In tema di procedimento civile, la consulenza grafologica, in quanto per sua natura non suscettiva di conclusioni obiettivamente ed assolutamente certe, è considerata un mezzo di indagine dalla “limitata consistenza probatoria”, di talché è richiesto comunque al giudice, non solo di fornire (come in ogni caso di consulenza tecnica) un’adeguata giustificazione del proprio convincimento in ordine alla condivisibilità delle conclusioni del consulente, ma anche di valutare l’autenticità o falsità della sottoscrizione dell’atto in correlazione a tutti gli altri elementi concreti sottoposti al suo esame.
Con ricorso monitorio D.R.G. ha chiesto che il Tribunale di Vicenza ingiungesse a M.B. e M.L.I. il pagamento di € 58.782,48, oltre ad interessi e spese, quale credito residuo che il ricorrente ha dedotto di vantare in forza di due mutui concessi a M.B..
In particolare il ricorrente, a sostegno delle proprie ragioni di credito, ha allegato due documenti datati, rispettivamente, 18.6.2009 e 19.2.2010:
- con il primo documento – sottoscritto da D.R.G., M.B. e M.L.I. – si è dato atto del prestito per € 60.000,00 concesso da D.R. a M.B. e dell’impegno del mutuatario a restituire tale somma entro il termine di un anno, con l’interesse del 6% e con la garanzia fideiussoria di M.L.I.;
- con il documento datato 19.2.2010 – sottoscritto da D.R.G. e M.B. – il secondo ha dichiarato di avere ricevuto dal primo l’ulteriore somma di € 12.000,00, a titolo di prestito personale.
Nel ricorso monitorio è stato dato atto di alcuni pagamenti parziali ricevuti da D.R.G. per complessivi € 30.000,00 – che il ricorrente ha dichiarato di avere imputato al mutuo del 19.2.2010, in quanto meno garantito, e per il resto a parziale saldo del primo mutuo del 18.6.2009 – nonché del mancato riscontro dato da M.B. ai solleciti di pagamento.
Con decreto ingiuntivo n. 797/15, notificato il 16.3.2015, il Tribunale di Vicenza ha accolto il ricorso ed intimato a M.B. e M.L.I. il pagamento della somma richiesta.
Avverso il decreto ingiuntivo hanno proposto opposizione gli ingiunti, disconoscendo la scrittura del 19.2.2010 e l’esistenza del prestito di € 12.000,00 cui essa è riferita, nonché contestando l’imputazione dei pagamenti parziali eseguiti. Per tali ragioni gli opponenti hanno chiesto che il Tribunale di Vicenza revocasse il decreto ingiuntivo opposto e accertasse la minor somma dovuta, quale residuo del debito sorto con il mutuo del 18.6.2009.
Costituitosi in causa, D.R.G. ha chiesto la verificazione della scrittura disconosciuta, concludendo per la conferma del decreto ingiuntivo.
La causa è stata istruita con l’assunzione di testimoni e lo svolgimento di una CTU grafologica.
Con la sentenza oggetto del presente appello il Tribunale di Vicenza ha rigettato l’opposizione, condannato gli opponenti a rifondere le spese di lite al convenuto opposto e diviso in quote uguali tra le parti l’onere relativo alle spese di CTU.
Giudizio d’appello
Avverso la sentenza del Tribunale di Vicenza propongono appello M.B. e M.L.I., insistendo per l’accoglimento delle domande già svolte in primo grado.
D.R.G., costituendosi, ha eccepito l’inammissibilità dell’appello e ne ha chiesto comunque il rigetto.
All’udienza del 18.1.2022 le parti hanno precisato le conclusioni. In seguito, nei termini assegnati, hanno dimesso gli scritti conclusionali.
Parte appellata ha chiesto sia dichiarata l’inammissibilità dell’appello ex art. 342 c.p.c. L’eccezione è infondata. L’atto di appello indica con sufficiente chiarezza i passaggi della sentenza impugnata oggetto di contestazione, le divergenze rispetto alla decisione del primo giudice con riguardo alla ricostruzione del fatto, le violazioni di legge che ravvisa nella pronuncia censurata e la rilevanza di tali violazioni, connessa alla conseguente riforma che viene sollecitata.
