La scrittura dei Gemelli

Considerazioni ed un caso pratico.

La scrittura dei fratelli gemelli, in particolare monozigoti, sotto il profilo grafologico pone il problema dell’individuazione dei tratti distintivi della scrittura in soggetti che appaiono “identici”.
Robert Saudek (1880- 1935), figura di spicco della grafologia in Inghilterra, secondo il quale la scrittura deve essere valutata secondo criteri di base quali la spontaneità dell’atto grafico, l’uso dello spazio ed il grado di originalità nella forma delle lettere, all’esito dell’esame di scritture di fratelli gemelli monozigoti non riuscì a trovare difformità grafiche così significative da poter distinguere i due manoscritti.
Tuttavia ritengo non si possa generalizzare ci sono delle coppie di gemelli che nel corso della loro vita sono alla ricerca di una propria individualità, spesso stanchi di essere “scambiati” quindi, talvolta chiamati con il nome del fratello o della sorella, si assiste alla personalizzazione del loro modo di vestire, differenziazione delle scelte scolastiche e/o professionali e sovente i gemelli trovano così la propria libertà di espressione anche attraverso la grafia.
Ci sono invece, coppie di gemelli talmente uniti che continuano a vivere in modo simbiotico anche da adulti – stessi amici, stesso stile nell’abbigliamento, scrittura molto simile – che trovano invece, maggiore forza per affrontare le controversie della vita, l’essere così simili li fa sentire più forti, e questa uguaglianza non viene vissuta come uno svantaggio, tutt’altro.
In alcuni casi, per non separarsi fisicamente, hanno rinunciato anche a sposarsi, a creare un nucleo familiare proprio, mi viene in mente una celebre coppia di gemelle monozigoti, nel mondo dello spettacolo, praticamente identiche, hanno scelto la stessa carriera professionale come ballerine, non si sono mai sposate, ed ancora oggi, molto anziane vivono insieme.
In proposito, ho affrontato la tematica lo scorso anno.
Nel Maggio 2019 sono stata contattata da una signora per esaminare un testamento olografo scritto apparentemente da suo marito, defunto prematuramente, all’età di quarant’anni, ci incontrammo nel mio studio, come avviene di solito, la Signora Marina mi produsse la copia del testamento olografo da verificare, il testo “incriminato”, e scritture di comparazione certe, il contratto di acquisto della loro casa, firme su documenti di identità, specimen bancario, una poesia dedicata alla moglie dopo la nascita del loro bambino, un verbale di assemblea dove il marito svolgeva la mansione di segretario, brevi pensieri scritti a mano per il compleanno, altre firme su documenti raccolti in modo ordinato in una cartella.
Ho iniziato così ad esaminare prima il testamento in verifica, non presentava alcuna anomalia, si trattava di un manoscritto non breve dodici righe compresa data e firma.
Dopo una prima valutazione, orientata sulla osservazione della naturalezza e spontaneità, avevo riscontrato entrambe, scrittura sciolta, alcun tremore, non c’erano “soste” i classici bottoni di ripresa nelle parole – giustapposizioni in termine tecnico – anche se non avevo colto, in quello scritto, alcuna emozione, bensì un tracciato grafico spedito, oserei dire freddo, senza emozione.
Ho osservato il testo nel suo insieme, e svolto come di consueto uno studio seguendo la metodologia di rito, nulla faceva pensare ad un falso, anche se mancava un aspetto saliente, ovvero una spiegazione, la motivazione per aver preso una decisione notevole, che avrebbe potuto cambiare il corso della vita alla Signora Marina, ma probabilmente non c’era.
Comunque avevo modo di notare un discreto equilibrio tra movimento e forma, la firma in basso a destra, omogenea al testo, però confrontando con le altre scritture del Sig. Marco, riscontravo la differente distanza tra le parole, la dimensione delle lettere, era più grande rispetto alle altre scritture, anche se molto spesso, chi scrive le ultime volontà, aumenta la dimensione – alcuni scrivono in stampatello – proprio per il timore di non essere compresi, il testatore spesso, scrive in modo molto più chiaro e leggibile, però anche il modo di legare alcune lettere, mi faceva pensare.
Man mano che visionavo tutto il materiale per la comparazione, notavo molte analogie tra il testamento ed il verbale dell’assemblea, scritto dal Sig. Marco, qualche lieve differenza con gli altri manoscritti, che avevo attribuito alla normale variabilità grafica, alle volte la scrittura cambia anche a seconda di come ci sentiamo fisicamente e moralmente, insomma… qualcosa di diverso dalle altre scritture, ma compatibili.
Dopo tre giorni di lavoro sul testamento in verifica e le scritture comparative, non avevo elementi sufficienti per arrivare alla conclusione che fosse un testamento falso, così ho pensato di chiamare subito la Signora Marina, per dirle che non avevo riscontrato difformità tanto gravi da far pensare ad un documento falso, quindi decisa a non redigere un parere pro-veritate, come richiesto, per dimostrare che si trattava di un testamento non scritto dalla mano di suo marito.
Ci incontrammo nuovamente per restituire alla Signora Marina il materiale che mi aveva prodotto, e quando le dissi che secondo me non c’erano i presupposti per impugnare il testamento, anche sulla base del verbale di assemblea, un manoscritto molto esteso del Sig. Marco, a quel punto tutto cambiò, la signora mi disse che non era stato scritto da suo marito, in quanto si trovava in ospedale per accertamenti, ma da suo fratello gemello Leonardo, erano praticamente identici, a volte anche gli amici più cari li confondevano.
Se non avessi avuto l’opportunità di mettere a confronto il testamento con il verbale, quindi facendo riferimento esclusivamente agli altri scritti del Sig. Marco, avrei sicuramente concluso che era autografo; dopo anni si era presentata l’occasione di verificare la scrittura di due fratelli gemelli monozigoti, certo, non sono in grado di poter affermare che tutti i gemelli scrivono in modo da poter confondere le due scritture, ma certamente, avendo lo stesso DNA sono avvantaggiati se vogliono falsificare lo scritto del loro fratello o sorella perché riesce più facile imitare la grafia del proprio consanguineo, anche tra genitori e figli.
Ho fornito un parere alla signora Marina, sulla base esclusivamente delle scritture certe del marito, ho dovuto rivedere un po’ tutto il lavoro, avevo fatto affidamento sul verbale di assemblea, in quanto si trattava di un manoscritto molto esteso, in più abbastanza vicino alla data del testamento, inconsapevole che era stato scritto dal cognato.
Non so come siano andate le cose, se la Signora Marina abbia intrapreso un percorso legale volto all’impugnazione del testamento, oppure se, forse, sono giunti ad un accordo, cosa che succede abbastanza di frequente, quando vi è un patrimonio piuttosto modesto da ereditare, come in questo caso, anche se di tutto rispetto, si trattava infatti, dell’appartamento in cui la Signora Marina viveva con il suo bambino, e di un modesto conto in banca.

