ne hanno tratto la conseguenza che la responsabilità della banca negoziatrice da contatto qualificato – inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c. e dal quale derivano i doveri di correttezza e buona fede enucleati dagli artt. 1175 e 1375 c.c. – non è oggettiva e cioè non ricorre “a prescindere dalla sussistenza dell’elemento della colpa nell’errore sull’identificazione del prenditore”. Su tale premessa, le Sezioni Unite hanno ricordato infatti che – come da principio consolidato di legittimità – in detta ipotesi si applica il regime probatorio di cui all’art. 1218 c.c.: è perciò consentito all’obbligato di fornire la prova liberatoria che il dedotto inadempimento non gli è imputabile, ovvero non è dovuto a suo fatto e colpa, con la precisazione che la banca negoziatrice essendo tenuta ad osservare nell’adempimento la diligenza di cui all’art. 1176 c.c., comma 2, in ragione della sua qualità di operatore professionale – risponde del danno anche in ipotesi di “colpa lieve”, ove non abbia fornito la prova liberatoria di avere assolto la propria obbligazione con la diligenza dovuta. Inoltre, le Sezioni Unite hanno evidenziato la specificità della previsione di cui all’art. 43 L. assegni, comma 2, giacchè la clausola di intrasferibilità ha la funzione, oltre che di assicurare il pagamento del beneficiario, di impedire la circolazione del titolo, di guisa che la sanzione di responsabilità cartolare (conseguente al pagamento a soggetto non legittimato) non va confusa con la responsabilità civile derivante dall’errata identificazione dell’effettivo prenditore, osservando che in questi sensi l’art. 43 si pone in rapporto di specialità rispetto alle norme di diritto comune sia in tema di obbligazioni – art. 1189 c.c., comma 1, (pagamento al creditore apparente) -, sia rispetto a quella riferita ai titoli a legittimazione variabile – art. 1992 c.c., comma 2, (adempimento della prestazione) che circoscrivono entrambe detta responsabilità alle ipotesi di dolo o colpa grave.
Tanto rilevato, va osservato che la ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto che Poste Italiane s.p.a. avesse dimostrato- fornendo la prova liberatoria ex art. 1218 c.c.- di aver agito con la dovuta diligenza, ex art. 1176 c.c. in ordine alla vicenda della presentazione dell’assegno di traenza all’incasso da parte di soggetto munito di documento di riconoscimento, le cui generalità corrispondevano al prenditore del titolo. Al riguardo, la ricorrente tende al riesame dei fatti inerenti alla questione della prospettata responsabilità di Poste Italiane s.p.a.; invero, la sentenza impugnata non merita censure in punto di diritto, sulla questione dell’omessa verifica della falsità del documento esibito dal possessore del titolo, avendo essa effettuato una corretta ricognizione delle norme invocate dalla ricorrente, in conformità dei suddetti principi fissati dalle SU, non essendo richiesta alla banca negoziatrice un livello di diligenza implicante ulteriori controlli all’atto dell’incasso (cfr. SU, n. 14712/07 e 12477/18). Peraltro, giova altresì rilevare che dagli atti è emerso che l’accensione del conto da parte del soggetto che ha presentato il titolo all’incasso era avvenuta anteriormente alla denuncia del furto del documento d’identità da parte del soggetto legittimo beneficiario dell’assegno di traenza.
Inoltre, nel caso di specie non può essere riconosciuta alcuna natura precettiva ovvero cogente (come tale idonea ad integrare la “parte mobile” della clausola generale normativa) ad un “regolamento”-ABI (che raccomandava la verifica di documento di riconoscimento munito di foto) che non introduce, in realtà, alcuna prescrizione per gli associati, ma si limita solo a “segnalare l’opportunità” a quest’ultimi di adottare prassi operative virtuose dirette a scongiurare il rischio di essere convenuti in giudizio in eventuali contenziosi risarcitori, e ciò peraltro con riferimento ad un richiamato mutamento giurisprudenziale in punto di interpretazione dell’art. 43 L. assegni, da ritenersi – come sopra evidenziato – ormai superato, proprio grazie all’ultima pronuncia resa in sede nomofilattica da questa Corte (cfr. sent. n. 34108/19).
Nè sono emerse nella fattispecie altre circostanze anomale espressive di mancata diligenza della banca negoziatrice nel pagamento del titolo, oggetto di specifica allegazione nel ricorso.
Pertanto la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio.

FALSITA’ IN ATTI – SOTTOSCRIZIONE APOCRIFA CONTRATTO DI LOCAZIONE – RILEVANZA
PROBATORIA CTU

Nel nostro ordinamento è previsto il reato di “falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico” (art. 483 c.p.) che punisce “Chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità…”.
Tale ipotesi di reato coinvolge anche i grafologi in quanto la Suprema Corte di Cassazione ha incluso nella condotta incriminata dall’art. 483 c.p. anche la falsità della sottoscrizione nel modulo e nella delega per la richiesta di registrazione del contratto di locazione (Cassazione, Sez. V penale, Sent. n. 37880 del 21/10/2021).

Con la predetta sentenza i giudici di legittimità hanno confermato la condanna della Corte di Appello di Napoli nei confronti delle due imputate responsabili di aver apposto sulla richiesta di registrazione di un contratto di locazione, una sottoscrizione apocrifa di una terza persona, al tempo gravemente malata, nella qualità di delegante e proprietaria dell’immobile oggetto del contratto di locazione.

