A cura di Patrizia Belloni
Lo scopo principale di una indagine grafologica, in ambito giudiziario, è giungere alla verità, per quanto riguarda l’autenticità o meno di uno scritto.
Il metodo calligrafico, in cui il perito dava inizio ad una comparazione tra le singole lettere o parole, ha ceduto il passo, anche se non completamente, al metodo grafonomico.
Quest’ultimo, infatti, non studia la scrittura soltanto da un punto di vista obiettivo, cioè, attraverso la misurazione delle lettere, l’analisi della forma delle stesse ecc, ma si orienta verso un percorso ben più ampio, in quanto, l’ essere umano ha molteplici sfaccettature, caratteristiche temperamentali inimitabili, che rendono possibile l’unicità anche della scrittura.
Il metodo grafonomico, si basa sullo studio della scrittura in senso molto più ampio ed, oserei dire, più umano.
Infatti, la grafia è osservata nella sua logica di movimento: dal ritmo, che è un elemento interiore di potenzialità, del tutto personale, così come il tratto; dalle oscillazioni assiali, dai rapporti dimensionali, in base alla velocità esecutiva, fino ad arrivare a studiare la coesione delle forme.
Quando ci troviamo ad analizzare un testamento olografo, – perché sono stati avanzati dei dubbi sulla autenticità, da parte dei familiari del “de cuius” – redatto da una persona piuttosto anziana, e lo scritto sembra essere ineccepibile, forse troppo, è proprio in quel momento che il bravo grafologo deve andare “oltre” le apparenze.
Lo scritto “troppo” perfetto deve indurre il grafologo a porsi delle domande.
Esistono, purtroppo, svariati modi per indurre a redigere un testamento, specialmente quando si tratta di anziani (benestanti) che vivono da soli, cercarando con modi capziosi, a volte anche violenti, di far esprimere le ultime volontà, anche, non del tutto spontaneamente.
Le due modalità più ricorrenti scelte dai falsari, per far redigere il testamento all’anziano prescelto sono: sotto dettatura oppure con la mano guidata.
In questo modo non rischiano più di tanto, “all’apparenza” la mano è del testatore, pressione e tratto rimangono tali, sicuramente non si avventurano ad imitare la scrittura, a meno che il testo sia molto breve, due o tre righi al massimo.
Tali situazioni, nell’ambito delle indagini grafotecniche, sono molto più frequenti di quanto si possa immaginare, ed è per questo motivo che gli studiosi approfondiscono sempre di più questo argomento.
Lo scritto, quando viene dettato, appare molto ordinato, lento, pensato, lo spazio bianco prevale sullo scritto, il testo è articolato, spiegato, non si scrive poco, anzi, si tende a puntualizzare, il falsario si sente sicuro, la scrittura è del testatore.
Si sta dettando un testo, e l’anziano scrive, esegue, magari intimorito dalla volontà di persone giovani, spesso nipoti o figli, ma anche da persone estranee alla sfera familiare.
Ovviamente il grafologo, quando si trova di fronte ad un testo del genere, dovrà necessariamente valutare anche se c’è naturalezza e la sincerità della grafia spontanea, che nasce dalla capacità di volere realizzare una determinata azione.
La mano “guidata”, invece, è la situazione in cui una persona non ha intenzione di scrivere un testamento e, allora, subentra qualcuno che le guida la mano, obbligando lo scrivente a fare qualcosa contro la propria volontà.
Le due energie entrano in collisione, si contrastano, quindi creano delle interferenze, producendo movimenti squilibrati, con forme goffe e deformi, spesso parole incompiute.
Per concludere, direi che la scelta migliore è quella di usare il buon senso. Ogni consulenza grafotecnica è un caso unico e specifico, per questo è opportuno che ogni consulente applichi il metodo o i metodi che più si addicono a quel caso.
Che sia il metodo grafologico integrato al grafonomico o no, l’importante è che, con coerenza e precisione, si giunga ad una corretta risoluzione del caso.