Tutto ciò potrà evitare un lungo percorso, molto dispendioso e a volte  frustrante, nel mondo della perizia.

Patrizia Belloni
Grafologa giudiziaria

La consulenza tecnica grafologica nelle indagini difensive

La grafologia giudiziaria trova applicazione anche in ambito penale.
Difatti, non solo vi sono fattispecie criminose strettamente correlate alla grafologia come nell’ipotesi della formazione di un falso testamento olografo, di una cambiale o di un altro titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore (art. 491 c.p.), ma sussistono anche reati come, ad esempio, la truffa (art. 640 c.p.) e la diffamazione (art. 595 c.p.), ove l’apocrifia dello scritto può costituirne uno degli elementi oggettivi (si pensi all’artifizio nella truffa).
In questo contesto, il grafologo può assumere il ruolo di consulente tecnico nell’ambito delle indagini difensive dell’avvocato.
Si deve premettere che le indagini difensive sono state introdotte nel nostro ordinamento dalla Legge 397 del 2000 «Disposizioni in materia di indagini difensive» che ha indubbiamente esteso il concetto di «diritto di difesa» di cui all’art. 24 Cost. con l’obiettivo di dare attuazione concreta ai principi costituzionali della parità delle parti (art. 111 co. 2 Cost.) e del contraddittorio nella formazione della prova (art. 111 co. 4 Cost.).
Si deve precisare, inoltre, che la facoltà è riconosciuta non solo al difensore dell’indagato ma anche al difensore della vittima di un reato che può introdurre nel procedimento elementi rilevanti per la ricostruzione dei fatti e l’individuazione del responsabile dell’illecito.
Pertanto, l’art. 327 bis c.p. prevede che “Fin dal momento dell’incarico professionale, risultante da atto scritto, il difensore ha facoltà di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito (…)” precisando che ove siano necessarie specifiche competenze gli elementi di prova possono essere ricercati, su incarico scritto dell’avvocato difensore, da consulenti tecnici.
Nelle indagini difensive, quindi, il consulente tecnico è quel soggetto munito di particolari competenze tecniche che coadiuva il difensore:
– nella ricerca di elementi a favore del proprio assistito;
– nella valutazione degli elementi di prova già raccolti;
– nell’individuazione delle strategie difensive.
Anche la consulenza grafologica (grafologia giudiziaria) rappresenta una delle materie oggetto della consulenza tecnica del difensore in quanto appare ragionevole ritenere che l’analisi grafologica di uno scritto, e non la mera valutazione calligrafica, possa costituire un ausilio per la valutazione dei fatti sottoposti al vaglio dell’autorità giudiziaria.
Si ritiene opportuno fare riferimento a dei casi pratici.
Nell’ipotesi di testamento scritto con “mano guidata” la consulenza grafologica risulta necessaria per l’attività difensiva, ciò si può desumere anche dalla giurisprudenza.
Invero, la Suprema Corte di Cassazione (Cass. pen., sez. V, sentenza n. 51709 del 2014) ha statuito che integra il delitto di falso materiale in testamento olografo (art. 476 e 491 c.p.) la redazione di un documento – apparentemente scritto di proprio pugno dal testatore – con l’aiuto materiale di altro soggetto (che gli guidi la mano), in quanto, in tal caso, il documento non è formato, come prescritto dalla legge, esclusivamente dal de cuius e, quindi, non può essere considerato olografo.
In tale pronuncia i giudici di legittimità hanno affrontato il tema della c.d. “mano guidata” che si verifica allorquando “una persona non ha intenzione di scrivere un testamento e, allora, subentra qualcuno che le guida la mano, obbligando lo scrivente a fare qualcosa contro la propria volontà. Le due energie entrano in collisione, si contrastano, quindi creano delle interferenze, producendo movimenti squilibrati, con forme goffe e deformi, spesso parole incompiute” (Patrizia Belloni, Grafologia Magazine, Roma, agosto 2018).
In tale contesto la consulenza tecnica grafologica risulta necessaria per l’individuazione delle scritture di comparazione certamente spontanee ed autentiche nonché per l’analisi di quelle eventualmente acquisite dall’autorità giudiziaria.
Difatti, l’avvocato ben può avvalersi del grafologo giudiziario per valutare le scritture di comparazione acquisite dall’autorità giudiziaria sia ai fini dell’eventuale opposizione all’archiviazione formulata dal pubblico ministero ovvero, dal punto di vista dell’indagato, a seguito della comunicazione di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415 bis c.p.p. prodromica all’esercizio dell’azione penale.
Si può formulare un’altra ipotesi di applicazione della consulenza tecnica grafologica con riferimento all’analisi degli scritti anonimi c.d. “anonimografia” che si esprime attraverso diversi canali tra i quali il biglietto anonimo; il murales ed il volantino.
Generalmente, si perviene all’individuazione dell’anonimo guardando ai soggetti portatori di motivi di risentimento, di spirito vendicativo o persecutorio nei confronti della persona offesa.
Tale metodologia, se non suffragata da una seria e rigorosa analisi grafologica, può condurre ad errori.
Facendo un’ipotesi può esserci qualcuno intenzionato a ledere la persona offesa, ad esempio un collega di lavoro che non ha ottenuto una promozione, un vicino di casa rancoroso per le frequenti liti condominiali, il titolare di un’azienda concorrente, un parente in lite per ragioni di divisione ereditaria che conosce (anche personalmente) dell’esistenza di un ex coniuge che non ha accettato la fine del matrimonio e che nella redazione dell’anonimo offensivo o comunque lesivo dissimuli la scrittura di quest’ultimo.
In buona sostanza, l’autore dell’anonimo può cercare di dissimulare la propria scrittura affinché lo scritto illecito venga attribuito ad altro soggetto.
Ne consegue che la dissimulazione può portare all’iscrizione nel registro degli indagati e perfino all’esercizio dell’azione penale nei confronti del soggetto sbagliato (innocente).
L’attività difensiva, quindi, non può basarsi unicamente su elementi giuridici ma deve essere suffragata da una consulenza tecnica che come poc’anzi illustrato deve aiutare nella ricerca di elementi a favore del proprio assistito e nella valutazione degli elementi di prova già raccolti.
Alla luce delle pregresse considerazioni risulta evidente che la grafologia giudiziaria deve essere annoverata, con un ruolo di primaria importanza, nell’alveo delle consulenze tecniche di cui avvalersi nell’ambito dell’attività difensiva.