Sembra opportuno evidenziare che nella fattispecie in esame la Corte di merito era pervenuta alla condanna sulla scorta di una consulenza tecnica d’ufficio grafologica che era pervenuta alla conclusione di ritenere false le firme sul contratto di locazione e quelle sui moduli per la registrazione dello stesso poiché non riconducibili alla mano della dell’anziana signora (presunta delegante poiché gravemente malata). Negli stessi termini la consulenza grafologica aveva escluso che il contratto ed i moduli compilati per la registrazione fossero stati firmati dalla stessa mano.
Appare utile evidenziare che la conoscenza da parte dell’intestatario del contratto dell’apposizione di una firma falsa da parte di un terzo è stata ritenuta irrilevante posto che la circostanza non incide sulla falsità delle sue sottoscrizioni e, dunque, sulla rilevanza penale del fatto attribuito ai sensi dell’art. 483 c.p.
Con la recente sentenza la Cassazione (Sent. n. 37880/2021) ha rigettato le censure mosse dalle imputate che avevano dedotto vizi di motivazione con riferimento al giudizio di attendibilità della consulenza grafologica posta alla base della condanna.
La sottoscrizione apocrifa sul contratto di locazione rientra nell’ipotesi di reato in discussione perché, secondo il consolidato insegnamento della Cassazione, il concetto di atto pubblico è, agli effetti della tutela penale, più ampio di quello desumibile dall’art. 2699 c.c., rientrandovi non soltanto il documento redatto dal pubblico ufficiale, ma anche quelli aventi l’attitudine ad assumere rilevanza giuridica e/o valore probatorio interno alla pubblica amministrazione. (ex multis Cass. Sez. V, Sentenza n. 9358 del 24/04/1998; Cass. Sez. V, Sentenza n. 15901 del 15/02/2021). Rientrano, quindi, nella suddetta nozione anche gli atti preparatori di una fattispecie documentale complessa, come gli atti di impulso (domande, richieste ecc.) di procedure amministrative che presentino un tale contenuto attestativo a prescindere che il loro contenuto venga integralmente trasfuso nell’atto finale del pubblico ufficiale o ne venga a costituire solo presupposto implicito necessario.
Nel caso di specie, difatti, il falso commesso dalle imputate è stato ritenuto rilevante ai sensi dell’art. 483 c.p., in quanto contenuto in un atto propedeutico alla formazione di un atto pubblico, ma, come esattamente contestato e ritenuto, è caduto sui documenti descritti nel capo d’imputazione.
Secondo la Corte di Cassazione la sentenza di condanna aveva considerato in modo coerente e logico le conclusioni della CTU grafologica la quale, aveva chiarito in sede dibattimentale come gli elementi attributivi delle firme all’imputata fossero quantitativamente e qualitativamente significativi, spiegando le marginali discrasie registrate in ragione della limitata consistenza dei campioni autografi acquisiti.
Da tali assunti la Corte territoriale ha dunque logicamente desunto la sicura paternità delle firme sul modello e sulla delega per la registrazione del contratto in capo ad una delle imputate, riconoscendone dunque la penale responsabilità.
In conclusione, nel novero degli atti che possono formare l’oggetto della consulenza grafologica vi rientrano anche le scritture private assoggettate a registrazione (tra le quali il contratto di locazione), le modulistiche dell’Agenzia delle Entrate, in genere, le istanze ed le dichiarazioni rivolte a pubblici uffici.
In tale ambito, la consulenza grafologica risulta strumentale con riferimento agli effetti giuridici prettamente civilistici ma anche sotto il profilo della responsabilità penale del “falsario”.

Avv. Gabriele Colasanti con la collaborazione dell’ avvocato V.D.G.

Nullità contratto di fornitura energetica – Firma Falsa – arricchimento senza causa – fornitura non richiesta – art. 57 Codice del Consumo