Motivi d’appello
1) Con il primo motivo di gravame gli appellanti contestano la sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto l’esistenza del prestito di € 12.000,00 del 19.2.2010, che M.B. ha invece negato di avere ricevuto.
Il giudice di prime cure ha preso atto dei risultati non univoci della CTU grafologica – all’esito della quale il consulente d’ufficio, “tenuto conto dei limiti di periziabilità dell’accertamento”, ha concluso “per la non riferibilità della sottoscrizione attribuita a M.B. apposta in calce alla scrittura privata 19.2.2010 prodotta in copia come doc. 2 di parte convenuta alla mano del sig. M.B. con basso grado di confidenza tecnica” – e, considerato quanto emerso dalla prova orale, ha ritenuto adeguatamente provata anche la seconda dazione di denaro effettuata da D.R.G. in favore di M.B.. In particolare, il Tribunale ha ritenuto rilevante la deposizione della teste D.R.F., che ha assistito alla consegna della somma e alla sottoscrizione della ricognizione di debito, mentre ha valutato come non decisive le dichiarazioni rilasciate dai due testimoni indicati da parte attrice.
Gli appellanti contestano la credibilità della teste D.R.F. sostenendo:
- che le sue dichiarazioni conterrebbero alcune contraddizioni relative al momento in cui sarebbero avvenute la dazione del denaro e la firma della ricognizione;
- che la testimone sarebbe comunque poco attendibile dal punto di vista soggettivo in quanto ella è sorella dell’appellato e sarebbe in cattivi rapporti con M.B., suo ex compagno ed ex datore di lavoro;
- che la dichiarazione della teste secondo cui il prestito sarebbe servito a M.B. per il pagamento degli stipendi dei dipendenti di T.M. s.r.l. sarebbe in contrasto con la qualificazione del prestito come “personale” contenuta nel riconoscimento di debito;
- che D.R.G. avrebbe potuto provare la veridicità di quanto sostenuto dimostrando documentalmente di avere prelevato dai propri conti bancari la somma in questione, mentre nulla ha dimesso.
Affermano inoltre gli appellanti che la prova del mutuo non potrebbe essere fornita solo sulla base di una testimonianza, stanti i limiti posti a riguardo dagli artt. 2721 e 2726 c.c. e mettono in evidenza le dichiarazioni favorevoli a parte opponente di M.V. e di M.L.I., nonché l’anomalia costituita dalla consegna di una somma di denaro così ingente in contanti.
Viene poi ripreso il contenuto della consulenza grafologica d’ufficio, dalla quale sarebbe emersa l’esistenza di molteplici differenze tra la scrittura in verifica ed i campioni di raffronto e di solo poche somiglianze, tanto che la consulente sarebbe giunta ad esprimere il proprio convincimento circa la non autenticità della sottoscrizione disconosciuta, seppur espresso con la cautela dovuta al fatto che trattasi di una sigla e non di una sottoscrizione completa.
Infine gli appellanti indicano altri elementi che dovrebbero portare a conclusioni opposte a quelle cui è giunto il giudice di primo grado: - la condotta del debitore, il quale non ha disconosciuto entrambe le dichiarazioni di debito, ammettendo di avere sottoscritto quella datata 18.6.2009;
- la differenza di contenuto tra la prima e la seconda dichiarazione attribuita a D.R.G. e la stranezza della presenza della firma di quest’ultimo anche in un documento, come quello del 19.2.2010, avente il contenuto di una dichiarazione unilaterale;
- l’ulteriore anomalia costituita dal fatto che nella diffida del 17.11.2014 era stato intimato il pagamento di un importo maggiore di quello esposto nel ricorso monitorio.
Il motivo non è fondato.