Gabriele Colasanti
avvocato

Orientarsi nel mondo della perizia grafologica – giudiziaria

Attraverso “grafologia magazine”, giornale on-line in rete da cinque anni, svariati professionisti – Avvocati, Medici, Criminologi, Grafologi- mettono a disposizione del lettore, su questa testata giornalistica, una vasta gamma di consigli e suggerimenti.

Mi occupo, prevalentemente, della perizia su testamenti olografi ma, in generale, ho accumulato negli anni tanta esperienza nel campo della scrittura nelle sue più svariate forme.

Infatti, il mio compito, come quello di tanti altri colleghi grafologi, è molto ampio, e non si limita, in modo restrittivo, alla conclusione: appartiene alla mano del testatore oppure no”.

La sostanziale differenza, infatti, tra grafologo giudiziario e perito  calligrafo è proprio questa: nel primo caso, ci si occupa essenzialmente dell’indagine di manoscritti, e si arriva, spesso, alla giusta conclusione, attraverso lo studio denominato “psicologia della scrittura”.
Mediante il suddetto studio, sono in grado di rilevare le varie anomalie all’interno di uno scritto o testamento olografo, ovvero, se l’apparente autore del testo in verifica, in quel momento, era consapevole di ciò che stava scrivendo o, perfino, se vi è la mano guidata, inerme o parziale, in quel percorso grafico.
Oppure, come accade sovente, specialmente nel caso si tratti di persone  molto anziane, se il testamento è stato scritto sotto dettatura, o ancora…se il testatore, in quel momento, era vittima di pressioni, ricatti morali.

Insomma, tante sono le varianti che possono invalidare un testamento, e tutto ciò è riconducibile, ma non soltanto, alla mancanza di naturalezza e spontaneità nella scheda testamentaria.
Il grafologo, deve essere in grado di saper valutare tutti gli aspetti di una scrittura, anche i disagi che possono essere la causa di una scrittura  tremolante, incerta, come ad esempio la dipendenza da farmaci oppure  alcool.
La figura professionale del grafologo, infatti, deve attenersi esclusivamente all’analisi di ciò che è stato stilato, e, qualora ci fosse anche una delle tante anomalie sopra citate all’interno di una scheda testamentaria, occorre l’aiuto, l’analisi, di uno specialista del settore, ovvero, di un medico-neurologo, che, unitamente alla perizia del grafologo, darà il proprio contributo attraverso una perizia medico-legale dello scritto in questione.
Il compito del perito calligrafo, invece, si fonda essenzialmente sul criterio del confronto, valuta la morfologia delle lettere, sull’osservazione, di tal che, se presentano anche una lieve rassomiglianza formale, spesso conclude per l’autografia. E’ pur vero che la forma delle lettere è un segno distintivo, ma non deve essere esaminata come prodotto statico, i gesti e i movimenti non possono essere esaminati e valutati isolatamente, ma nel loro insieme dinamico.
Spesso, il consulente calligrafo enumera le lettere che presentano analogie e quelle discordanti, emettendo il suo giudizio a seconda che il numero è maggiore o minore nelle prime o nelle seconde.
Il calligrafico è il metodo più antico, ma nello stesso tempo il meno sicuro.
Quanto affermato dalla sottoscritta consulente trova conferma nella giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione che ha stabilito come: “la perizia grafica eseguita con il solo metodo calligrafico non può considerarsi attendibile” (Cassazione, Sent. N. 1582 del 1990, in Riv. Pen., 1991, 871).

In epoca più risalente la Suprema Corte di Cassazione statuiva che “Una perizia grafica prevalentemente basata sul metodo  dell’interpretazione calligrafica è generalmente insufficiente senza il contributo di una attenta interpretazione grafologica a dirimere il pericolo di errore nel responso offerto al magistrato (sentenza del 29 dicembre 1959,   cit. pag. 79 La Perizia in Tribunale, AA.VV.,  Milano, 2011). 

Recentemente ho avuto a che fare con un “caso” piuttosto particolare, e lo narro, in sommi capi, perché, potrebbe essere utile, in futuro, a qualche altra persona, magari ad uno dei miei tanti lettori o lettrici.

Se ci si rivolge al grafologo – in questo caso specifico-,  il professionista, una volta presa visione delle scritture (che il cliente ha inviato oppure prodotto personalmente) in verifica e di comparazione, dovrà necessariamente svolgere uno studio, che comporta un certo impegno in termini di tempo, e, quindi, ciò corrisponde ad un onere economico da parte del richiedente, indipendentemente dal risultato più o meno gradito. Del resto, se ci rechiamo dal medico specialista, per una visita privata, che sia un cardiologo oppure oculista, o qualsiasi altro, anche se la diagnosi non è quella sperata, lo si deve pagare ugualmente.
Noi grafologi, attraverso l’analisi accurata di tutte le scritture, sia di quelle in verifica che di comparazione, possiamo ponderare, valutare, se ci sono i presupposti per procedere con una perizia, al fine di intraprendere un percorso giudiziario oppure no, ma ciò richiede tempo e impegno.

Purtroppo, spesso, accade che la persona che si rivolge al grafologo abbia delle aspettative superiori alla realtà. Frequentemente, mi sento dire, dalle persone che mi contattano, che già sanno che la scrittura è falsa, e vogliono “soltanto” una conferma, che il più delle volte non posso avvalorare.

Ma se dopo la “diagnosi” il risultato non è quello sperato dal cliente? 
Capita che molte persone abbiano difficoltà a comprendere e accettare il risultato, a loro giudizio negativo, soprattutto se avevano delle sicure aspettative, certezze, dovute in gran parte alla necessità di crederci per superare un momento difficile.
Il lavoro del consulente di parte non è sempre facile. Di frequente, l’ipotetico cliente tenta di influenzare il grafologo con racconti tristi, ma, i propri convincimenti devono derivare soltanto dallo studio delle scritture. Preferisco rinunciare ad una consulenza, che sostenere, senza esserne convinta, una causa soltanto per soddisfare le richieste di un eventuale assistito.
Il messaggio che voglio comunicare a chi ci segue è il seguente: 
Prima di intraprendere una qualsiasi azione legale, che sia per disconoscere un testamento, oppure una firma apposta su contratti, ecc. consiglio di rivolgervi ad un esperto in materia, il consulente, che attraverso uno studio accurato potrà valutare e accertare se ci sono le giuste condizioni oppure no.