Nota di Redazione a cura dell’ Avv. Valerio Di Giorgio

La sentenza in commento (Cass. civ., Sez. III, 12/01/2021, n. 261) pone in esame la controversia con cui Enel Energia S.p.a. propose appello avverso la sentenza n. 809/2011 emessa dal Giudice di Pace di Fasano, con la quale, in accoglimento delle domande proposte dal consumatore, era stata dichiarata la nullità, per mancata autenticità della sottoscrizione contrattuale dell’attore stesso, del contratto di fornitura di energia elettrica. Pertanto era stato accertato che nulla era dovuto a detta società per la fornitura di energia elettrica e gas in favore dell’attore ed era stata pronunciata la condanna di Enel Energia S.p.a. alla restituzione di Euro 463,84 nonchè al risarcimento dei danni non patrimoniali nella misura di Euro 700,00; inoltre, erano state rigettate le domande proposte dalla stessa Enel Energia S.p.a. nei confronti del terzo chiamato in causa (Zerocorp di D.G.L.A.), quale agente di commercio responsabile della falsificazione della firma nelle scritture contenenti i contratti di fornitura di energia elettrica.
L’appellante dedusse che erroneamente il Giudice di Pace aveva rigettato l’eccezione riconvenzionale di arricchimento senza causa proposta in via subordinata avendo illegittimamente applicato l’art. 57 , comma 1, del Codice del Consumo, interpretando detta norma nel senso che, in caso di nullità del contratto, all’ente fornitore non competeva alcun compenso, nemmeno a titolo di arricchimento senza causa. Secondo l’appellante, invece, a tale ente competeva comunque l’indebito arricchimento pari al minor compenso che l’utente avrebbe continuato a corrispondere al precedente fornitore – Enel Servizio Elettrico S.p.a. – in base al preesistente contratto di fornitura con detta società. L’appellante contestò la decisione di primo grado anche nella parte in cui il Giudice di pace aveva rigettato le domande di manleva e risarcitorie avanzate nei confronti della chiamata in causa, Zerocorp di D.G.L.A., sostenendo che erroneamente quel Giudice aveva ritenuto non provata la riferibilità alla Zerocorp del modulo di adesione al contratto di fornitura che recava la falsificazione della firma, evidenziando che, invece, tale riferibilità risultava per tabulas dal contenuto del modulo contrattuale in questione, su cui era annotato il codice dell’Agenzia, che contraddistingueva solo ed esclusivamente quell’agente.
Il Tribunale di Brindisi, in accoglimento dell’appello e in totale riforma dell’impugnata sentenza, rigettò tutte le domande proposte dal consumatore in primo grado e condannò lo stesso alla rifusione, in favore di Enel Energia S.p.a., delle spese del doppio grado del giudizio di merito.
Avverso la sentenza della Corte di merito il consumatore ha proposto ricorso per cassazione, basato su quattro motivi e illustrato da memoria.
Enel Energia S.p.a. ha resistito con controricorso illustrato da memoria.
Con il primo motivo si deduce “Violazione e falsa e/o erronea applicazione di norme di diritto con riferimento al D.Lgs. n. 206 del 2005 , art. 57 , comma 1, vigente ratione temporis in relazione al concetto di “fornitura non richiesta” ed alla eccezione riconvenzionale di indebito arricchimento”.
Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto illegittima l’applicazione, da parte del Giudice di pace, del citato art. 57, con riferimento alla ritenuta mancanza di richiesta della fornitura, e ha conseguentemente accolto l’eccezione riconvenzionale di indebito arricchimento proposta in primo grado da Enel Energia S.p.a. e denuncia che il Giudice di appello abbia ritenuto “non richiesto” il nuovo fornitore ma non la fornitura, sul rilievo che il consumatore, dopo aver contestato e disconosciuto il rapporto contrattuale con Enel Energia S.p.a., aveva formulato istanza di rientro con il precedente fornitore.
Sostiene, invece, il ricorrente che l’art. 57 citato sarebbe perfettamente applicabile al caso di specie, stante la nullità o l’inesistenza del contratto con Enel Energia S.p.a. perché corredato da sottoscrizione palesemente contraffatta e per la quale era stata presentata querela.
Premesso che per fornitura non richiesta deve intendersi “quella fornitura di beni o di servizi (tra cui anche quella di energia elettrica), che comporti una controprestazione economica per la quale il consumatore non abbia preventivamente manifestato il proprio consenso e/o non ne abbia previamente ordinato l’esecuzione”, il ricorrente assume che, nel caso all’esame, sussisterebbero tutti gli elementi individuati dal legislatore per l’applicazione del già richiamato art. 57, in quanto: a) vi è una fornitura elettrica mai richiesta dal consumatore, per la quale è previsto il pagamento di un prezzo, b) trattasi di fornitura diversa da quella precedente, unica richiesta dal consumatore, che, prima del passaggio con Enel Energia S.p.a. (determinato da un contratto falso), si avvaleva della fornitura di Enel Servizio Elettrico S.p.a., diverso gestore; c) Enel Energia S.p.a., pur facendo parte del gruppo Enel, è società del tutto distinta da Enel Servizio Elettrico S.p.a., dalla quale si differenzia sia come soggetto giuridico (partita IVA, codice fiscale, intestazione, ecc.), sia in quanto opera nel cd. mercato libero dell’energia in concorrenza con le altre società elettriche laddove, invece, Enel Servizio Elettrico S.p.a. (ora Servizio Elettrico Nazionale S.p.a.) opera nel cd. mercato di maggior tutela, in regime di sostanziale monopolio, pur sempre a garanzia del consumatore; d) i contratti stipulati nei due mercati prevedono una regolamentazione del tutto diversa; e) nel caso all’esame non sarebbe configurabile nè una novazione soggettiva nè una novazione oggettiva.
Assume il ricorrente che “a non essere richiesta non è solo la fornitura da un soggetto diverso dal precedente ma proprio quella fornitura alle nuove e diverse condizioni contrattuali” e di non aver mai avuto la volontà di usufruire dei servizi contrattuali forniti da Enel Energia S.p.A., peraltro a condizioni difformi e peggiorative.
La ratio dell’art. 57, si coglierebbe ancor di più, ad avviso del ricorrente, analizzando l’art. 27 della direttiva 2011/83/UE , direttiva ora recepita dal D.Lgs. n. 21 del 2014 , che ne ha trasfuso il testo nell’art. 66-quinquies Codice del Consumo che ha sostituito il già citato art. 57; trattandosi di norme imperative, sia l’art. 57, che l’art. 66-quinquies, prevalgono su qualsiasi Delib. dell’AEEG di segno contrario. Ne consegue, secondo il ricorrente, che non può interpretarsi in alcun modo l’art. 57, nel senso che tale norma sia applicabile solo all’ipotesi di una nuova fornitura intesa come fornitura riferita ad un’utenza mai prima di allora servita da altro contratto e/o altro operatore elettrico.
Il ricorrente contesta, infine, che il quantum dovuto sia pacifico, trattandosi di dichiarazione chiaramente subordinata alla denegata ipotesi in cui non fosse stato ritenuto applicabile nel caso di specie l’art. 57 e dettata dal fine di evitare inutili e dispendiose integrazioni istruttorie (c.t.u. antieconomica, dovendo, nell’ipotesi formulata dal Tribunale, restituire all’attuale controricorrente l’importo di Euro 463,84).
Secondo gli Ermellini Il motivo è fondato in base alle considerazioni che seguono:
Il Tribunale ha ritenuto non applicabile l’art. 57 Codice di Consumo, nella formulazione ratione temporis vigente, sul rilievo che, nella specie, non sussisterebbe la fattispecie, regolata dalla predetta norma, della fornitura non richiesta dal consumatore in quanto non era la fornitura ad essere “non richiesta”, riferendosi peraltro a servizi essenziali, bensì “non richiesti” erano il nuovo fornitore e soprattutto le diverse e più gravose condizioni economiche imposte con la nuova tariffa. Afferma il Giudice di secondo grado che, dovendosi interpretare il contratto secondo buona fede, è evidente che l’interesse dell’utente non era quello di non beneficiare dei servizi in oggetto bensì quello di ricevere la fornitura dal precedente fornitore e di mantenere le condizioni contrattuali da questi accordate, tanto è vero che il consumatore non aveva chiesto l’interruzione della fornitura in questione ma aveva formulato l’istanza di tornare a ricevere la stessa dal precedente fornitore. Il Tribunale ha conseguentemente ritenuto che, pur ricorrendo la nullità dei contratti di fornitura elettrica e di gas, non si configurerebbe la fattispecie della “fornitura non richiesta” regolata dall’art. 57 citato e costituente il presupposto, ad avviso di quel Giudice, necessario per l’affermazione che nessun costo debba essere posto a carico del consumatore. Sulla base di tali considerazioni il Tribunale ha, quindi, ritenuto di accogliere l’eccezione riconvenzionale di indebito arricchimento proposta dall’attuale controricorrente, “nel senso che, stante l’inesistenza del titolo contrattuale, non può trovare giustificazione nell’ordinamento la sbilanciata pretesa da parte dell’utente del totale risparmio dei costi che egli avrebbe dovuto comunque sostenere, in base alle condizioni contrattuali di maggior favore instaurate con il precedente gestore, per i quantitativi di corrente elettrica e di gas che in concreto e di fatto gli sono stati forniti dal nuovo gestore”.
Così decidendo il Tribunale è incorso in un vizio di sussunzione correttamente veicolato dal ricorrente con l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare condivisibilmente che “quando il giudice di merito, dopo avere ricostruito la quaestio facti secondo le allegazioni e le prove offerte dalle parti individua i termini della c.d. fattispecie concreta e, quindi, riconduce quest’ultima ad una fattispecie giuridica astratta piuttosto che ad un’altra cui sarebbe in realtà riconducibile oppure si rifiuta di ricondurla ad una certa fattispecie giuridica astratta cui sarebbe riconducibile o a qualunque fattispecie giuridica astratta, mentre ve ne sarebbe una cui potrebbe essere ricondotta, la valutazione così effettuata e la relativa motivazione, non inerendo più all’attività di ricostruzione e, dunque, di apprezzamento dei fatti storici, bensì all’attività di qualificazione in iure di essi e, dunque, ad un giudizio normativo, è controllabile e deve essere controllata dalla Corte di Cassazione nell’ambito del paradigma del n. 3 dell’art. 360 c.p.c..
In tal caso, infatti, fa parte del sindacato di legittimità (alla stregua del) detto paradigma secondo la specie cui il legislatore allude con la nozione di “falsa applicazione di norme di diritto”, il controllare se la fattispecie concreta (assunta così come ricostruita dal giudice di merito e, dunque, senza che si debba procedere ad una valutazione diretta a verificarne l’esattezza e meno che mai ad una diversa valutazione e ricostruzione o apprezzamento ricostruttivo), è stata ricondotta a ragione o a torto alla fattispecie giuridica astratta individuata dal giudice di merito come idonea a dettarne la disciplina oppure al contrario doveva essere ricondotta ad altra fattispecie giuridica oppure ancora era irriconducibile ad una fattispecie giuridica astratta, sì da non rilevare in iure, oppure ancora non è stata erroneamente ricondotta ad una certa fattispecie giuridica cui invece doveva esserlo, essendosi il giudice di merito rifiutato expressis verbis di farlo (c.d. vizio di sussunzione o di rifiuto di sussunzione)” (Cass. 31/05/2018, n. 13747).
Nel caso all’esame, infatti, deve ritenersi che la fattispecie concreta, come accertata dal Giudice del merito, deve essere ricondotta alla fattispecie giuridica disciplinata dall’art. 57 del Codice di consumo, rubricato “Fornitura non richiesta”, nella versione applicabile ratione temporis secondo cui:
“1. Il consumatore non è tenuto ad alcuna prestazione corrispettiva in caso di fornitura non richiesta. In ogni caso l’assenza di risposta non implica consenso del consumatore.
2. Salve le sanzioni previste dall’art. 62, ogni fornitura non richiesta di cui al presente articolo costituisce pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 21, 22, 23, 24, 25 e 26″.
Nella specie risulta evidente che si è in presenza di “fornitura non richiesta”, nei termini indicati dalla norma richiamata, trattandosi di fornitura erogata da soggetto diverso in base ad un contratto pacificamente non sottoscritto dal consumatore e recante firma falsa, nè rileva la circostanza che l’esecuzione materiale della fornitura, per esigenze tecniche, non possa che essere la stessa e che trattasi di servizi essenziali, rimarcandosi che il consumatore, che è venuto a conoscenza di siffatto contratto dalle fatture, non poteva restituire o impedire la fornitura non richiesta (se non, a tale ultimo riguardo, come in effetti fatto, denunciando, una volta resosene conto, la contraffazione della sottoscrizione e chiedendo di ricevere la medesima fornitura dal precedente gestore).
Se dunque, la norma applicabile nella specie è quella di cui all’art. 57 citato, occorre stabilire se tale normativa, oltre ad escludere qualsiasi prestazione corrispettiva a carico del consumatore, escluda ogni sorta di “ripetibilità”, da parte del fornitore, della “prestazione” resa sine causa, perfino nel caso in cui quest’ultimo faccia valere l’arricchimento senza causa, ai sensi dell’art. 2041, sia in via d’azione che – come nel caso all’esame – di eccezione riconvenzionale, proposta al solo scopo di paralizzare la domanda dell’attore.
Ritiene il Collegio che la questione vada risolta tenendo conto della ratio della norma di cui all’art. 57, già più volte citato, che è chiaramente norma volta a tutelare il consumatore e ad esonerarlo da oneri conseguenti a pratiche commerciali scorrette, anche alla luce delle direttive CE sulle pratiche sleali e ingannevoli (v. direttive 1997/7/CE , 2002/65/CE e 2005/29/CE) e della disciplina, non applicabile direttamente al caso di specie ratione temporis (essendo applicabile ai contratti conclusi dopo il 13 giugno 2014, come disposto dal D.Lgs. 21 febbraio 2014, n. 21 , art. 2 , comma 1) ma a cui può farsi riferimento ai fini meramente interpretativi, dell’art. 66-quinquies Codice di consumo, norma inserita con il D.Lgs., appena indicato e volto a dare attuazione della direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori.
In tale prospettiva, l’espressione “Il consumatore non è tenuto ad alcuna prestazione corrispettiva in caso di fornitura non richiesta” contenuto nell’art. 57 citato, ad avviso del Collegio, deve essere intesa come comprendente anche le obbligazioni restitutorie e indennitarie da indebiti solutio e/o da ingiustificato arricchimento rivendicate.
Se è pur vero che il consumatore abbia comunque tratto vantaggio dalla fornitura non richiesta o – come nel caso all’esame – addirittura imposta, tenuto conto delle peculiari modalità di erogazione della fornitura in questione, in base ad un contratto con sottoscrizione falsificata, tuttavia deve ritenersi che il legislatore abbia inteso far prevalere gli interessi della parte debole del contratto a discapito di soggetto che abbia scelto unilateralmente e illecitamente di procedere alla fornitura, di tal chè sul fornitore debbono ricadere, in ogni caso, le conseguenze derivanti da tale comportamento.
Ben potendosi riconoscere, per quanto sopra esplicitato, all’art. 57 citato anche una valenza latamente sanzionatoria, nell’ambito delle “prestazioni corrispettive”, da intendersi richiamate dal legislatore in senso atecnico, ritiene il Collegio debba rientrare anche l’indennizzo di cui all’art. 2041 c.c..
Pertanto, risultando il contratto illecito in questione ascrivibile comunque ad Enel Energia S.p.a. ed alla luce della interpretazione data dell’art. 57 citato, ritiene il Collegio che all’appena indicata società non spetti alcunchè per la fornitura in parola, neppure a titolo di indebito arricchimento ex art. 2041 c.c., non avendo il consumatore prestato alcun consenso al riguardo, il che è pacifico.
La Corte pertanto accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa al Tribunale di Brindisi, in persona di diverso magistrato, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Testamento olografo: l’erronea indicazione della data non comporta la nullità del testamento