La consulenza grafologica, in quanto per sua natura “non suscettiva di conclusioni obiettivamente ed assolutamente certe”, è considerata un mezzo di indagine dalla “limitata consistenza probatoria”, di talché la giurisprudenza di legittimità richiede comunque al giudice, non solo di fornire (come in ogni caso di consulenza tecnica) un’adeguata giustificazione del proprio convincimento in ordine alla condivisibilità delle conclusioni del consulente, ma anche di valutare l’autenticità o falsità della sottoscrizione dell’atto in correlazione a tutti gli altri elementi concreti sottoposti al suo esame (Cass. n. 9631/04, rv. 572977; n. 8881/05, rv. 584032; n. 2579/09, rv. 606453).
Di tali principi ha fatto buon governo il giudice di primo grado. Nella fattispecie in esame, infatti, la consulente grafologa, attesa la limitatezza e peculiarità della sigla apposta da M.B. in calce al riconoscimento di debito del 19.2.2010, ha potuto solo riconoscere una parziale compatibilità tra tale sigla le due scritture di comparazione, escludendo di potere rispondere al quesito postole in termini di certezza tecnica. Il giudizio di non autenticità della sigla verificata è stato quindi espresso dalla CTU con “basso grado di confidenza tecnica”, ovvero con il più basso livello di confidenza tecnica, “dove l’evidenza analitica indica che le scritture a confronto possono avere o non avere la medesima origine”.
La perizia grafologica quindi, già di per sé dotata di una limitata consistenza probatoria, è in questo caso ancor maggiormente incerta per l’esito cui è pervenuto l’esame del consulente, fortemente condizionato dai limiti del materiale sottoposto a verifica.
E’ giustificata, pertanto, la scelta del Tribunale di attribuire maggior peso alla prova testimoniale assunta. La deposizione di D.R.F. è ammissibile, non solo perché nulla è stato eccepito prima dell’assunzione della prova dalla parte interessata (eccezione necessaria perché possano essere invocati i limiti legali di ammissibilità della prova testimoniale dei contratti, i quali sono stabiliti nell’interesse delle parti, sicché l’inosservanza delle dette limitazioni non può essere rilevata d’ufficio, né eccepita dalla parte dopo l’espletamento della prova; Cass. n. 3186/06, rv. 590318), ma anche perché la circostanza che il teste è stato chiamato a confermare trova riscontro nelle prove documentali in atti.
La teste non ha saputo riferire se la dichiarazione di debito venne firmata da M. nel momento in cui ricevette il denaro o in altro momento, ma ciò non costituisce una contraddizione logica, trattandosi di un profilo non rilevante. Nemmeno può dirsi che il riferimento alla necessità del mutuatario di ottenere il prestito per pagare gli stipendi dei dipendenti di T.M. s.r.l. sia in contrasto con la natura personale del prestito riportata nell’atto ricognitivo, giacché il prestito è stato concesso a M. e non alla società. Inoltre non vi è prova dell’esistenza di ragioni di astio della teste verso l’appellante, non evincibili tout court dai pregressi rapporti tra i due, mentre il rapporto di parentela con la parte non rende di per sé la deposizione priva di credibilità.
Deve invece confermarsi il giudizio di irrilevanza dato dal giudice di prime cure alle dichiarazioni dei soggetti introdotti come testi da parte opponente (M.V. e M.L.I., figli di M.B. ed il secondo anche parte del giudizio, benché non obbligato in relazione al mutuo disconosciuto). Essi infatti non hanno potuto escludere l’avvenuta dazione di denaro, né la sottoscrizione della dichiarazione disconosciuta, non potendosi valorizzare a tal fine il solo dato dell’abitudine del padre di portarsi un figlio come testimone nelle occasioni in cui doveva chiedere un prestito a terzi, né la circostanza (riferita dalla M. come risultante da un controllo dei dati relativi al dispositivo Telepass) che il camion e l’autovettura di M.B. risultassero, durante la giornata del 19.2.2010, impegnati in viaggi fuori città.
La consegna in contanti di una somma abbastanza rilevante (€ 12.000,00), che parte appellante indica come anomala, può trovare in realtà diverse spiegazioni, sia in ordine alla disponibilità di tali importi liquidi nel mutuante (il quale, pertanto, potrebbe non avere avuto bisogni di prelevare la somma da un conto bancari), sia con riguardo all’interesse del mutuatario a non utilizzare metodi tracciabili di pagamento. In ogni caso anche per il primo prestito, che i M. non contestano, non vi è prova del prelievo dai conti di D.R., né del trasferimento di denaro al mutuatario tramite bonifico o assegno.