Tutto ciò potrà evitare un lungo percorso, molto dispendioso e a volte  frustrante, nel mondo della perizia.

Patrizia Belloni
Grafologa giudiziaria

Disconoscimento della propria firma. L’importanza del parere del grafologo

Assai di frequente, si verifica che il grafologo giudiziario nella veste di consulente di parte, venga interpellato per esprimere un parere a supporto del disconoscimento, di una o più firme apposte su documenti di varia specie, quali contratti, assegni bancari, ricevute di pagamenti etcetera.

Il codice civile in proposito al 1° comma dell’art. 214 c.p.c. non lascia dubbi “Colui contro il quale è prodotta una scrittura privata, se intende disconoscerla è tenuto a negare formalmente la propria scrittura o la propria sottoscrizione”.

E’ di tutta evidenza che seppur necessario, il formale disconoscimento della propria sottoscrizione non può bastare “sic et simpliciter”, qualora ai sensi dell’art. 216 c.p.c.,  la parte che intende valersi della scrittura disconosciuta, ne chieda la verificazione, proponendo i mezzi di prova che ritiene utili e producendo o indicando le scritture che possono servire di comparazione.

Purtroppo molti ignorano le suddette disposizioni procedurali o ancor peggio mal consigliati da presunti esperti del diritto con scarse conoscenze della grafologia, ritengono ingenuamente che sia sufficiente negare di aver firmato un contratto per tirarsi fuori dal problema, anche quando hanno la piena consapevolezza di averlo effettivamente sottoscritto.

Vediamo quindi di capire, quando e perché rivolgersi al grafologo per il disconoscimento della propria firma.

Prendiamo il caso in cui ci dovesse accorgere che qualcuno ha abusivamente firmato al posto nostro, per indicarci quali garanti del credito con la finanziaria che ha concesso il prestito per l’acquisto di un bene, quale ad esempio un autoveicolo. Nella stragrande maggioranza delle volte quel qualcuno sarà un parente, un amico o un socio in affari che ha profittato della nostra conoscenza per ottenere a nostra insaputa il beneficio di una garanzia, pensando in maniera superficiale che non ne saremmo mai venuti a conoscenza.

In pratica a meno che non sia stato appositamente fornito un recapito di posta diverso, la finanziaria annualmente invia un’informativa al fideiussore sulle condizioni del contratto in essere corredata da un resoconto delle rate pagate e del capitale residuo.

Altrimenti potremmo venirne a conoscenza andando a chiedere un mutuo per una nostra esigenza allorquando l’istituto di credito  ci  rappresenterà che in CRIF (Centrale rischi intermediari finanziari) risulta un’esposizione debitoria eccessiva in cui pesa anche la somma garantita per l’acquisto di un’autoveicolo.

Potremmo infine venirlo a sapere, nel momento in cui la finanziaria ci chiede in qualità di garanti di onorare il debito rimasto insoluto da parte del debitore principale.

Di fronte alla suddetta scoperta e qualora si decida di adire alle vie legali, allora potrebbe essere utile rivolgersi ad un grafologo giudiziario.

E’ ben chiarire che non vi è alcun obbligo ne necessità di avvalersi di un grafologo giudiziario per avere la conferma della falsità della firma, soprattutto quando siamo perfettamente consci di non aver mai sottoscritto quel contratto, ma l’acquisizione di un parere scritto del citato professionista può avere i suoi vantaggi,  già nell’avvio del procedimento.

Il parere del grafologo nel suddetto caso può avere una fondamentale importanza e si consiglia di acquisirlo nella forma del parere “pro veritate, allorchè si optasse per presentare una denuncia querela presso un ufficio di Polizia, comando Carabinieri o direttamente alla Procura della Repubblica, contro il responsabile della falsificazione della firma che sarà chiamato a rispondere dei delitti di: falsità in scrittura privata, sostituzione di persona e truffa.

Infatti una denuncia supportata dal parere del grafologo avrà maggiore credibilità agli occhi degli inquirenti ponendoci al contempo al riparo da strumentali controdenunce per il reato di calunnia.

a cura di Roberto Colasanti     

I rischi della consulenza compiacente

Da alcuni anni collaboro con diversi consulenti tecnici di parte, tra i quali i grafologi giudiziari.

E’ proprio nell’ambito delle consulenze grafologiche che ho potuto osservare, con maggiore frequenza la richiesta più o meno esplicita di pareri o relazioni compiacenti, tali da attestare la bontà della tesi della parte, nonostante che i manoscritti in esame dimostrino esattamente il contrario. Pur nella varietà dei casi che vanno dal disconoscimento di  una firma apposta su un contratto oppure a far dichiarare falso un testamento olografo, l’approccio di simile potenziale cliente rientra sostanzialmente in tre distinte categorie. Il cliente appartenente alla prima categoria  solitamente afferma in maniera alquanto diretta “La pago perché nella consulenza sia affermata la tesi a me favorevole”, quello della seconda categoria invece cerca di dimostrare che “non è giusto che il defunto l’abbia escluso dall’eredità e che pertanto una relazione a suo favore oltre ad essere moralmente ineccepibile rappresenta l’unico modo per avere giustizia” ed infine quello della terza categoria, sicuramente più subdolo che fornisce materiale documentale volutamente parziale ed omissivo ed in alcuni casi manipolato al fine di ottenere la conclusione da lui auspicata.

In tutti e tre i casi siamo di fronte ad una consulenza compiacente anche se nel terzo caso l’adesione del consulente risulta meno consapevole, ma egualmente accondiscendente.

Davanti alla pretesa del cliente della prima categoria, una risposta diversa dal rifiuto, implica l’assunzione di una serie di responsabilità civili e penali, sulle quali è doveroso soffermarsi.

Non possiamo dimenticarci che la consulenza grafologica è a tutti gli effetti giuridici un contratto di servizio, in cui il grafologo che esercita tale professione ai sensi della legge n. 4 del 2013, si obbliga dietro il pagamento di un corrispettivo in danaro, a fornire una prestazione intellettuale, basata sulla sua esperienza e specifica conoscenza tecnico-scientifica, per rispondere ad uno o più quesiti in merito a manoscritti, firme e sigle.