L’art. 602 Cod. Civ. disciplina il testamento olografo, stabilendo, fra l’altro, che “…Il testamento olografo deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore…La data deve contenere l’indicazione del giorno, mese e anno…”.

In concreto, però, l’atto di ultima volontà può  presentare una data errata oppure addirittura impossibile, come ad esempio il 30 febbraio, il 31 novembre, etc. Per tali ipotesi si pone il problema della nullità del testamento olografo perché, secondo una interpretazione rigidamente formale, dovrebbe ravvisarsi l’assenza di uno degli elementi essenziali previsti dall’art. 602 Cod. Civ. Difatti, la data assume peculiare importanza anche ai fini dell’individuazione dell’ultima volontà espressa dal de cuius  laddove esistano altri testamenti nonché per la  valutazione della capacità del testatore.

>Sull’argomento,  la giurisprudenza di legittimità ha configurato, sulla scorta del combinato disposto degli artt. 602 e 606 c.c., che oltre alla mancanza della data, costituisce causa di annullamento del testamento olografo anche l’incompletezza e/o l’impossibilità della stessa.

Si deve precisare che l’indicazione della data impossibile conduce all’annullabilità del testamento solamente ove sia riconducibile alla volontà del testatore e non ad un mero errore materiale (Cass. n. 10613/2016; Cass. 5 giugno 1964, n. 1374).

Recentemente, nell’ambito della giurisprudenza di merito (Corte d’Appello Cagliari, sent. N. 381 del 10/09/2021) è stato affermato che l’indicazione erronea della data nel testamento olografo, dovuta ad errore materiale del testatore (per distrazione, ignoranza od altra causa), anche se concretantesi in una data impossibile, non voluta, però, come tale, dal testatore, può essere rettificata dal giudice, avvalendosi di altri elementi intrinseci della scheda testamentaria, così da rispettare il requisito essenziale dell’autografia dell’atto. Nel caso affrontato dai giudici d’appello in presenza dell’errore nell’indicazione della data la CTU grafologica ha avuto ad oggetto l’individuazione della data. Pertanto, secondo il tenore letterale della predetta sentenza, i giudici sono pervenuti all’accertamento della data del testamento avvalendosi di una consulenza tecnica secondo la metodologia grafologica  particolarmente finalizzata alla comprensione della singolarità del gesto che è presente in ogni soggetto scrivente, intendendo per Grafologia lo studio del movimento scrittorio, come dimostrato da eminenti autori stranieri e italiani.

La Corte di Appello di Cagliari ha richiamato quanto già statuito, per una fattispecie analoga, dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 10613/2016) che ha affermato quanto segue: “l’indicazione erronea della data nel testamento olografo, dovuta, cioè ad errore materiale del testatore (per distrazione, ignoranza od altra causa), anche se concretantesi in una data impossibile, non voluta, però, come tale, dal testatore, può essere rettificata dal giudice, avvalendosi di altri elementi intrinseci della scheda testamentaria, così da rispettare il requisito essenziale dell’autografia dell’atto (Cass. 5 giugno 1964, n. 1374).

La valutazione della ragione dell’errore risulta rimessa all’apprezzamento del giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità ove sorretta da idonea motivazione.

Risulta opportuno, quindi, valutare mediante una consulenza grafologica di parte  la possibile rettifica della data presente nel testamento perché l’azione giudiziaria basata sulla mera irregolarità del testamento potrebbe essere contrastata sulla scorta dei principi giurisprudenziali sopra richiamati.

Gabriele Colasanti
avvocato

Falsità del testamento olografo. Sospetti e rimedi.

Gli ultimi dati statistici disponibili sul numero dei testamenti pubblicati in Italia provenienti dall’Ufficio Centrale degli archivi notarili risalgono all’anno 2018 e confermano la tendenza degli anni precedenti e cioè che gli italiani sono scarsamente inclini a lasciare disposizioni scritte in merito alle proprie ultime volontà.

I dati parlano chiaro a livello nazionale solo il 12,26% delle successioni ereditarie sono state regolate in base ad un testamento, in particolare è stata registrata una maggiore riluttanza per i residenti delle regioni del centro Italia con il 10,12% e di converso una più favorevole propensione per i residenti delle regioni Sicilia e Sardegna con un dato che si attesta al 15,38%.

Tra i pochi che hanno deciso di fare testamento prevale la forma del testamento olografo pari al 77,74% dei testamenti pubblicati il che significa che solo un italiano su dieci decide di disporre delle proprie ultime volontà ricorrendo al testamento olografo.

Da questa premessa si comprende come il testamento olografo rappresentando una scelta poco praticata tra la popolazione, spesso ingeneri a torto o ragione sospetti in coloro che ne risultino penalizzati.

Il testamento olografo è in grado di produrre i suoi effetti dal momento della sua pubblicazione dal notaio ed è proprio dal quel momento che diviene oggetto di esame soprattutto se le disposizioni ivi contenute regolino la successione diversamente da quanto previsto dalla legge sia per quanto concerne il rispetto delle quote di legittima vuoi per l’inserimento di soggetti estranei alla cerchia dei parenti entro il 6° grado.

Tali sospetti possono acuirsi allorché il de cuius era persona poco incline alla scrittura di proprio pugno in considerazione della sua ridotta scolarizzazione ovvero a causa dell’insorgere di disturbi nelle articolazioni della mano o di altre patologie in grado di influire sul gesto scrittorio oppure semplicemente in conseguenza della deseutudine alla scrittura amanuense sostituita dalla scrittura al computer, tablet e smartphone.

Anche le circostanze del trapasso possono contribuire ad alimentare ulteriormente i sospetti, infatti solitamente coloro che decidono di fare testamento sono in età avanzata o di fronte ad una diagnosi medica infausta a breve termine. Ecco quindi che una morte accidentale o imprevista di una persona tra i 40 ed i 70 anni, in buono stato di salute con l’esistenza di un testamento appare fuori dall’ordinario.