Le altre circostanza evidenziate dagli appellanti sono prive di rilievo. Il riconoscimento del debito per € 60.000,00 non implica di per sé la fondatezza del disconoscimento del secondo mutuo, né il fatto che la seconda scrittura contenga meno elementi della prima è particolarmente significativo, potendo dipendere dal contesto nel quale l’atto è stato sottoscritto. La discordanza tra l’importo intimato in via stragiudiziale e quello riportato nel successivo ricorso monitorio può inoltre essere spiegata da un diverso meccanismo di calcolo degli interessi o dall’imputazione dei pagamenti parziali.
2) Con il secondo motivo d’appello viene contestata l’imputazione dei pagamenti parziali operata dal mutuante. Anche ove si ritenesse l’esistenza del mutuo di € 12.000,00, sostengono gli appellanti, mancherebbe la prova della sua esigibilità, non essendo stato convenuto, nella scrittura del 19.2.2010, un termine per la restituzione del prestito.
Il motivo è infondato.
L’inesigibilità del credito per mancata scadenza del termine non è uno dei motivi che gli opponenti hanno formulato in primo grado e non può quindi essere eccepita in questa sede.
In ogni modo la pretesa di D.R.G. di ottenere in restituzione anche il prestito concesso senza indicazione di un termine è giustificata, in presenza del conclamato inadempimento del debitore con riguardo al mutuo del 18.6.2009 (riguardo al quale il termine per la restituzione era, al tempo dell’iniziativa giudiziale di D.R., scaduto già da quasi cinque anni) e della conseguente insolvenza del debitore, con le conseguenze che a tale condizione ricollega l’art. 1186 c.c. Tale ultima disposizione trova applicazione anche al caso del mutuo per il quale non sia stato fissato il termine per la restituzione e non presuppone la previa fissazione giudiziale del termine per l’adempimento quando il debitore sia insolvente, essendo in tal caso il creditore abilitato ad esigere immediatamente la prestazione (Cass. n. 6984/03; n. 20042/20, rv. 659023).
3) Con il terzo motivo di doglianza parte appellante sollecita una diversa regolazione delle spese giudiziali, come conseguenza dell’accoglimento dei motivi precedenti.
Atteso il rigetto dei motivi relativi al merito della controversia anche il capo della pronuncia gravata attinente alle spese di lite va confermato.
4) Con il quarto motivo d’appello viene contestato un passaggio della ricostruzione dei fatti riportata nella sentenza appellata nel quale, sostengono gli appellanti, si attribuirebbe a M.L.I. la qualifica di mutuatario, essendo egli invece mero garante con riguardo al primo dei due mutui dedotti in causa.
Il motivo è infondato.
La sentenza del Tribunale di Vicenza è chiara nell’esporre i fatti come dedotti dalle parti e, in particolare, nell’indicare (pagina 6) il ruolo di M.L.I. come mero garante dell’obbligo di restituzione assunto dal padre con riguardo al primo mutuo.
Conclusioni e spese
La sentenza appellata merita integrale conferma.
Le spese processuali del presente grado – liquidate come in dispositivo, in correlazione con il valore e la complessità della causa – vanno poste ad integrale carico della parte appellante, atteso il rigetto dell’impugnazione.
Segue al rigetto dell’appello l’applicazione dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte d’Appello, definitivamente decidendo, sull’appello proposto avverso la sentenza n. 448/2020, pubblicata in data 02/03/2020, del Tribunale di Vicenza:
1) conferma la sentenza appellata;
2) condanna M.B. e M.L.I. in solido a rifondere a D.R.G. le spese di lite del presente grado, liquidate in € 8.970,00, di cui € 7.800,00 per compensi ed il resto per rimborso forfettario, oltre ad IVA se dovuta e CPA;
3) dà atto che sussistono i presupposti per l’applicazione dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 a carico della parte appellante.