Il grafologo che consapevolmente rilascia, un parere palesemente contrario alle ragioni di scienza e conoscenza grafologica, può diventare complice di un illecito penale o civile, con tutte le conseguenze del caso.

Al suddetto rischio, da evitare, deve aggiungersi quello derivante dalle azioni di rivalsa anch’esse si in sede penale sia in quella civile del medesimo cliente che a fronte dell’insuccesso (sicuro) riportato nelle sedi giudiziarie, rivolgerà nei confronti del grafologo responsabile di aver rilasciato un parere dolosamente contrario ai fondamenti della disciplina grafologica.

Anche con il cliente della seconda categoria, le responsabilità a carico del grafologo rimangono invariate, avendo seppure con motivazioni diverse, rilasciato un parere in contrasto con le risultanze grafologiche.

La difesa preventiva del grafologo potrà essere di due tipi, la prima rilasciare un parere conforme allo studio dei materiali, oppure a scanso di ogni possibile equivoco, declinare l’incarico già in partenza.

Con il cliente della terza categoria sarà opportuno, avere un comportamento improntato alla massima cautela, in quanto si è di fronte ad un potenziale truffatore, il quale non esiterà a mettere in essere artifizi e raggiri  in danno del consulente.

Un contratto di consulenza che indichi esattamente, i materiali forniti, ed il tipo di prestazione professionale che sarà possibile fornire ad effettuato esame dei documenti, può costituire un valido baluardo, contro il tentativo truffaldino di ottenere un parere sostanzialmente fasullo, sempre che non si decida, anche questa volta, di astenersi dall’assumere l’incarico, onde evitare di doversi rapportare con soggetti tutt’altro che onesti.

Roberto Colasanti   

Firme di fantasia

Una modalità finalizzata al disconoscimento della propria firma

Per portare a termine una perizia grafologica, che sia su un testamento olografo, quindi manoscritto, oppure su firme, non basta conoscere i singoli segni, le specie grafiche, ma si devono acquisire certezze attraverso la pratica, esercitare l’occhio che permetterà di cogliere i sintomi grafici, avere la giusta sensibilità per arrivare ad una conclusione ottimale, ovvero alla diagnosi esatta.
Spesso, tali “sintomi”, nascono dalle più svariate combinazioni, saperle distinguere, l’una dall’altra, al fine di essere in grado di riconoscere quelle particolarità che emergono dalla falsificazione, non è un compito semplice.
Come di consueto, una breve premessa al riguardo. Infatti, il tema che voglio trattare in questo articolo – spero chiaro ed esaustivo – è quello del disconoscimento delle firme.
Ho già affrontato l’argomento “disconoscimento” tempo fa; ho parlato delle diverse modalità, ovvero firmare in modo genuino, convinti di quello che si sta compiendo, lungi dal pensiero di doverle disconoscere un domani, quindi apposte consapevolmente.
Poi, alle volte, la necessità, un momento di difficile, l’impossibilità oggettiva di onorare un impegno preso, spesso, conduce verso la strada più semplice, apparentemente, quella del disconoscimento.
In questo caso un percorso in salita, una causa persa, dal momento che si devono produrre firme comparative su documenti certi e, ovviamente, se non c’è premeditazione, la firma sarà più o meno uguale. Quindi, in questo caso consiglio sempre di avvalersi del diritto di recesso ove previsto.
Poi, c’è il caso di chi firma in modo diverso dal solito, intenzionalmente, in quanto già prevede un disconoscimento futuro. Ovviamente ci si prepara psicologicamente, e la firma “appare diversa”, ma, come affermano i “grandi” della perizia forense, “non esiste un falsario tanto bravo da riuscire a nascondere la propria natura, i gesti innati emergono sempre”.
Personalmente non mi occupo spesso di questo argomento, è assai spinoso e presenta delle difficoltà non indifferenti, specialmente quando si tratta di firme cosiddette “di fantasia”.
Ormai, chi mi segue da tempo, sa che la mia modalità di comunicazione, è quella di narrare esperienze professionali vissute.

LA “FIRMA DI FANTASIA”

Sussiste quando lo scrivente ha firmato inventando uno stile grafico del tutto diverso, artificiale, quindi una maschera, che non corrisponde alla sua natura. Tutto ciò allo scopo premeditato di potere disconoscere la firma successivamente.
Ovviamente tale strategia  generalmente viene messa in atto da truffatori esperti (della serie “mandrakata”) che infatti riescono a modificare la dimensione, la forma, la pressione, e tutte (o quasi) le caratteristiche principali del proprio gesto grafico.
Il quesito che mi è stato posto è: determinare se le svariate firme in calce, poste su documenti importanti, possono essere attribuite ad una persona, che però nega di esserne l’autore.
All’inizio, quando il soggetto in questione mi ha fornito le proprie firme su documenti certi (carta d’identità e documento rilasciato dalla questura per il porto d’armi) pensavo ad una totale trasparenza.
Successivamente, quando mi ha inviato più firme in verifica, una diversa dall’altra, un campanello di allarme si è acceso, ovviamente.
Le firme inventate hanno tutte la stessa modalità di esecuzione, la dimensione delle lettere cambia rispetto a quella naturale. Quindi, se si scrive abitualmente “piccolo”, nella firma di fantasia la dimensione delle lettere è molto più grande, viceversa se abitualmente si scrive “grande”, la dimensione delle lettere sarà molto più piccola.
Si riscontra sempre assenza di ritmo, ovvero la firma appare piatta, senza vita, immobile. Cambia, infatti, la velocità, perché non è scritta di getto. Verticale perché ci si concentra a camuffare. Ci sono tremori nel breve tracciato grafico, che denotano emotività. Tutto ciò desta già molti dubbi sull’autenticità, perché vergare il proprio nome e cognome è il gesto grafico più spontaneo e naturale in assoluto.
Quando la firma è autentica, questa si snoda con grande rapidità e scioltezza.
Un altro elemento molto importante che mi ha condotto alla risoluzione del problema è che, sempre queste persone, si concentrano sulle lettere maiuscole della propria firma. Il nome, ad esempio Mario, non è assolutamente riconducibile alla persona in questione (dissimulatore), ma, nel cognome, ad esempio Rossi, si iniziano a notare dei segni di cedimento, ovvero, l’attenzione diminuisce e, specialmente se ci sono le doppie, come in questo cognome di pura fantasia, emergono i famosi gesti tipo, fuggitivi, che fanno parte della spontaneità del soggetto, come ad esempio la modalità di “legare” le due esse.
Tutto ciò non sfugge all’occhio attento del grafologo, ma come ho accennato all’inizio ci vuole “mestiere”, esperienza e dedizione, ma, soprattutto non farsi condizionare dai racconti, (spesso finalizzati a fuorviare) della persona che si rivolge al professionista.