Ma i sospetti servono solo a porsi delle domande non certo a fornire delle risposte, le scarne considerazioni sopra indicate associate ad altre specifiche informazioni relative al caso oggetto d’esame possono però fornire la spinta a ricercare gli elementi essenziali per giungere all’accertamento di falsità della scheda testamentaria.

Qualsiasi azione si vorrà intraprendere per accertare e far dichiarare la falsità di un testamento olografo non potrà prescindere dall’essersi procurati manoscritti e firme attribuiti con certezza alla mano del “de cuius” .

Questo aspetto è tutt’altro che trascurabile perché la mancanza assoluta di scritture e firme per la comparazione con quelle del testamento rende quasi impossibile provare la falsità della scheda testamentaria che in ragione di altri indizi extragrafici è fortemente sospettata di falsità.

In questi casi il grafologo giudiziario dovrà concentrarsi sull’eventuale presenza nel testamento olografo di più mani cioè sul fatto che il manoscritto non sia riconducibile tutto alla mano della stessa persona.

Sul punto il primo comma dell’art. 602 del codice civile non lascia spazio a dubbi interpretativi il testamento olografo “deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore”. In conclusione se il sospetto è quello di trovarsi di fronte ad un testamento olografo non autentico in tutto o in parte occorre procurarsi quante più scritture possibili del testatore con particolare riguardo a quelle coeve o altrimenti confidare nell’abilità del grafologo nel riuscire ad individuare scritture aliene nel manoscritto o la marcata incompatibilità tra il testo della scheda e la firma di sottoscrizione.

Roberto Colasanti

La necessità e l’importanza dello studio grafologico in perizia giudiziaria

A cura di Patrizia Belloni

In seguito al mio ultimo articolo pubblicato su “Grafologia Magazine” ho ricevuto alcune e-mail di persone che hanno chiesto in cosa consiste “lo studio” preventivo ritenuto necessario al fine di poter accertare i presupposti o meno quando ci viene richiesta una consulenza.
Il mio obiettivo è quello di eseguire un corretto lavoro e fornire alla persona che ha espresso la volontà di far condurre un accertamento su un documento olografo la giusta risposta, e soprattutto poter decidere in accordo con il proprio Legale di fiducia quale percorso intraprendere, per questo motivo nel mio precedente articolo ho usato l’aggettivo “propedeutico”.
E’ mia consuetudine ormai da svariati anni scrivere gli articoli basandomi su fatti realmente accaduti, prendo spunto dalle mie esperienze professionali – ovviamente quelle più significative – al fine di poter dare un contributo oggettivo e concreto, in quanto non sto “ipotizzando” una situazione, a persone che probabilmente stanno vivendo quella stessa esperienza.
In realtà si tratta di una vera e propria “indagine”, un viaggio attraverso gli otto generi della scrittura che sono: l’impostazione ovvero come viene gestito lo spazio nel foglio; la dimensione; la direzione; l’inclinazione; la forma; la continuità; velocità e pressione poi in perizia giudiziaria nello specifico si aggiunge la valutazione del grado di naturalezza e spontaneità della grafia.
Svolgimento di uno studio in Perizia Giudiziaria
Le scritture vanno studiate separatamente, generalmente viene esaminata prima quella “contestata” ritenuta falsa dalla persona che si rivolge al consulente e poi le scritture autografe o firme di comparazione che verranno prodotte dal diretto interessato oppure se si tratta di testamenti naturalmente dai congiunti del “de cuius”.
Il mio metodo di lavoro è innanzitutto osservare la scrittura nel suo insieme, acquisire coscienza di una realtà ovvero di uno scritto percependo quindi l’equilibrio ed armonia dei singoli segni, si procede con lo studio di ogni elemento grafico anche, all’occorrenza con l’aiuto di strumentazione apposita se abbiamo a disposizione scritture originali e non fotocopie.
Quindi si procede con la valutazione dei margini se sono regolari o meno; gli spazi ovvero la distanza tra le singole lettere tra le parole e la distanza tra un rigo e l’altro; la direzione e l’andamento delle parole, quindi se la scrittura è aderente alla linea retta avremo una scrittura “orizzontale” viceversa a seconda di come si discostano dalla linea avremo una scrittura discendente o ascendente.
Molto importante è lo studio della pressione e del tratto quindi stabilire se la pressione è leggera o pesante, ovvero la forza esercitata sul foglio e la traccia che viene impressa; la velocità per poterla valutare ci sono molti parametri da dover studiare uno fra tutti è la scorrevolezza del tracciato grafico senza indugi, interruzioni giustapposizioni, soste e bottoni di ripresa, quando si falsifica si tende a fermare la penna e si crea un piccolo punto con l’inchiostro che ad occhio nudo non si nota e si chiama appunto bottone di sosta.
Le dimensioni o calibro delle lettere; la forma che è l’aspetto che colpisce già di primo acchito ma è anche quello che viene imitato più frequentemente e per questo necessita di uno studio molto approfondito, e consentirà al consulente di scoprire gli elementi di contrasto con la scrittura o firma autografa che spesso vengono trascurati o sottovalutati dal falsario.
Ma ciò che è di estrema importanza in perizia giudiziaria è saper valutare la naturalezza e spontaneità di uno scritto che sia un testamento o firma, come già detto in grafologia giudiziaria naturalezza e spontaneità non sono sinonimi.
Una scrittura può essere naturale ovvero che fa parte della natura di quella persona ma a volte non è spontanea, cioè che la stessa persona non ha scritto di sua spontanea volontà ma ha subito qualche forma di costrizione, ciò accade molto spesso (purtroppo) quando si tratta di testamenti olografi scritti da persone piuttosto anziane.
La fase successiva all’analisi preliminare è quella di procedere con il confronto delle scritture sia quella da verificare quindi contestata e quelle di comparazione, valutare le “convergenze” e “divergenze” tra gli scritti e valutare l’importanza delle ultime in quanto se divergono negli aspetti fondamentali del grafismo vuol dire che non si tratta della stessa persona.
Per questi e tanti altri motivi, il mio “modus operandi” è quello di non dare giudizi affrettati senza prima avere studiato il caso.
Spero di essere stata abbastanza chiara ed esaustiva, soprattutto ciò che mi preme ribadire è che il CTP (consulente di parte) non deve necessariamente assecondare – anche quando non ci sono le condizioni – la persona che si rivolge ad esso, si può essere “di parte” anche sconsigliando di intraprendere un percorso in salita, pieno di difficoltà ed eventuali delusioni future.