Patrizia Belloni
Grafologa giudiziaria

Dati statistici sui testamenti in Italia.

Più di tre su quattro sono olografi.

L’ultima relazione statistica, pubblicata dal Ministero della Giustizia, sui testamenti in Italia, rilevata tramite la consultazione del Registro Generale dei Testamenti (R.G.T.), risale al 2017.

analisi, ha messo in evidenza che mediamente un italiano su sette provvede a lasciare le proprie disposizioni testamentarie, tra questi più di tre su quattro scelgono la forma del testamento olografo.
Nell’ordinamento italiano sono previsti: il testamento olografo, pubblico e segreto, ai quali si aggiungono i testamenti speciali e il testamento internazionale.
Ricordiamo che i testamenti speciali sono ricevibili da soggetti, anche diversi dal notaio, in particolari situazioni (calamità naturali, tempo di guerra, a bordo di navi od aeromobili) ed hanno una limitata efficacia temporale collegata al cessare delle circostanze eccezionali che ne hanno consentito la redazione.
Il testamento internazionale è stato introdotto in Italia nel 1990 dalla legge n. 387, e costituisce una forma testamentaria semplificata ed uniforme per tutti gli Stati che hanno aderito alla Convenzione di Washington, ma è pressoché inapplicato nel nostro paese.
Le iscrizioni nel R.G.T., per quanto riguarda quelli pubblici nell’arco temporale che va dal 1989 al 2017, ha evidenziato che vi ricorre principalmente il genere femminile nella misura del 55,39%, a fronte del 44,61 % del genere maschile, su di un totale di 832.341 iscrizioni.
Sempre i dati statistici mostrano che lo strumento preferito, per disporre del proprio patrimonio, resta il testamento olografo, redatto direttamente dal testatore, con una percentuale che nel 2017 è stata pari al 77,72.
I testamenti pubblici nel 2017 hanno invece rappresentato il 22,18% del totale di quelli pubblicati.
Particolarmente esigua la quantità dei testamenti segreti che si è attestata nel 2017 al 0,09%.
E’ il caso di rammentare che il testamento segreto, può essere redatto solo dal notaio attraverso specifiche formalità.
Assai più diffuso nella pratica, il deposito fiduciario presso un notaio di un testamento olografo, consegnato in busta chiusa.
Nel R.G.T., viene annotata l’avvenuta pubblicazione di tutte le forme di testamento, rappresentando perciò l’unica fonte di dati statisticamente attendibile a livello nazionale.
Raffrontando i dati rilevati dal R.G.T., sui testamenti pubblicati ed il numero dei decessi reso noto dall’ISTAT, si è potuto calcolare che sull’intero territorio nazionale oltre il 13% delle persone decedute nell’anno 2017, ha formalizzato le ultime volontà. Vale a dire che poco più di una successione su sette, è stata regolata sulla base delle disposizioni testamentarie.
In conclusione gli italiani non hanno una grande propensione a fare testamento, preferendo lasciare alle norme di legge la ripartizione dei propri beni, ma quando sentono il bisogno di esprimere le loro ultime volontà si avvalgono perloppiù della forma del testamento olografo.
L’olografo, si presta però, soprattutto quando favorisce un erede a discapito di altri ad essere disconosciuto per autentico, dando luogo a battaglie legali, in cui i grafologi giudiziari sono chiamati a svolgere un compito di ricerca della verità, tutt’altro che facile e scontato.

Roberto Colasanti

La scrittura quale espressione dell’uomo e della sua evoluzione o regressione

La necessità di valutazione di scritture di comparazione coeve a quelle in verifica

La scrittura, come è noto ormai da molto tempo, rappresenta la proiezione più umana, terrena, dell’intera sfera psichica di ciascun individuo.
Lo studio della grafologia vide i suoi albori già dal 1600 con Cesare Lombroso, ed oggi, attraverso anni di studi e di ricerca, da parte di grafologi illustri, psicologi e filosofi si è affermata, oltre come scienza umana, (in quanto studia l’uomo), anche come un efficace strumento per esaminare la personalità di chi scrive.
Attraverso una tecnica di osservazione e di interpretazione della scrittura, si mettono in luce le caratteristiche intellettuali, ovvero il tipo di intelligenza e le modalità di espressione, sintetica, analitica, concreta, astratta ecc., l’integrazione socio – culturale, pertanto il comportamento, la capacità o meno di relazionarsi con il prossimo (anche nella sfera affettiva) e molto altro ancora dell’autore del manoscritto.
Quando l’indagine si applica alla natura dell’uomo, questa assume uno statuto che sfugge all’oggettivazione delle scienze esatte, ma si articola in una dimensione di umanità che oltrepassa i suoi paradigmi scientifici permeandosi delle luci e delle ombre, spesso inesorabili dell’anima” – da Eugenio Borgna – “ Noi siamo un colloquio”.
E’ l’istinto psicomotorio che guida la mano, di conseguenza in ogni individuo, la scrittura si manifesta con specifiche caratteristiche grafiche, personali e personalizzanti, un po’ come le impronte digitali, per quanto riguarda alcune specie grafiche.
Con l’avanzare del tempo, anche l’età produce lente ed inesorabili variazioni nella scrittura, proprio come i tratti somatici di ciascun essere umano.
Nella fanciullezza sono dominanti i tratti tipici del periodo, si dà vita al proprio gesto grafico in modo rallentato, pensato. Infatti la scrittura sarà precisa, chiara e leggibile; si presta molta attenzione alla forma, si vuole valorizzare il più possibile il modo di presentarsi, a discapito del movimento, ovvero libertà.
Soltanto verso l’adolescenza, l’attività grafica, o motilità, appare più sciolta, anche se le forme scolastiche sono ancora presenti.
La scrittura, con le sue modificazioni grafiche, si evolve sino a quando un individuo raggiunge un più completo sviluppo. Verso i 16/17 anni si può riscontrare un tracciato grafico più disinvolto, meno aderente al modello scolastico, si avverte la necessità di dare un proprio “volto” alla scrittura: ciò che viene detta “personalità grafica”.
Con il sopraggiungere dell’anzianità, proprio come l’andatura, anche la scrittura può apparire incerta, con tremori, deficienze, per questo è fondamentale, in perizia giudiziaria, specialmente quando si analizza un testamento olografo, vergato da una persona anziana, avere come termine di paragone un discreto numero di scritture, che siano coeve, ossia, scritte il più vicino possibile, come data, al testamento.
Come ho già scritto nei miei articoli, mi avvalgo di esperienze dirette, di fatti realmente accaduti poiché ciò rende tutto più umano, alla portata di chi legge, che probabilmente si riconosce in quanto narrato, magari trova una soluzione al proprio problema oppure non commette alcuni errori di valutazione che spesso compromettono l’andamento dell’intero giudizio da parte del grafologo.
Poco tempo fa, una signora mi ha contattato per farmi analizzare un testamento olografo, segreto, ovvero scritto di proprio pugno dalla testatrice ma consegnato ad un Notaio, il quale dichiara di aver ricevuto in data… dalla Signora … nel pieno delle proprie facoltà fisiche e mentali, un testamento, quindi sottoscritto e sigillato dal Notaio – Pubblico Ufficiale.
La Signora in questione, come unica scrittura comparativa, o di confronto, mi ha prodotto uno scritto vergato dalla defunta sorella risalente agli anni ’70, quindi, considerando che il testamento è stato scritto nel 2018, molti anni or sono.
Nel corso della sua esistenza, la signora defunta ha attraversato periodi piuttosto bui dal punto di vista sanitario, dovuti ad una amputazione di un arto inferiore del corpo. Di conseguenza problemi di circolazione sanguigna, depressione dovuta alla importante menomazione, quindi svariati farmaci antidepressivi, terapie farmacologiche intensive, tutto ciò ha influito in maniera devastante sulla scrittura.
Ogni qualvolta il nostro organismo viene in qualche modo leso, in maniera più o meno grave, ogni alterazione che si manifesta nella struttura cellulare di ciascun individuo si riflette, inevitabilmente, sulle diverse attività anche motorie, nonché sulla scrittura.
Dai numerosi studi effettuati da medici neurologi, viene confermato che il grafismo è influenzato dallo stato di salute psico-fisica dello scrivente, per questo motivo, la scrittura è sensibile alle influenze di natura patologica.
Quando ci si rivolge al grafologo, è di fondamentale importanza produrre scritture di comparazione certe del testatore, soprattutto coeve. Più documenti vengono messi a disposizione per poter compiere uno studio, meglio è, al fine di poter valutare se sia il caso o meno di impugnare il testamento.
Produrre al grafologo scritture che siano effettivamente state vergate dal testatore durante la sua esistenza è fondamentale ma purtroppo accade che alcune persone si avvalgono di scritture vergate da altre persone per convincere il consulente ad assumere l’incarico, quindi iniziare un percorso giudiziario sulla base del nulla.
E’ importante ricordare che, oltre al consulente di parte (CTP) , una volta iniziato l’iter, c’è anche il CTP di controparte, che ovviamente darà il proprio parere in merito, poi, in ultimo, il CTU, consulente di ufficio nominato dal Giudice, che darà un suo parere “super partes”, una volta esaminate le note preventive dei rispettivi consulenti di parte, sullo scritto in analisi.
Il Giudice, una volta esaminate tutte le varie perizie, emetterà sentenza sulla base del proprio convincimento, ma anche sulla scorta della consulenza del CTU.
In breve ho sottolineato i vari passaggi per far capire, a chi legge, che il consulente di parte è soltanto il primo passo, importante, ma soltanto se vige la regola del rispetto e sincerità reciproci.
L’attività del grafologo impone il rispetto dei valori morali e professionali e, come per altri consulenti, vige la regola del segreto professionale, per cui, tutte le informazioni, i documenti che vengono prodotti al professionista, hanno come unico, fondamentale obiettivo, di poter arrivare alla verità.
Patrizia Belloni
Grafologa giudiziaria

Il testamento olografo quale possibile frutto della circonvenzione del testatore

a cura di Gabriele Colasanti –  avvocato

Il testamento olografo, previsto dall’art. 602 c.c., viene sottoposto allo scrutinio del grafologo giudiziario ove sia necessario verificarne l’autenticità.
L’indagine grafologica, sovente, prende le mosse dall’anomalia del contenuto, dal periodo di sua redazione (ad esempio coincidente con patologie del testatore), dall’identità del beneficiario, etc.
Vengono in rilievo, pertanto, anche gli “elementi extragrafici” che possono essere tanto indice di falsità quanto di mancanza di spontaneità. Quest’ultima può essere indice rivelatore della costrizione.

La perizia grafologica, quindi, può costituire il presupposto di azioni legali non solo aventi ad oggetto la falsificazione del testamento ma anche l’induzione del testatore a scrivere “di proprio pugno” un testamento a vantaggio di soggetti che abbiano approfittato delle sue particolari condizioni psico-fisiche.

Ed infatti, il nostro ordinamento sanziona penalmente coloro che profittandosi dell’incapacità di una persona portino la medesima a compiere degli atti di disposizione patrimoniale e, quindi, ottengano in proprio o altrui favore un vantaggio economico.

Nel novero di detti atti vi rientra anche il testamento olografo.
Infatti, l’atto di ultima volontà scritto per intero, datato e sottoscritto di mano dal testatore ben può essere indotto mediante abuso della persona in condizione di inferiorità psico-fisica.
A tal proposito si fa riferimento all’art. 643 c.p.rubricato “Circonvenzione di persone incapaci”  che punisce la condotta di “chiunque per procurare a sé o ad altri un profitto (…) abusando dello stato d’infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso”.

La giurisprudenza di legittimità ha definito la “deficienza psichica” di cui all’art.643 c.p., ricomprendendovi qualsiasi minorazione della sfera volitiva ed intellettiva che agevoli la suggestionabilità della vittima e ne riduca i poteri di difesa contro le altrui insidie (si veda, in tal senso, Cassazione, sent. n.24192 del 2010).

Quanto, invece, al testamento olografo ne è indubbia l’idoneità pregiudizievole verso i successibili legittimi nell’ipotesi che istituisca altri soggetti quali eredi (il succitato art. 643 c.p. prevede che il pregiudizio dell’atto può riguardare tanto l’autore quanto altri).
Tuttavia, il testamento può produrre effetti dannosi anche a distanza di molti anni rispetto al momento dell’induzione alla redazione con risvolti sulla prescrizione del reato.
Sull’argomento la Suprema Corte di Cassazione (Cassazione, sent. n. 20669 del 2017) ha statuito che il reato di circonvenzione di incapace consistito nell’induzione alla redazione di un testamento olografo si consuma con la pubblicazione dell’atto e l’accettazione dell’eredità, fatti produttivi di un effetto dannoso per il soggetto passivo e da cui deriva il materiale conseguimento del profitto ingiusto.