Patrizia Belloni – Grafologa giudiziaria –

Giornalista

www.patriziabelloni.it

Albo dei CTU grafologi ed il ruolo del CTP

Com’è noto per materie altamente tecniche o specialistiche il giudice può avvalersi di un ausiliario in possesso della necessaria competenza ed esperienza, il consulente tecnico d’ufficio, da cui l’acronimo C.T.U.

L’albo dei Consulenti tecnici d’ufficio istituito presso ciascun Tribunale Ordinario della Repubblica Italiana, è tenuto dal Presidente del Tribunale e tutte le decisioni relative all’ammissione sono deliberate da un Comitato da lui presieduto e composto dal Procuratore della Repubblica, da un rappresentante dell’Ordine professionale o della Camera di Commercio per coloro che fanno parte di categorie che non sono organizzate in ordini o collegi professionali e, quindi non sono provviste di Albi professionali. Possono essere iscritti all’Albo coloro che sono forniti di speciale competenza tecnica in una determinata materia e sono iscritti nelle rispettive associazioni professionali e sono animati da spirito di correttezza e trasparenza.

Nella pagina web del Tribunale di Milano, si legge che “l’iscrizione nell’Albo dei consulenti tecnici del Giudice può essere richiesta mediante domanda al Presidente del Tribunale, nella cui circoscrizione l’aspirante risiede o ha il domicilio professionale. La domanda deve contenere la dichiarazione di iscrizione all’ordine professionale o alla Camera di Commercio, l’indicazione della Categoria e della (o delle) specialità prescelte. Per le categorie non previste dagli ordini professionali e’ necessaria la previa iscrizione nell’albo dei Periti e degli Esperti, tenuto dalla Camera di Commercio”([1]). Di tal senso sono anche le indicazioni pubblicate sul sito del ministero della Giustizia da altri Tribunali in cui viene specificato che nel caso di appartenenza a categoria di esperti non organizzata in ordine o collegio professionale, l’istante dovrà autocertificare l’iscrizione nel ruolo dei periti e degli esperti presso la Camera di Commercio  e di altri Tribunali dislocati sul territorio nazionale.

Sul piano pratico, però si è potuto riscontrare senza tema di smentita che l’iscrizione nell’Albo  dei CTU, almeno per quanto concerne i grafologi, avviene in taluni casi secondo valutazioni  totalmente discrezionali che derogano dalle sopra indicate regole.

Recentemente nell’ambito di attività di indagini difensive effettuate dal team con cui collabora lo scrivente è infatti emerso che tra due  giovani aspiranti consulenti tecnici d’ufficio per la categoria dei grafologi, una determinata Commissione aveva fatto cadere la propria scelta sul candidato sprovvisto  del requisito dell’iscrizione al ruolo degli esperti e dei periti della Camera di Commercio che d’un tratto non era più motivo ostativo.

E’ bene evidenziare che il suddetto requisito ha una valenza sostanziale e non solo formale in quanto la Camera di Commercio per istruire in senso favorevole le domande di iscrizione nel ruolo dei periti e degli esperti ha l’obbligo di accertare che l’attività di grafologo sia esercitata abitualmente e professionalmente e non in maniera occasionale comprovando in siffatta maniera il possesso della necessaria esperienza e competenza professionale.

Da quanto sopra ne deriva che l’ignaro cittadino costretto a rivolgersi all’Autorità Giudiziaria per impugnare un testamento palesemente falso, possa incappare in un CTU  grafologo privo della necessaria esperienza e competenza che non sapendo  rilevare tale falsità, emetterà un responso di autenticità che risulterà determinante per convincere il giudice a pronunciarsi nel senso.

Riuscire a porre rimedio ad una sentenza sfavorevole sulla base di una  CTU di tal genere è assai complesso ed oneroso sia per la parte soccombente sia per il legale che l’assiste, ma può avere una qualche possibilità di successo nei successivi gradi di giudizio solamente se la Consulente grafologa di parte nel corso delle varie fasi peritali sia puntualmente intervenuta con osservazioni critiche atte a confutare in maniera  quanto più oggettiva possibile, l’errato o mancato  utilizzo di strumentazioni e procedure nonché i vizi o le carenze delle argomentazioni poste a sostegno delle conclusioni finali. Anzi è proprio nel caso sopra indicato che il ruolo della consulente grafologa  di parte viene ad esaltarsi quale indispensabile baluardo difensivo sul quale costruire la riscossa contro la patita ingiustizia, figlia dell’arbitrio più che della scellerata discrezionalità.

Roberto Colasanti Criminologo per l’investigazione e la sicurezza
[1]Come si diventa Consulenti Tecnici d’Ufficio del Giudice – Tribunale di Milano

Il giusto approccio alla consulenza grafologica giudiziaria

A cura di Patrizia Belloni

“Avrei bisogno di conoscere se le firme apposte dal “de cuius…” su alcuni atti notarili che le ho allegato, possono essere compatibili o francamente dissimili al proposito, qualora vi sia una reale differenza (se ovviamente ne valga la pena richiedere una perizia), desidererei conoscere i tempi per la redazione della perizia e i relativi costi”. 

Questo è uno stralcio di una e – mail ricevuta il 7 Settembre 2021, ma è soltanto l’ultima in ordine cronologico di una lunga serie ma soprattutto sono le testuali parole dello scrivente. 

In “primis” prima di inviare al professionista grafologo atti notarili con relative firme (che ovviamente non ho visionato) sarebbe stato opportuno un incontro professionale telefonico durante il quale avrei spiegato al Dott. Sempronio che soltanto dopo aver effettuato una attenta analisi sulle firme (studio sul materiale prodotto) in questione ed altre certe anche precedenti, diluite nel tempo quindi vergate dal “de cuius” in tempi non sospetti al fine di poter valutare la variabilità grafica fisiologica di ciascun soggetto. 