Da tale momento deve decorrere la prescrizione.

In applicazione del suddetto principio, la Suprema Corte ha annullato la sentenza che aveva dichiarato estinto per prescrizione il reato di circonvenzione di incapace consistito nella induzione alla redazione di un testamento olografo.
Ciò detto ove il grafologo ravvisi nel testamento olografo elementi tali da evidenziare la mancanza di spontaneità ovvero la presenza in capo al testatore di patologie che si manifestano anche nella scrittura (si veda ad esempio la sindrome di Alzheimer) ed idonee a costituirne “infermità o deficienza psichica” appare consigliabile vagliare l’ipotesi della circonvenzione di incapace.
Tale ipotesi assumerà rilievo sia sotto il profilo penale (art. 643 c.p.) sia sotto il profilo civilistico (art. 591 c.c.).

L’importanza della psicologia della scrittura nella perizia grafologica

a cura di Patrizia Belloni

Grafologa giudiziaria

In ciascun essere umano, vi è una parte non visibile, nascosta, è quella parte, dove aspetti ambientali, culturali, religiosi, hanno contribuito alla formazione del carattere ed a strutturare la personalità di ogni individuo, quella zona “franca” che custodiamo gelosamente, dove ogni tanto ci si rifugia, dove riappaiono i ricordi.

Anche l’interiorità, la parte più profonda diognuno di noi, che viene custodita gelosamente, può diventare comprensibile, decifrabile,
grazie anche alla scrittura, alla traccia che si lascia sul foglio bianco.

Il linguaggio scritto, rappresenta una impronta personale, unica, che  attraverso uno studio ricercato, può rivelare l’identità dello scrivente, infatti, attraverso il percorso, o tracciato grafico, si possono capire sia gli aspetti caratteriali, ovvero, il temperamento, il tipo di intelligenza, l’affettività che una persona è in grado di dare ma anche di ricevere, il grado di socialità, inclinazioni dal punto di vista lavorativo.

Chi si occupa, come me, di grafologia giudiziaria, sa bene quanto la perizia grafotecnica sia importante, la possiamo definire “l’arma” legale, una significativa risorsa che permette di risalire all’autore, ad esempio, di una lettera anonima, oppure della falsificazione di un testamento, addirittura di un biglietto lasciato sul luogo di un delitto.

Altresì, la grafologia giudiziaria, impone una rigorosa applicazione della metodologia, che, unitamente all’ausilio della psicologia della scrittura, rendono un contributo necessario per la ricerca della verità.

Il termine “perizia” deriva dal latino, e significa, come molti di voi sapranno, conoscenza acquisita con esperienza, capacità, abilità, ed il termine deriva dal verbo perire, che in parole semplici, significa andare al di là, oltre le apparenze.

Andare oltre le apparenze… vuol dire, per un grafologo giudiziario, non soffermarsi sulla morfologia, ovvero sulla forma delle lettere, ma vedere, e non guardare soltanto, tutti gli altri aspetti grafici, che sono molti, per giungere ad una conclusione, possibilmente quella giusta.

Anche se, viene insegnato che la forma è il genere grafico tra i più importanti, nella scala gerarchica, infatti i generi della scrittura sono otto, e la forma insieme alla dimensione, ovvero al calibro della lettere, è quella collocata ai primi posti.

D’altro canto però, non deve essere esaminata come un prodotto statico, ma, valutata nella sua dinamicità, scorrevolezza, fluidità ma soprattutto spontaneità, infatti, nessuna specie grafica dovrebbe essere valutata in modo isolato ma contestualizzata, presa in esame per quello scritto specifico.

L’applicazione statica, dei criteri inerenti alla morfologia, che esercitano alcuni periti grafici, li porta ad una valutazione spesso errata di omografia, ovvero, la conclusione: lo scritto è il frutto della mano di…

Fortunatamente si tratta di un metodo superato, che viene applicato non molto di frequente, in quanto produce non pochi danni, specialmente quando ci si trova a dover analizzare un testamento olografo, scritto da una persona anziana.

Il grafologo giudiziario, se professionista attento e scrupoloso, oltre ad  osservare l’aspetto morfologico, deve essere in grado di capire se quel testamento, pur essendo stato scritto effettivamente dal “de cuius”, ciò si capisce grazie alle scritture di comparazione, possibilmente coeve, (nelle persone anziane la scrittura cambia, si modifica, più velocemente rispetto ad un soggetto giovane)  cioè il più vicino possibile alla data del testamento, sia  effettivamente, frutto della sua volontà.

Spesso i testamenti olografi, sono il prodotto di una coercizione, costrizione di natura psicologica, (ricatto morale) oppure il risultato ottenuto  guidando la mano” del testatore, ed ancora…a volte il testo viene dettato da qualcuno.

Purtroppo, ci sono individui, che per far scrivere un testamento ad un anziano che sia parente o conoscente, gli somministrano alcoolici, o tranquillanti.

Tutte anomalie della scrittura che si palesano, o attraverso tremori diversi dallo stato naturale, dovuto all’età dello scrivente, infatti, i tremori dovuti alla vecchiaia sono diversi dai tremori di chi fa uso di sostanze che creano dipendenza, alcool o droghe, tremori dovuti all’incertezza di chi sta falsificando, oppure a lettere e parole frammentate, incerte, esitanti, soste ingiustificate specialmente nella firma.

Se all’interno di una scheda testamentaria, troviamo delle frasi sconnesse, per cui si evince una confusione della sfera cognitiva, e poi, magari troviamo che vengono citate date di nascita – luogo, giorno, mese ed anno-
di perfetti sconosciuti, ai quali è stato lasciato tutto ciò che la persona possedeva, allora, forse, un “piccolo” campanello di allarme si dovrebbe accendere.

Non mi stancherò mai di dire, che il compito che siamo chiamati a svolgere, è molto delicato, fare in modo di dare voce a chi non c’è più, far rispettare le sue vere volontà, non è cosa di poco conto, ma, con la superficialità con cui spesso si ha a che fare, vengono procurati molti danni, materiali e soprattutto morali alle famiglie di chi non c’è più.