La necessità di avere quanto più materiale possibile su cui lavorare nasce proprio dal fatto che essendo una seria e scrupolosa professionista non voglio trovarmi nella sgradevole condizione di dovermi arrampicare sugli specchi a maggior ragione se sono la CTP della “parte attrice” – ovvero di chi promuove la causa – un domani che il Giudice dovesse decidere di disporre una Consulenza Tecnica di Ufficio e quindi anche con il CTP di controparte.

La perizia delle firme assume un’importanza particolare dal momento che seppur autografa – ovvero scritta dalla stessa persona – a volte si esegue in modo frettoloso, spesso si possono notare omissioni di alcune lettere, altre volte invece si nota una particolare meticolosità ed addirittura arricchita  spesso abbellita da svolazzi e paraffi sicuramente superflui che potrebbero condurre fuori strada se il grafologo si limitasse ad una analisi empirica affidandosi esclusivamente al “colpo d’occhio”.

Talvolta lo stesso autore usa due firme: una ufficiale ed una per uso privato, quindi c’è una lunga serie di esami preliminari da effettuare come la valutazione del “ductus” i rapporti dimensionali, l’inclinazione, la velocità, la continuità ed infine la pressione ed il tratto poiché è la “traccia” (elemento fondamentale) che si lascia sul foglio, ed anche se la forma di suddetta traccia  a volte può apparentemente presentarsi con alcune differenze, ci sono degli idiotismi o gesti fuggitivi, involontari che ricorrono in entrambe le firme, come ad esempio lo spazio che intercorre tra il nome ed il cognome, oppure i puntini sulle “i”, ma anche le barre delle “t” o le doppie… in parole semplici quei gesti grafici che si compiono senza pensare su come eseguirli ma ciò non si verifica  sempre anzi… a volte la firma viene “creata” studiata a tavolino per essere utilizzata in alcune circostanze ed è per questo che lo studio è sempre indispensabile, anche per capire  se la scrittura della firma è naturale e spontanea oppure no  a seconda se corrisponda o meno alla personalità emersa dallo studio grafologico, per questo è importante affidarsi ad un consulente con la qualifica di Grafologo Giudiziario e non di un perito calligrafo.

La firma ha un’origine e una struttura ben diverse dal testo manoscritto poiché nasce in epoca evolutiva conseguente rispetto all’apprendimento della scrittura, pertanto la firma per quanto concerne l’analisi grafo – tecnica è idonea se possiede evidenti contrassegni qualitativi in quanto la sua brevità non permetterebbe di cogliere elementi quantitativi che garantiscano adeguatezza di confronto con verosimile certezza scientifica.

Ma per arrivare ad una conclusione seria ed affidabile il grafologo giudiziario deve necessariamente effettuare uno studio sulle firme in verifica con quelle comparative certe, vale a dire apposte su documenti di identità oppure atti notarili materiale fornito da chi si rivolge al consulente.

Lo studio ha un costo in quanto per eseguirlo il professionista sarà impegnato in una specifica attività professionale, per chi richiede un parere il suddetto studio sarà propedeutico al fine di un buon esito.

Per quanto mi concerne dopo uno studio se non ci sono i presupposti, le condizioni a procedere ad un parere pro – veritate o consulenza lo dico molto apertamente.

Il tale che mi ha inviato la mail che ho pubblicato in parte, quando dice: se ovviamente ne valga la pena richiedere una perizia”  ma per sapere  se ne valga la pena oppure no devo necessariamente condurre una attenta ed accurata analisi  come dicevo prima su tutte le firme, eseguire una anamnesi il che vuole dire: La persona che ha apposto le firme era nel pieno della propria volontà? Ovvero senza condizionamenti sia esterni (pressione da persone terze) che interni (sensi di colpa), se assumeva farmaci, quanto tempo è trascorso tra alcune firme e le altre ma soprattutto se in quel lasso di tempo si sono verificati eventi traumatici come lutti, depressione oppure cure farmacologiche…

Forse il Dott. Sempronio (nome ovviamente di fantasia) sottovaluta il lavoro e la professionalità altrui e ciò mi sgomenta in quanto trattasi di un professionista e “dovrebbe” essere a conoscenza di questo tipo di tematica.

“Desidererei conoscere i tempi per la redazione della perizia e i relativi costi”.

Premesso che inizialmente non si tratta di “perizia” ma di parere o consulenza, ovvio che la perizia ha costi maggiori ma parliamo di un lavoro che viene eseguito come ultimo atto di una vicenda, quindi prima uno studio su un testo manoscritto oppure firme da verificare con relative scritture o firme di comparazione, poi la mediazione con i rispettivi Avvocati (previsto per legge ai sensi del D.Lgs. 28/2010) di fronte ad un organismo preposto, e se non si raggiunge un accordo tra le parti  si instaura un contenzioso in sede giudiziaria ove  – sia la parte attrice (chi ha promosso la causa) sia la parte convenuta (chi in qualche modo deve difendersi dalla accusa di aver prodotto un falso)  vengono coinvolte nelle operazioni peritali fissate dal Giudice ed una volta  fotografati i documenti originali di fronte ad un CTU(nominato dal Giudice) ed il consulente di controparte si procede con la perizia dove si inseriscono le foto di documenti originali, altre scritture ecc.  

Il messaggio che ritengo sia utile divulgare attraverso il mio giornale è che prima di imbattersi in cause lunghe ed estenuanti oltre che molto costose dal punto di vista legale e non soltanto, è di fidarsi ed affidarsi ad un grafologo esperto che saprà consigliare nel migliore dei modi. 

  È vero che lo studio ha un costo (piuttosto irrisorio a fronte di una avventata azione legale) ma eviterà inutili battaglie molto spesso intraprese con familiari stretti. 

Risposta lapidaria da parte del Dott. “sempronio” dopo poco: “Grazie mi consulto con il mio Avvocato”. 

Fa bene a consultare il proprio Avvocato ma di sicuro avrebbe dovuto farlo sin da subito, decidere insieme al Legale di fiducia quale percorso intraprendere è la soluzione migliore, anche perché in relazione alla strategia che si intende seguire l’Avvocato può consigliare al proprio assistito se indirizzarlo verso un parere – pro veritate che sicuramente ha il suo costo in quanto si tratta di un lavoro molto dettagliato oppure  ad una consulenza più semplice o addirittura una relazione di una pagina scritta dal consulente che ha costi ancora minori.

Patrizia Belloni – grafologa giudiziaria